ASSEMBLEA DIOCESANA
San Giovanni Rotondo 27 settembre 2024
«Sinodalità, speranza, missione»
Le ultime tre Note pastorali proposte all’Arcidiocesi cercano di sviluppare il progetto presentato nella Lettera Con Cristo Trasfigurati per un territorio e popolo di trasfigurati, inserendosi nel cammino sinodale della Chiesa universale ed italiana: la Chiesa per annunciare il Vangelo vuole camminare insieme realizzando gli obiettivi di comunione, partecipazione e missione.
Riprendo alcuni passaggi “cuore” delle Note pastorali 2022-23 e 2023-24, da mantenere efficaci e propongo quello centrale della Nota 2024-25. Ad ognuno di tali passaggi collego le tre parole del cammino sinodale: la comunione come espressione di sinodalità compiuta, la partecipazione come esercizio di speranza (cf l’anno giubilare 2025: spes non confundit) e la missione come vocazione della Chiesa tanto universale che particolare.
- Nota pastorale 2022-2023. Chiesa di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, ASCOLTA: non c’è sinodalità senza ascolto!
Declinare la comunione come espressione di sinodalità compiuta
ICONA biblica: Luca 6, 17-19
“Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti”.
I tre versetti del capitolo sesto di Luca posti tra l’elezione dei Dodici apostoli (vv. 12-16) e la proclamazione delle Beatitudini (vv. 20-23), costituiscono una efficace e stringente sintesi del “metodo o processo sinodale” che innervava la modalità con cui Gesù annunciava il Vangelo del Regno, camminava per le strade della Palestina, incontrava e si lasciava incontrare dal Popolo.
Ecco tre motivi per fissare lo sguardo su questi tre versetti:
- Luca sottolinea che il primo motivo che spinge discepoli e la gente ad avvicinarsi a Gesù è semplicemente quello di volerlo ascoltare.
- L’autore evidenzia due tipologie di persone che si muovono per ascoltare Gesù: i discepoli, persone già da Lui avvicinate e cercate, e la Di questa seconda categoria non si indica alcun riferimento o motivazione religiosa, anzi si sottolinea la differenza geografica e culturale facendo intravvedere promiscuità di fede religiosa e derive di paganesimo.
- Le altre motivazioni che portano la gente da Gesù (il bisogno di essere guariti da malattie, liberati dai tormenti di spiriti immondi, o semplicemente il desiderio di riuscire a toccarlo), costituiscono un sintetico elenco di fragilità-bisogni umani che hanno necessità di essere ascoltati per trovare risposte ed avere possibilità di cura e di cambiamento.
La conclusione è che ascoltare è il primo verbo che individua l’azione evangelizzatrice di Gesù e apre alla missione. Ascoltare diventa così il primo verbo perché la Chiesa risponda alla propria missione facilitando la partecipazione e creando comunione. Essere gente che ascolta esprime l’identità sinodale: si evangelizza se attenti ad ascoltare ed ascoltarsi!
Gesù non inizia il suo rapporto né coi discepoli, e meno ancora con le folle pronunciando sermoni, facendo comizi o proclamando verità religiose o leggi morali. Gesù inizia sempre permettendo a tutti, discepoli e moltitudini promiscue, di poterlo avvicinare, pur correndo rischi. Permette che lo tocchino, che cerchino di aggrapparsi alle sue vesti, che gridino a lui per farsi udire e presentare le richieste d’aiuto e di senso più disparate. È Lui che per primo si mette in postura di ascolto e permette che si gridi a Lui presentando richieste, bisogni, speranze, come pure delusioni ed insulti per cacciarlo (cf. il caso di coloro che vengono detti posseduti dal demonio). Si può applicare al modo di fare di Gesù il n. 1 della Gaudium et Spes: Gesù solo dopo aver ascoltato “le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono … può proporre a tutti il messaggio di salvezza, perché si è reso solidale col genere umano e con la sua storia”. Solo dopo essere stati ascoltati, tanto i discepoli, quanto la gente comune, possono essere nell’attitudine di ascoltare la Parola ed accogliere le Beatitudini (Lc 6, 20-23).
Impariamo da Gesù ad ascoltare. Il verbo ascoltare non è mai anonimo: risponde a soggetti ben precisi. Si specifica in diverse tipologie con forme e modalità proprie, diversamente si ricadrebbe in un soliloquio sordo. Senza ascolto non c’è salvezza, senza ascolto non c’è missione e sinodalità!
