Il ministero di Gesù è caratterizzato da due realtà: le parole e i gesti. Oggi assistiamo, nella pagina evangelica, a un gesto che si compie in terra pagana, segno che tutti sono chiamati alla salvezza, e che riguarda un sordomuto, cioè un uomo escluso da ogni rapporto con la società, almeno quella dell’epoca, visto che oggi si fa tempo per queste persone.

Gesù opera la guarigione in disparte, lontano dalla folla (come è sottolineato dalla costruzione greca della frase), e attraverso gesti particolari: il toccare con le proprie mani e il sospiro che accompagna il gesto. È come se fosse una nuova creazione che termina con una parola aramaica: Effatà (apriti) che ancora oggi ripetiamo sui bambini appena battezzati. Gesù riammette nella società quest’uomo che la condizione fisica aveva costretto a un certo isolamento. Ecco la scelta dei poveri e dei sofferenti perché siano eredi del Regno, come leggiamo nella conclusione della Seconda Lettura.

Il gesto di Gesù realizza la profezia che abbiamo ascoltato nella Prima Lettura, tratta da un oracolo del profeta Isaia circa la ricostruzione di Gerusalemme, dopo l’esilio, e il suo rivivere. È un oracolo gioioso che risente di una delle caratteristiche della seconda parte del Libro di Isaia: la consolazione. Dio consola il suo popolo con la sua presenza che ha le caratteristiche di una rivoluzione per come il profeta la descrive in tutto il capitolo e che culmina nel vedere dei ciechi, nel sentire dei sordi, nel saltare degli zoppi, nel parlare dei muti.

La reazione davanti all’opera di Gesù è duplice: di meraviglia da parte della folla di pagani, una meraviglia che lascia intuire un’adesione di fede; e di testimonianza da parte del sordomuto guarito. Questi diventa suo annunciatore, contravvenendo al comando di Gesù di non dire nulla a nessuno, questione che gli studiosi chiamano “segreto messianico”, che in realtà è un richiamo dello stesso evangelista a non fissarsi sui miracoli, sulle belle parole, sullo spettacolare per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, ma a guardare la Croce come paradossale luogo da cui si rivela la vera identità di Gesù, per bocca, ancora una volta, di un pagano, il centurione romano che presiede alla sua crocifissione (Mc 15,39).

Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico

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