Cari fratelli e sorelle,

in questa domenica che, nell’itinerario quaresimale, è la “Domenica laetare” – la Domenica della gioia – che ci lascia intravedere all’orizzonte il dono della Pasqua ormai imminente, abbiamo l’opportunità di sperimentare concretamente tale sentimento ritrovandoci insieme al termine di questa particolare processione con il venerato Crocifisso storico della nostra Cattedrale.

Saluto paternamente ciascuno di voi, iniziando da don Renzo Di Fonzo, Vicario generale; don Mauro Ranaldi, parroco della Cattedrale, e tutti i sacerdoti della Vicaria di Castellaneta.

Un particolare ringraziamento lo rivolgo alla Confraternita del Santissimo Crocifisso, che da secoli – pur tra alterne vicende – custodisce la devozione a questo Crocifisso e ha curato con dedizione questi giorni di grazia.

Attraverso le vie della nostra città abbiamo camminato dietro la Croce di Cristo, manifestando pubblicamente la nostra fede: è questo il segno della gioia che ha origine dalla speranza fondata in Cristo Gesù, Crocifisso e Risorto, nostra unica salvezza.

La Parola di Dio di questa domenica si concentra in modo particolare sulla misericordia di Dio che guarisce e sulla riconciliazione che ci rinnova. In particolare, possiamo cogliere un unico messaggio di speranza, articolato in tre immagini chiave.

La prima è tratta dal libro di Giosuè: il popolo d’Israele, dopo il lungo cammino nel deserto, è finalmente giunto nella Terra Promessa. Gli Israeliti celebrano la Pasqua nella nuova terra e assaporano i frutti di quel suolo. È un momento di totale rinnovamento: finisce il tempo della schiavitù e del vagare, inizia il tempo del compimento delle promesse.

Quel “oggi” in cui Dio rimuove la vergogna dell’Egitto simboleggia la fine di ogni schiavitù e vergogna del passato.

Anche noi, nel nostro cammino spirituale, siamo invitati ancora una volta ad abbandonare il “deserto” del peccato per entrare nella terra della comunione con Dio.

Ogni conversione autentica è un passaggio dalla miseria alla misericordia, dalla fame alla sazietà: solo “per-con e in Cristo” la nostra vita rifiorisce come una terra fertile.

San Paolo ci ha mostrato, poi, il cuore del messaggio cristiano: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).

È in Cristo crocifisso e risorto che avviene una nuova creazione. Dio Padre, per mezzo della Croce di Gesù, riconcilia a sé il mondo: non tiene più in conto i nostri peccati, perché suo Figlio li ha presi su di sé.

Paolo insiste: Dio «ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2Cor 5,18) e ci ha resi «ambasciatori» di Cristo (2Cor 5,20).

Le sue parole rivelano però un’urgenza, quasi una supplica: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).

In questo tempo di Quaresima la Chiesa ci ripete di continuo lo stesso appello: ritornate a Dio, accogliete il perdono che Cristo ci ha ottenuto sulla croce. Non a caso Paolo aggiunge una frase potentissima sul mistero della Croce: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

Gesù, l’innocente, sulla croce si è caricato dei nostri peccati, si è identificato con noi peccatori, per donarci la salvezza. Questo è l’amore riconciliante di Cristo: sulla Croce Egli crea un ponte tra la nostra miseria e la misericordia del Padre, rendendoci giusti e nuovi nel suo amore.

Abbiamo infine ascoltato la splendida parabola del Padre misericordioso, meglio conosciuta come parabola del figliol prodigo. Gesù, con immagini vivide, ci mostra la realtà della misericordia di Dio.

Il figlio minore chiede la sua eredità e si allontana dal padre, sperperando tutto in un paese lontano: è l’immagine dell’umanità peccatrice che si allontana da Dio cercando illusorie libertà e felicità.

Ma lontano dalla casa paterna, quel figlio sperimenta la fame, la solitudine e la degradazione (arriva a desiderare il cibo dei porci). Quante volte anche noi, lontani da Dio, ci ritroviamo affamati di amore vero e ridotti in miseria spirituale!

A un certo punto, però, questo figlio «rientrò in sé stesso» (Lc 15,17): capisce che da suo padre stava bene e decide di ritornare. È il passo del pentimento e della speranza: spera che il padre almeno lo tratti come un servo, uno dei salariati.

Ma ecco il colpo di scena: il padre lo vede da lontano, ha compassione, gli corre incontro, lo abbraccia teneramente e  non lo lascia parlare! Lo riveste con la veste più bella, gli restituisce la dignità di figlio, mette un anello al dito (segno di fiducia) e i sandali ai piedi (segno di libertà ritrovata), e ordina ai servi di preparare una festa grandiosa. «Bisognava far festa e rallegrarsi – dice il padre – perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (cfr. Lc 15,32).

Che meraviglia, fratelli e sorelle!

Questo è il cuore del Vangelo: Dio è un Padre che ci aspetta sempre, ci corre incontro quando scegliamo di tornare verso di Lui e fa festa per noi.