Prendiamo coscienza che la Chiesa sinodale è quella che ascolta, e solo così è in grado di “camminare insieme” e annunciare il Vangelo, e lo fa imparando ogni giorno a:
- ascoltare le persone,
- ascoltare la Città,
- ascoltare l’Ambiente,
- ascoltare la Storia,
- ascoltare gli altri ad intra nella Chiesa,
- ascoltare gli altri ad extra della Chiesa,
- ascoltare Dio Padre e Creatore.
- Nota pastorale 2023-2024. Chiesa di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo sii ABITAZIONE di Dio dalla PORTA aperta!
Declinare la partecipazione come esercizio di speranza (Giubileo 2025)
ICONA biblica: Giovanni 10, 7. 9-10
Allora Gesù disse loro di nuovo: “in verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. … Io sono la porta, se uno entra attraverso di me, sarà salvato: entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.
La porta: si tratta dell’unico elemento edilizio usato da Gesù nei Vangeli, lo applica a sè stesso e ad un’indicazione di percorso che chiama porta stretta.
- La porta è allo stesso tempo l’elemento più importante (senza di esso l’edificio è inaccessibile ed inutilizzabile) e più debole (non sorregge nulla e deve essere contenuta, sorretta e custodita). Se è così, allora avere cura dell’Abitazione/Chiesa significa custodire le debolezze, non averne paura, partire da ciò che è debole, non da ciò che può apparire pieno di forza o promettere certezza. C’è un punto di debolezza che si evidenzia oggi: la Chiesa non è più centro, ma è relegata in periferia. Sapersi periferia è presa di coscienza di fragilità, è accoglienza e cura di ferite, è balsamo di pace, è impegno a tracciare nuove architetture di relazioni civili ed ecclesiali.
- La porta è mobile per garantire le due funzioni: entrare ed uscire. È luogo di passaggio/transito, non posto dove sostare/fermarsi! La porta va lasciata sempre libera, non può essere ostruita da nulla e nessuno, perderebbe la sua funzione. Se è così, allora dare accesso alla Abitazione/Chiesa significa, per ogni comunità che si dice cristiana, curare gli spazi e i luoghi di libertà e saperli presentare alla gente di oggi, possibilmente col linguaggio di oggi. Dare accesso alla Chiesa, quale Abitazione-casa, richiede di incentrare l’annuncio partendo dall’anelito di libertà prima che dalla dottrina o dalla logica e funzione della legge (compresa quella canonica), o dal ripetere abitudini consolidatesi nel tempo.
- La porta non è solo un elemento dell’edificio Chiesa, ma anche indicazione/distinzione di spazi: la porta è posta sulla soglia e indica un confine posto per essere transitato. Il confine della soglia non ha la caratteristica dell’invalicabilità, meno ancora la divisione netta costituita da un muro, o la sorveglianza di una “dogana”. Si tratta di un confine aperto e mobile, che invita ad oltrepassarlo continuamente. La soglia è il vero confine della Abitazione/Chiesa, è lo spazio sacro/santo da allargare ed estendere. La soglia spinge gli abitanti della Chiesa-casa alla missionarietà da estendere “fino ai confini del mondo”!
La comunità ecclesiale attraversa la porta per entrare nelle celebrazioni, ascoltare l’annuncio di salvezza, formarsi alla carità e alla vita fraterna. Chiunque arriva deve essere accolto e accompagnato perché possa incontrare Lui, il Crocifisso Risorto, Salvatore del mondo. Per raggiungere tale obiettivo, la comunità dei discepoli di Cristo deve essere disposta a tutto, anche a cambiare le proprie abitudini e vedere sconvolti i propri piani: deve essere disposta a lasciarsi scoperchiare il tetto della casa (Lc 5,19).
Da gente che vive sulla soglia ci strutturiamo su tre impegni che ci rendono portatori attivi della speranza evangelica che non delude (Rm 5, 5 e Bolla di indizione del Giubileo 2025):
I IMPEGNO: siccome il cammino sinodale è vita non conservazione, bisogna rendere la sinodalità lo stile permanente della vita e delle scelte che si compiono come Chiesa locale e universale. La sinodalità-comunione mantiene la Chiesa aperta al futuro che viene dallo Spirito.
