Articolo del Vescovo apparso su “Nuovo Quotidiano di Puglia-Lecce”
1° dicembre 2024, pp. 1 e11.
 

Nel precedente articolo, pubblicato su questo giornale (domenica, 17 novembre 2024), avevo sottolineato che il vero senso del Natale consiste nel fatto che nella persona del Verbo incarnato la natura divina è unita alla natura umana. Il mistero dell’Incarnazione del Verbo è cantato dalla liturgia della notte di Natale con l’espressione “meraviglioso scambio” (admirabile commercium). Questa formula, più volte utilizzata dai Padri della Chiesa, sintetizza il cuore del messaggio cristiano: Dio assume la natura umana affinché l’uomo possa diventare come Dio. Naturalmente non si tratta di uno scambio alla pari, ma di un dono che si realizza per grazia di Dio a tutto vantaggio dell’umanità. 

L’espressione “meraviglioso scambio” è divenuta, fin dai primi secoli, la regola della fede e la carta d’identità dei cristiani. Essa propone l’idea della “divinizzazione” dell’uomo come risposta al desiderio più profondo che abita da sempre l’animo umano.  Si tratta, infatti, dell’antico sogno, coltivato dall’uomo fin dall’inizio della creazione del mondo (cfr. Gen 3,5); un sogno che si realizza non per la volontà dell’uomo che non può farsi Dio con le sue forze, ma per l’umiltà di Dio che scende dal cielo ed assume la sárx per elevare l’uomo alla sua stessa grandezza. Senza l’avvenimento della nascita di Gesù, la vita dell’uomo rimarrebbe un enigma. Il Natale, pertanto, è la festa della vicinanza di Dio all’uomo fino al punto da condividere la sua stessa esperienza, eccetto il peccato: la nascita, la sofferenza, la fatica e ogni umana debolezza fino alla morte in croce. Rendendosi visibile, Dio si rende accessibile e con la sua luce divina dona felicità, fiducia e gioia all’uomo.

Vi è però un aspetto di questa verità di fede che bisogna evidenziare per la sua rilevanza teologica, filosofica e antropologica e cioè il carattere antinomico del mistero di Cristo, in virtù del “principio calcedonese” secondo il quale egli è, nello stesso tempo, vero Dio e vero uomo, senza confusione e senza separazione, senza mescolanza e senza divisione. Questa dottrina propone un criterio di conoscenza generale del mistero a tutti i livelli e costituisce il paradigma principale della soluzione dell’universale bipolarismo antinomico. Molti autori hanno fatto di questo principio un punto fondamentale della loro visione dell’uomo e del mondo. Basti pensare alla dottrina della coincidentia oppositorum di Nicolò Cusano, alla professione dei due contrari di Blaise Pascal, all’unità delle virtù contrarie di John Henry Newman, all’antinomia della realtà di Paul Ricoeur, alla teoria dei doppi pensieri di Italo Mancini. 

Oltremodo significativa è l’idea dell’opposizione polare di Romano Guardini. La sua teoria degli opposti evidenzia che l’essere non è ‘unilaterale’, ma ‘bilaterale’, non è ‘unisignificante’, ma ‘bisignificante’. L’essere immersi nelle opposizioni reali della vita è il passo necessario per conoscere le logiche polivalenti e bilaterali che non si possono cogliere con strumenti basati su approcci riduzionistici che la modernità ha portato alle estreme conseguenze. 

Per Guardini, la coscienza critica dell’antinomia della vita è la chiave di volta per evidenziare il nesso tra verità e amore, verità e libertà, soggettività ed oggettività. La logica della “polarità vivente” o del “modello polare” si nutre del confronto e dell’apertura all’altro delineando così un pensiero dell’et-et dove un polo si presenta con risorse specifiche che arricchiscono l’altro e provocano un potenziamento reciproco. Questa visione metafisica privilegia la complementarità e non l’esclusione. «La teoria degli opposti – scrive Romano Guardini – è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell’unità concreta». È la legge dell’unità nella differenza e non dell’omologazione e dell’uniformità. Essa spinge a considerare e ad amare sino in fondo i diversi significati e a rispettarli nella loro integralità. 

In questa prospettiva, non ha alcun senso porre l’alternativa tra la vita terrena e quella eterna, “l’aldiquà” e “l’aldilà”, l’essere per gli altri e l’essere per Dio, la pro-esistenza e la vita teologale, la fede e la carità. Scindere il legame che unisce questi binomi significa non solo ridurre la verità dogmatica della dottrina cristiana, ma diminuire anche il valore profondo dell’essere umano, rivelato nell’umanità del Verbo incarnato.  

Accogliamo, pertanto, il Natale in tutta la sua ricchezza teologica, filosofica e antropologica e facciamo oggetto della nostra riflessione e della nostra prassi il suo messaggio. Soprattutto non trasformiamo il Natale da festa del “meraviglioso scambio” a un più semplice e banale “scambio di regali”, secondo la visione consumistica propria del nostro tempo. In Gesù Bambino, nato a Betlemme al tempo dell’imperatore Augusto, si realizza l’evento straordinario e inaudito dello “scambio dei doni” tra Dio e l’umanità. Lasciamoci, pertanto, cullare dalle dolcissime e struggenti melodie natalizie che cantano, con parole semplici e facilmente comprensibili a tutti, l’admirabile commercium tra Dio e l’uomo. Al cuore inquieto del credente e del non credente queste nenie popolari infondono serena armonia e intima pace.  

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