Ogni volta che un peccatore si pente, in cielo è festa!

Ma, la parabola accenna anche al figlio maggiore, che pur stando sempre col padre, mormora e non comprende la misericordia.

È questa l’immagine della tentazione di sentirci giusti e di non accettare che Dio sia così buono con chi ha sbagliato. Gesù ci invita invece ad avere il cuore del Padre, a rallegrarci per ogni fratello riaccolto.

In definitiva, questa parabola ci rivela il volto di Dio-Amore, un Padre che perdona sempre e ridona vita nuova a chiunque ritorna a Lui.

Queste tre letture vogliono prepararci alla gioia di Pasqua: così come il figlio è tornato in vita, come Israele è entrato nella terra promessa, così anche noi siamo chiamati a passare dalla morte alla vita nuova. E tutto ciò è possibile solo grazie a Gesù Cristo, in particolare grazie al mistero della sua Croce, che è all’origine di ogni riconciliazione e speranza. 

Carissimi fratelli e sorelle,

con la bussola della Parola di Dio, volgiamo ora lo sguardo proprio a Lui, Gesù Crocifisso, che è qui dinanzi a noi.

È un’immagine che parla senza parole perché ci ricorda quanto Dio ci ha amati e quale è il prezzo della misericordia celebrata nelle letture.

Abbiamo compiuto un gesto significativo nel camminare dietro la Croce di Cristo per le strade: esso esprime la nostra volontà di seguire Gesù sul cammino del Calvario.

Nel Vangelo, il figlio prodigo ha avuto il coraggio di ri-mettersi in cammino verso la casa del padre; così anche noi, seguendo Gesù, vogliamo ritornare al Padre.

E proprio Gesù ci dice nel Vangelo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,22-25).

Camminare dietro Cristo con la croce significa imparare a rinnegare l’egoismo, a fidarsi di Dio anche nei momenti di prova, sapendo che da quella Croce scaturisce la vita nuova.

Mentre il mondo rifiuta la croce perché la vede solo come sofferenza e fallimento, noi cristiani dobbiamo abbracciare la Croce di Gesù perché in essa vediamo la vittoria dell’Amore. Sulla Croce, Gesù ha già vinto il peccato e la morte; sulla Croce, Egli ha abbracciato tutti noi peccatori, perdonandoci.

C’è un’antica espressione della tradizione cristiana che proclama:

«Salve, o Croce, nostra unica speranza».

Sembra un paradosso chiamare la Croce “unica speranza”, ma è la più assoluta verità di fede, perché da quel legno infame è sgorgata la nostra unica salvezza.

La Croce era strumento di supplizio, ma Cristo l’ha trasformata in albero di vita e trono di gloria.

Guardando il Crocifisso comprendiamo che nessun peccato è troppo grande per non essere perdonato, nessuna notte è troppo lunga da impedire all’alba della misericordia di sorgere.

La potenza salvifica della Croce è tale che può trasfigurare ogni nostro dolore in occasione di amore e redenzione.

Camminare dietro la Croce, dunque, dà speranza al nostro cuore, perché quando portiamo i nostri pesi insieme con Gesù, non andiamo verso il buio, ma verso la luce della Pasqua. Sappiamo infatti – e oggi lo abbiamo testimoniato pubblicamente – che solo Cristo Crocifisso e Risorto può dare senso ai momenti difficili della vita.

San Paolo osò affermare: «Non ci sia altro vanto per me che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). Anche noi vogliamo vantarci della Croce, cioè riporre in essa tutta la nostra fiducia, perché sulla croce splende l’amore fedele di Dio.

Papa Francesco, durante la preghiera di quel famoso 27 marzo 2020, lasciando ammirare il prodigioso Crocifisso di San Marcello al Corso a Roma, ricordò che proprio nel Crocifisso possiamo trovare sicurezza e speranza: «Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati… Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore».

Sulla croce, Gesù ci ha guariti dal male e ci ha abbracciati come fece il padre col figlio prodigo, perché niente ormai possa separarci dall’amore di Dio. Ecco perché la Croce è sorgente di speranza: è lì che possiamo sperimentare fino a che punto Dio ci ama e sappiamo che questo amore onnipotente è con noi in ogni tribolazione. Nel momento in cui tutto sembra perduto, la Croce ci assicura che Dio può trarre la vita dalla morte, la luce dalle tenebre. Nessuna situazione, per quanto difficile, è senza speranza se è posta ai piedi della Croce di Gesù.

Affidiamo infine il nostro proposito di camminare sempre dietro a Gesù Crocifisso alla Vergine Maria, che ha seguito il suo Figlio fino ai piedi della Croce. Maria, la nostra Madre Addolorata e piena di fede, ci insegni a rimanere saldi presso la Croce con amore e speranza. Sotto il suo sguardo materno, riprendiamo rinfrancati il nostro “pellegrinaggio di speranza”. Amen!

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