II IMPEGNO: non ci può essere sinodalità se nella Chiesa si vivono o semplicemente si fanno intravvedere atteggiamenti “discriminanti” verso persone, generazioni e visione di futuro. L’ascolto e l’accoglienza, senza pregiudizi, dei giovani, dei poveri e del “futuro già presente” sono parte costitutiva e inseparabile dell’annuncio del Vangelo e della testimonianza di fraternità: sono esercizio di speranza, sempre performativa!
III IMPEGNO: la sinodalità ci impone di non essere neutrali o assenti rispetto alla pace, alle ingiustizie, alle ineguaglianze, all’ambiente. Non si tratta di valori “non negoziabili”, ma di “presenze ineludibili” da parte della Chiesa. Si tratta di luoghi esistenziali che la Chiesa deve abitare e costruirvi “casa” quasi realizzando un piano regolatore per il pianeta e l’umanità di oggi ispirato al Vangelo.
- Nota pastorale 2024-2025. Chiesa di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, APRITI e PARLA del Signore al tuo territorio!
Declinare la missione come vocazione ecclesiale
ICONA biblica: Marco 7, 31-37
Tornando dalla regione di Tiro, Gesù passò per Sidóne e si diresse verso il Mar di Galilea, attraversando la regione della Decàpoli. Qui gli portarono un sordo che aveva difficoltà a parlare, e lo supplicarono di porre la mano su di lui. Allora Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla; gli mise le dita negli orecchi e, dopo aver sputato, gli toccò la lingua. Alzando gli occhi al cielo, fece un profondo sospiro e gli disse: “Effathà”, cioè: “Apriti”. Allora i suoi orecchi si aprirono e la sua difficoltà a parlare svanì, e così iniziò a parlare normalmente. Quindi Gesù ordinò di non dirlo a nessuno; ma più lo proibiva, più la gente ne parlava apertamente. Infatti erano tutti pieni di stupore e dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa. Fa perfino sentire i sordi e parlare i muti”.
C’è bisogno di far proprie tre osservazioni esegetiche per la comunicazione del Vangelo oggi nei propri ambienti e rispondere in questo modo alla vocazione ad essere discepoli–missionari.
Prima osservazione: geografica (periferia)
I luoghi citati, Tiro, Sidone, Decapoli, sono tutti extra-Israele, sono terre definite “pagane e infedeli”. Non si tratta di una semplice osservazione geografica o culturale, ma un’indicazione di metodo evangelico: è là dove il Vangelo sembra lontano per storia e cultura, assente e incomprensibile al linguaggio, magari anche rifiutato o deriso, è proprio là dove bisogna andare e seminare. Non c’è luogo o cultura impermeabile o impenetrabile all’annuncio della Buona Notizia. In ambienti simili serve il coraggio di entrarvi e camminarci in mezzo da “seminatori” fedeli e generosi, senza paura di sprecare tempo, occasioni o forze, ricchi della sola generosità sfondata, disponibili a rimanere a mani vuote[1]. La missione ci chiede di essere degli “ottimisti esagerati” e seminatori generosi, dalle mani bucate senza pregiudizi di alcun genere: il Vangelo è per tutti senza differenze e senza bisogno di condizioni particolari. Il nostro dovere deve essere unicamente quello di seminare Vangelo ovunque, perché tutti hanno diritto di sentirlo e non esiste nessun ambiente che non possa esserne contagiato o dove non possa mettere radici e portare frutti. Prima sta il diritto di ricevere l’annuncio del Vangelo, da parte di chi non lo conosce, ed il dovere di annunciarlo, da parte di chi lo ha ricevuto. È in epoca ed ambienti come quelli di oggi che si apre il tempo della Profezia. Le nostre comunità credenti non temano di attraversare questi territori esistenziali; se sanno di paganesimo, indifferenza o ateismo, significa che stanno aspettando l’annuncio. È questo il terreno su cui oggi ci è chiesto di seminare generosamente, senza giudicare o peggio rinunciare alla seminagione ritenendolo terreno inadatto ad aprirsi per accogliere il seme!
