Carissimi fratelli e sorelle,
carissime Autorità civili e militari,
grazie per la vostra presenza e per la disponibilità con cui avete accolto questo invito.

Il Signore oggi ci raduna in questo Santuario mariano per una celebrazione che non appartiene ad una categoria particolare, ma tocca il cuore stesso del nostro vivere sociale: il Giubileo della Politica e delle Forze Armate e dell’Ordine Pubblico.

Due “mondi” chiamati – ciascuno nel proprio ambito – a custodire e rinnovare l’impegno per la speranza del nostro Paese e, in modo particolare, di questo territorio delle Gravine Joniche. Due mondi profondamente complementari nella loro missione:

  • il mondo della politica impegnato a generare visione, orientare processi, costruire il bene comune;
  • quello delle forze armate e dell’ordine pubblico, chiamato a garantire la sicurezza, tutelare l’incolumità dei cittadini, sostenere la convivenza pacifica.

La Parola di Dio, appena proclamata, illumina con grande forza la nostra riflessione.

Anzitutto il profeta Isaia. Questi ci ha parlato di una «città forte», di «porte che si aprono alla giustizia», di una «pace assicurata a coloro che confidano nel Signore». Non si tratta di mura di pietra o di bastioni militari: la “forza della città” è la fedeltà, l’integrità interiore, la fermezza di chi poggia la vita su Colui che non crolla mai.

In un tempo in cui:

  • la politica e le istituzioni sono messe alla prova da sfiducia sociale, polarizzazioni, crisi valoriali e rapide mutazioni globali;
  • e le Forze dell’Ordine affrontano nuove forme di insicurezza, tensioni sociali e fragilità diffuse;

la parola del profeta ci ricorda che senza una stabile roccia interiore tutto vacilla.

Non reggono le strutture se vacillano i cuori.

Non reggono le leggi se si smarrisce il senso della giustizia.

Non reggono i sistemi di difesa se viene meno la dignità della persona umana che intendono proteggere.

Gesù, dal canto suo, nella pagina del Vangelo, va ancora più a fondo e ci consegna un criterio decisivo: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”» (Mt 7,21). Non basta semplicemente appellarsi ai valori o proclamare i principi: la vita cristiana – e con essa ogni responsabilità pubblica che ne deriva – si misura sulla capacità di costruire sulla roccia della Parola del Signore: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile all’uomo saggio» (Mt 7,24).

È proprio qui la differenza tra una casa solida, fondata sulla roccia, e una casa eretta sulla sabbia.

L’immagine che usa Gesù è facile da comprendere:

  • la sabbia è ciò che promette stabilità senza offrirla;
  • la sabbia è l’apparenza del consenso, il calcolo di convenienza, della ricerca di vantaggi immediati;
  • è la tentazione di compiacere invece che di servire.
  • La roccia, invece, è la coerenza, l’onestà, il legame tra ciò che si proclama e ciò che si compie, è la volontà di cercare la verità anche quando questa costa.

Per il mondo politico, questo significa ritrovare il senso alto della propria vocazione.

Il cardinale vietnamita François-Xavier Nguyễn Văn Thuân, che ha sofferto tredici anni di prigionia sotto il regime comunista del Vietnam – ha offerto nella sua “Carta delle Otto Beatitudini del Politico” un orizzonte oggi quanto mai profetico.

È beato – dice – il politico:

  • che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo;
  • la cui persona rispecchia la credibilità;
  • che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse;
  • che si mantiene fedelmente coerente;
  • che realizza l’unità;
  • che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale;
  • che sa ascoltare;
  • che non ha paura.

Otto beatitudini che non sono ideali romantici, ma il fondamento evangelico di una vita pubblica, non schiava degli umori del momento e delle logiche di potere, ma piuttosto radicata nella dignità della persona, nella giustizia sociale e nella ricerca sincera della pace, valore, quest’ultimo, oggi quanto mai di profonda e significativa attualità.

Non a caso e a più riprese, fin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Leone XIV ha ribadito la necessità di una «pace disarmata e disarmante». E in occasione della Veglia di preghiera per la pace dell’11 ottobre scorso ha aggiunto: la pace «non è deterrenza, ma fratellanza, non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono».

