A firma di Gian Guido Vecchi, il Corriere della Sera, oggi in edicola, pubblica l’intervista al prefetto del Dicastero delle cause dei santi all’indomani della firma del Santo Padre in calce ai decreti per la canonizzazione di Bartolo Longo (LEGGI) e di Giuseppe Gregorio Hernández Cisneros e per la venerabilità di Salvo D’Acquisto. Nelle parole del “nostro” don Marcello, altri piccoli elementi che aiutano a conoscere la forza spirituale che sorregge Papa Francesco anche in questi giorni di malattia e di sofferenza fisica. Leggiamo.

 

 

«Lunedì sera noi cardinali stavamo in piazza San Pietro per la recita del rosario presieduta dal segretario di Stato Parolin, ci eravamo appena sistemati e c’era anche l’arcivescovo Peña Parra, il sostituto, che si è voltato verso di me e mi ha detto sorridendo: “Hai visto che abbiamo portato i documenti firmati?”. Ho i decreti proprio qui davanti, con la firma del Santo Padre, ecco: Francesco, la data è giusto il 24 febbraio…». 

Il card. Marcello Semeraro, 77 anni, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, è legato a Bergoglio da un’amicizia di quasi un quarto di secolo, «lo conobbi durante la X assemblea generale del Sinodo dei vescovi, era il settembre 2001, le Torri Gemelle, l’arcivescovo di New York dovette tornare negli Stati Uniti e Giovanni Paolo II nominò me come relatore generale aggiunto l’arcivescovo di Buenos Aires, io ero il segretario speciale dell’assemblea e cominciammo a lavorare insieme…».

 

 

Eminenza, pare che nonostante tutto Francesco stia lavorando, no?

Sì, e non mi stupisce affatto in verità. Io gli avevo mandato la cartella con la documentazione tramite la Segreteria di Stato, ero d’accordo con il Papa che gliel’avrei fatta avere tramite loro, sono stati il card. Parolin e mons. Peña Parra a portargliela.

 

 

La cartella con i decreti delle cause dei santi che tra l’altro dichiara Venerabile il carabiniere Salvo d’Acquisto, l’ultimo passo prima della beatificazione?

Proprio così, un passo importante anche per l’unicità e la tipicità della causa di quel giovane che si fece uccidere al posto di ventidue innocenti. È stato proprio Francesco a introdurre, in questi casi, un nuovo criterio di giudizio: l’offerta della vita. Lo ha fatto citando un brano del Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.

 

 

Anche Francesco, del resto, in questi giorni non si risparmia, nonostante tutto…

Non voglio rendere le cose facili, però mi sta molto a cuore la sua forza d’animo, fondamentale per poter reggere questa situazione e reagire senza mai deprimersi. Non è solo l’energia psicologica che si può vedere in tante persone, è qualcosa di diverso, di più profondo.

 

 

Che cosa?

È una forza spirituale, interiore. Questo intendeva dire con la famosa frase: si governa con la testa, non con le gambe. La lucidità mentale, certo. Eppure, anche in questo caso, non si tratta soltanto di questo. Il fatto è che Francesco alimenta le proprie giornate con lunghi momenti di riflessione e di preghiera. È come quando si fa il pieno di benzina prima di un lungo viaggio. Si sveglia ogni mattina prima dell’alba e dedica almeno due ore alla preghiera personale.

 

 

Due ore?

Almeno. Tutti i giorni. Questa è la sua abitudine. Ricorda quando celebrava la messa a Santa Marta alle sette del mattino, la bellezza e la profondità delle sue omelie? Non c’era nulla di scritto, erano riflessioni spontanee che pronunciava a braccio, ma ciò che diceva era il frutto della lunga preghiera fatta appena sveglio in camera, da solo.

 

 

Perché diceva di non essere stupito?

Perché è sempre stato così, da quando lo conosco. Ci sono alcuni aspetti del suo magistero, come la “Chiesa in uscita”

e l’attenzione alle periferie, dei quali ha sempre parlato ma che ho riconosciuto come centrali solo ripensandoci, a posteriori. Ma la sua energia, quella sì, è la prima cosa che si notava appena lo incontravi.

 

 

Come vede la situazione?

Quando mi hanno avvertito che aveva firmato le carte, mi sono detto: così almeno qualcuno si convincerà che non sta morendo. È un segno di speranza. Certo, le difficoltà ci sono. Vengono dalle condizioni di salute, dall’età. Scherzando, mi verrebbe da dire che tutto questo magari gli servirà come lezione, a calmarsi un po’ e riguardarsi, in futuro!

 

 

Qual è il senso del rosario recitato dai cardinali in Piazza San Pietro?

È un momento che esprime la vicinanza della Curia al Santo Padre, perché Maria lo sostenga e lo aiuti a recuperare la

salute, come ha detto il Segretario di Stato. Alla fine del rosario, abbiamo recitato il canto tradizionale che una volta si

intonava la sera.

 

Quale?

“Oremus pro Pontifice nostro Francisco. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et

non tradat eum in animam inimicorum eius”. Ovvero: “Preghiamo per il nostro Papa Francesco. Il Signore lo conservi, gli doni vita e salute, lorenda felice sulla terra e lo preservi da ogni male”. Non era una preghiera di agonia.

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