Seconda osservazione: sociale (essere e fare comunità)
Insieme all’indicazione geografica il testo ci consegna anche un’indicazione socio-esistenziale: gli portarono un sordo che aveva difficoltà a parlare, e lo supplicarono di porre la mano su di lui (Mc 7, 32). Da Gesù non si arriva da soli, ma si è portati da qualcuno: ci vuole una comunità, anche numericamente piccola. Procedere da soli significa rimanere chiusi, non riuscire a trovare spazio di respiro e capacità di relazione: da soli, anche se gli organi di senso sono sani, si rimane sordi e muti. L’iniziativa, che permette l’intervento di Gesù, parte da persone generose, in collaborazione tra di loro, e non dal bisognoso dell’infermo. Si tratta di una osservazione importantissima, che non dobbiamo trascurare: si può dire che perché Gesù si riveli servono suoi discepoli, perché Gesù compia miracoli, servono suoi missionari, perché Gesù agisca e parli serve almeno una piccola comunità. La prima funzione dei discepoli e missionari di Gesù è quella di favorire l’avvicinarsi ed entrare in relazione con Gesù.
Poniamoci tre domande, corrispondenti ai tre verbi presenti nell’icona evangelica: vedere, portare e supplicare. Sanno le nostre comunità credenti vedere la povertà e carenza di comunicazione in tante persone e situazioni? Sanno sentirsi responsabili e portare queste persone e situazioni a Gesù? Sanno supplicare il Signore perché intervenga dall’alto con la forza della sua mano? Vedere, portare e supplicare: sono i verbi della missione per il mondo di oggi.
Terza osservazione: apertura (comunicazione)
Se osserviamo con attenzione la pericope ci accorgiamo che il bisognoso è condotto da Gesù a causa della situazione di chiusura in cui si trova. Tutti i tentativi precedenti di aiuto sono falliti, solo Gesù può ridonare a quest’uomo la capacità di poter tornare a relazionarsi con sé, con gli altri, con la realtà. Gesù non gli toglie i problemi, le avversità, né gli cambia il mondo intorno a lui, ma gli dona qualcosa di più importante: la capacità di potersi relazionare con il tutto. Ecco perché la parola centrale di questo segno compiuto da Gesù è Effathà, cioè apriti. Bisogna imparare ad aprirsi e comprende che l’atteggiamento d’apertura non riguarda solo la persona singolarmente presa, ma anche le comunità nelle loro diverse forme, interessa le Istituzioni ed a volte le stesse culture. Gesù ci comanda di aprirci anche come comunità di credenti, come Chiesa locale e universale; ci comanda di riconoscere il primato del noi, come società, come Istituzioni tanto religiose che civili. Effathà è un comando efficace di Gesù, non un consiglio o una semplice strategia: ciò significa che ogni apertura vera è una manifestazione di fede e di civiltà, e ogni chiusura ne è il suo esatto contrario.
Se viene meno la conversione dell’uomo a Cristo, tutto si riduce a riti e tradizioni, alla comoda logica del si è sempre fatto così: logica che paralizza l’autentica Tradizione, abortizza la creatività del Vangelo, svuota la libertà di pensiero e ammala la collettività civile e la Chiesa. Ciò che viene meno oggi, non sono le abitudini, o le tradizioni o i riti, o immagini dal contenuto religioso, ciò che è venuta a mancare all’uomo è una reale conversione di fede. Convertirci per santificarci e santificare è l’impegno che dal nostro Gargano ha lanciato P. Pio al mondo intero!
Termino leggendo un breve testo di una lettera di P. Pio alle sorelle Ventrella che ho commentato al Convegno nazionale dei Gruppi di preghiera qui a San Giovanni Rotondo: «Che posso io fare e dire di più per fermare questo flusso di pensieri nei vostri cuori? Non vi affaticate per guarirli, perché questa fatica li fa essere più infermi. Non vi sforzate di vincere le vostre tentazioni, perché questo sforzo le fortificherebbe; disprezzatele e non vi ci trattenete sopra; rappresentate alle vostre immaginazioni Gesù Cristo crocifisso tra le vostre braccia e sopra i vostri petti; e dite, baciando più volte il suo costato: “Ecco la mia speranza, ecco la viva sorgente della mia felicità; io ti terrò stretto, Gesù, e non ti lascerò finché non mi avrai posto in luogo di sicurezza”» (Epist. III, p. 570).
+ p. Franco crs
[1] Cf Lettera pastorale Il Seminatore uscì a seminare 2019-2020, pagg 51-55. Cf il Diario del nostro Servo di Dio don Antonio Spalatro che fa continuamente richiamo al bisogno di attivare come seminatori del Vangelo una generosità che sfonda il cuore ed i cuori.
Foto di L. Ciuffreda