Una pace che siamo chiamati a costruire anzitutto nei nostri territori là dove nascono micro-conflitti che logorano il tessuto comunitario.

 

E proprio l’invito alla pace mi offre l’opportunità per rivolgere una parola preziosa anche a voi tutti, fratelli e sorelle che siete chiamati a vivere l’esperienza non semplice ma avvincente delle Forze Armate e dell’Ordine Pubblico.

Papa Francesco, il 9 febbraio scorso, in occasione della celebrazione giubilare a Roma, ricordò la vostra vocazione-missione (come compito di speranza) con queste parole: siete chiamati a essere «operatori di fraternità e artigiani di una sicurezza che non nasce dalla paura, ma dalla responsabilità e dalla prossimità» (cfr. Francesco, Omelia Giubileo delle Forze armate, di Polizia e di sicurezza, 9 febbraio 2025).

Spesso siete i primi ad arrivare dove c’è sofferenza, smarrimento e fragilità. Per questo siete davvero “custodi di speranza” ogni qualvolta intervenite nelle calamità, quando fronteggiate il male senza perdere l’umanità, quando difendete chi è fragile senza giudicarlo.

Ecco perché Papa Francesco volle anche definirvi «depositari e difensori della speranza».

Lo siete perché il vostro servizio rende visibile, tutti i giorni – e non dimenticatelo mai -, che lo Stato non abbandona, che la società ha un volto, che la comunità si prende cura.

La celebrazione odierna ci aiuta a comprendere che politica e forze dell’ordine non realtà parallele, ma forme diverse di un unico fondamentale servizio: la costruzione della casa comune.

La politica è chiamata a pensare al bene comune, plasmare orientamenti, aprire percorsi, talvolta con fatica, tra limiti e complessità.

Le forze armate e di sicurezza proteggono quel bene comune, lo difendono da ciò che lo minaccia, lo custodiscono nel quotidiano.

Una società è di certo più stabile quando le sue istituzioni non competono, ma si sostengono; quando non si sospettano, ma si stimano; quando non alimentano divisioni, ma collaborano.

E una Chiesa che accompagna, prega e offre criteri evangelici aiuta tutti a non smarrire l’essenziale, ciò che conta davvero.

Carissimi fratelli e sorelle, amici tutti,

la speranza non è un sentimento vago: è un compito, una responsabilità, un’arte che richiede perseveranza.

Il Giubileo ci chiede di assumere una speranza adulta e concreta, capace di abitare il presente senza cedere alla rassegnazione.

La speranza cristiana non nasce da un ottimismo ingenuo, ma dalla certezza che Dio è fedele e accompagna il cammino dell’uomo.

Per questo il profeta Isaia può dire: «La volontà del giusto è salda» (Is 26,3).

Per questo Gesù promette che la casa fondata sulla roccia non crollerà, anche quando i venti soffiano e le acque straripano (cfr. Mt 7,24ss).

Ed allora, questa mattina, in questo Santuario dedicato alla Mater Domini, alla Madre del Signore, attraverso di Lei vorrei affidare i vostri due mondi.

Affidiamo a Lei coloro che servono nelle istituzioni politiche, perché siano uomini e donne di coscienza, capaci di ascolto, di visione larga, di coraggio morale, e di quella sobria fermezza che nasce dalla fede.

Affidiamo a Lei le Forze Armate e dell’Ordine, perché custodiscano la vita con dedizione, umiltà e onore, e perché il loro cuore rimanga saldo e tenero anche nelle prove più dure.

Affidiamo a Lei le nostre comunità, le nostre città, la nostra Italia, perché siano “città forti” erette sulla roccia, non per le loro mura, ma per la loro giustizia.

Il Signore oggi vi comunica una certezza per la vita: Confidate. Costruite. Non temete.

E noi tutti – come Chiesa, come cittadini, come servitori dell’uomo e dello Stato – rinnoviamo la nostra risposta: Eccomi!

Eccomi… per voler essere: custodi di speranza, artigiani di pace e servitori del bene comune.

Grazie per la vostra testimonianza, che vi auguro sempre più credibile agli occhi dei semplici.

Grazie per il servizio al bene comune, valore essenziale da custodire sempre.

 

+ Sabino Iannuzzi

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