Carissimi fratelli e sorelle, carissimi confratelli,
mercoledì scorso abbiamo ricevuto l’austero segno delle ceneri per dare inizio al cammino quaresimale nelle nostre comunità parrocchiali di appartenenza. Oggi viviamo questa celebrazione cittadina col proposito di dare inizio tutti insieme al cammino quaresimale accompagnati dalla preziosa reliquia della Sacra Spina che per un misterioso disegno della storia è custodita ormai da secoli in questa Santa Cattedrale. Mentre dunque mettiamo i primi passi del cammino quaresimale, la Parola di Dio che ci è stata annunciata ci viene incontro con due pagine ricche di spunti e suggerimenti davvero preziosi per il nostro cammino verso la Pasqua.
Innanzitutto la prima lettura, tratta dalla lettera dell’apostolo Pietro, offre intensi motivi di riflessione a noi cristiani di questo tempo così particolare, segnato sia dagli eventi legati alla diffusione della pandemia, che hanno messo a dura prova per ben due anni il cammino di tante nostre famiglie e delle nostre comunità parrocchiali ed associative, e sia in questi ultimi giorni tristemente segnati dall’esplosione di eventi di guerra appena alle porte della nostra Europa cosiddetta cristiana. È quanto mai importante che noi davvero prendiamo sempre più coscienza che questa nostra società, che se pure conserva tanti simboli e tradizioni cristiane, come questa che stiamo vivendo noi insieme stasera, si caratterizza sempre più come un mondo in cui il Vangelo è di fatto disatteso, assente dall’articolazione dello scorrere dell’esistenza, addirittura completamente sconosciuto a tanti. E riscopriamo così, ancora una volta qual è la nostra vocazione, in quanto popolo di Dio che segue la via del vangelo.
Ebbene, ci ha detto l’apostolo Pietro che noi siamo chiamati a questo: sopportare con pazienza la sofferenza che viene dal fatto che abbiamo scelto di fare il bene. E ci viene presentato Gesù con il suo esempio di vita: Egli non commise peccato, non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta. Sì, carissimi, facciamo il bene per scelta di vita, per impegno preso, per coerenza con quello che diciamo di essere. Facciamo il bene soprattutto per sconfiggere le trame del male che in tante forme si espande e provoca dolore e sofferenza a tanti uomini e donne.
Ma queste parole di S. Pietro hanno bisogno di essere ben attualizzate. comprendiamo subito che “fare il bene” è una espressione così generica che alla fine può voler dire tutto e dire niente: E allora ci soccorre il brano del vangelo che ci è stato proclamato, tratto dalla pagina evangelica, nella quale abbiamo ascoltato alcuni passaggi del racconto della passione di Gesù offerti dall’evangelista Giovanni. Si tratta del processo subìto dal Signore Gesù davanti a Pilato. Il quadro che ci viene presentato è quello del Signore che, dopo aver fatto tanto bene e solo bene a tutti, tradito e venduto da Giuda, uno dei dodici, viene condotto dalla folla al giudizio di Pilato. Sì, aveva fatto solo bene, tanto bene: malati guariti da ogni sorta di infermità, morti richiamati in vita, folle sfamate con abbondanza… eppure in quel processo-farsa davanti a Pilato la folla chiedeva la sua morte, addirittura preferendolo a Barabba, un violento e pericoloso terrorista, diremmo oggi.
E l’accusa riguardava il fatto che si era dichiarato “Figlio di Dio”. Perciò, visto che si proclamava re, ecco che come tutti i re che si rispettano, viene incoronato per sfregio. E, ci dicono i racconti evangelici, non si trattava di una corona d’oro, bensì di una corona di spine. E le spine, pungono, fanno male, fanno sanguinare. Ecco allora che comprendiamo il senso dell’esortazione che ci ha fatto san Pietro: Siete chiamati a sopportare con pazienza la sofferenza facendo il bene. E lui stesso, Gesù, nella pagina evangelica di oggi, ci fa vedere come si fa.
Celebrando oggi la festa della Sacra Spina, facciamo memoria di una storia che ha dell’incredibile: per un disegno misterioso della provvidenza una spina di quella corona è giunta qui, nella nostra città, per diventare vero gioiello per la fede, che rende preziosa la nostra chiesa.
Come non pensare, allora o carissimi, che questa nostra Chiesa proprio per questo motivo, ha ricevuto una particolarissima vocazione, alla quale tutti dobbiamo rispondere che sempre maggiore gratitudine e responsabilità: mostrare come si fa ad accettare la sofferenza facendo il bene senza mai inseguire sogni di grandezza, di efficienza e di gloria. È un vero e proprio gioiello che certo impreziosisce la nostra chiesa, del quale tutti mentre siamo fieri ed orgogliosi, ci dobbiamo sentire fortunati custodi.
Ma vi dicevo che non possiamo e non dobbiamo dimenticare nemmeno per un attimo che più che una fortuna, si tratta di una vocazione e perciò di una consegna, quella che Gesù ha fatto e fa alla nostra chiesa, lasciandoci questo prezioso gioiello: la consegna a saper soffrire, operando il bene.
Sì, la nostra chiesa, la nostra città hanno bisogno di cristiani, ancor di più: di ministri ordinati che scelgono di fare il bene, in tutte le sue modulazioni e le sue forme, pronti sempre a saperci misurare con la sofferenza che viene dall’aver fatto la scelta del bene. Senza farci divorare da rimpianti e pentimenti, della serie: Ma chi me la fa fare…tanto non serve a niente! Gesù non ha ragionato così, è andato fino in fondo, accettando in pieno il destino della croce, del dolore.
E, occorre ricordarcelo, la scelta del bene, non è una sventura che ci è capitata, ma ci è chiesta come segno di fedeltà alla nostra identità cristiana. Siamo cristiani non perché siamo fedeli alle tradizioni e alle usanze che da secoli si vivono nella nostra città. Siamo cristiani perché come Cristo abbiamo scelto di dedicarci, spendendoci con dedizione fino al sacrificio, a sconfiggere il male in tutte le sue forme, quel male che distrugge l’uomo e lo rende infelice, ben sapendo che questa scelta di vita ci consegna a sopportare mortificazioni, sofferenze, umiliazioni, incomprensioni. Se scegliamo di fare il bene sempre non è perché ci aspettiamo vittorie e successi, ma perché vogliamo veramente gloriarci del nome cristiano, e andare fino in fondo, senza rimpianti e patteggiamenti col male che si manifesta in mille forme e si rigenera sempre in forme inedite.
Concludendo questo momento di riflessione, vorrei esortare davvero tutti noi, come figli e fratelli della Chiesa e della città di Andria. ad identificarci sempre più come popolo della sacra Spina, popolo cioè di gente che si impegna e si mette decisamente in gioco, senza cedimenti, senza timori e senza tentennamenti, per la vittoria del bene, la vittoria dell’amore.
Amen!
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