Sarà pure poco noto ma i fedeli leccesi non celebravano la memoria di Sant’Oronzo solo nella giornata del 26 agosto. L’antico calendario locale registrava infatti altre tre ricorrenze consacrate al culto del martire.
Si trattava di feste volte a tramandare il ricordo di miracolosi interventi compiuti dal santo in favore della sua città. Il patrono, dunque, oltreché sul finire dell’estate, veniva ricordato anche il 19 gennaio con una processione penitenziale antimeridiana in cui erano protagonisti i membri dell’Arciconfraternita dell’Addolorata. Questo sacro corteo voleva esprimere la gratitudine verso il protettore per aver salvato Lecce dal sisma del 19 gennaio 1833.
Molto più sentita era però la solennità del patrocinio, fissata al 20 febbraio. In tale giorno si ringraziava il martire per lo scampato pericolo da un terremoto ben più tremendo, quello del 20 febbraio 1743. Questa memoria è oggi conservata solo dalla comunità di Botrugno.
A Lecce le due ricorrenze sono purtroppo cadute nell’oblìo, soprattutto dopo la riforma liturgica degli anni ’70. Grazie alla comunità della parrocchia del Cuore Immacolato di Maria ed ai parroci che, negli ultimi decenni ne sono stati la guida, viene ancora celebrata invece, come a Turi, la festa di Sant’Oronzo di ottobre. Ma come ebbe origine questa cerimonia oronziana autunnale?
Secondo mons. Protopapa, la festa (prevista di solito per la terza domenica del mese) venne istituita per commemorare la salvezza di Lecce da un’ulteriore scossa tellurica, quella del 12 ottobre 1856. Tuttavia, essendosi sviluppata, in breve tempo, tra i devoti, l’usanza di andare in pellegrinaggio al santuario fuori le mura proprio in quella occasione, ecco che la giornata venne intesa come una memoria del martirio del santo.
Una testimonianza, in presa diretta, di ciò che avveniva in quelle circostanze è offerta dalla penna del patriota e massone carovignese Salvatore Morelli (1824-1880) nell’opuscolo Il martirio di Sant’Oronzo e degli altri primi cristiani salentini, datato 1858. L’autore racconta come i fedeli leccesi si recassero alla chiesa extraurbana per poi condurre in città, in maniera solenne, un’effigie della santa testa del patrono, racchiusa in una teca di cristallo, sormontata da un ricco baldacchino. Il corteo giungeva nei pressi dell’attuale Porta Napoli quasi al tramonto e lì veniva ricevuto dalle maggiori autorità civili ed ecclesiastiche. Da quel momento si snodava per le vie cittadine, tra ceri e fiaccole ardenti, una processione che si concludeva in cattedrale. È lecito pensare che un forte impulso a queste cerimonie sia stato dato dal vescovo Nicola Caputo (1774-1862), cui appunto il Morelli dedica il suo scritto.
Alla luce di questa storia è davvero significativo come, anche quest’anno, già da giovedì 16 ottobre e fino a domenica 19, terza del mese, i leccesi possono nuovamente stringersi intorno al proprio santo. Recarsi in pellegrinaggio nel luogo che ha visto il martirio del nostro patrono è un atto di fede estremamente profondo perché ci riconnette alle radici più intime del nostro essere cristiani. La parrocchia Cuore Immacolato di Maria guidata da don Aldo Marzo e che ha in cura il santuario di Sant’Oronzo fuori le mura ha organizzato un triduo di preparazione che si concluderà domani sera con la messa presieduta da don Vito Caputo, delegato arcivescovile ad omnia (IL PROGRAMMA SOTTO).
Non si tratta soltanto di proseguire una tipica tradizione ormai secolare ma di riconoscere come in quel luogo sia sorta sul serio la Chiesa di Lecce. Oronzo ha sparso il suo sangue per la sua fedeltà al battesimo ricevuto. Ha testimoniato Cristo, non indietreggiando neanche dinanzi ai carnefici. Morendo ci ha visti tutti, uno ad uno, riconoscendoci come suoi figli e consegnandoci ciò che aveva di più prezioso, la fede nel Salvatore.








