Omelia nella Messa del XXV anniversario di ordinazione sacerdotale di don Paolo Solidoro
chiesa S. Chiara, Ruffano, 2 ottobre 2024
Caro don Paolo,
celebrando i venticinque anni di sacerdozio, considera il tempo trascorso e getta lo sguardo sul prossimo futuro, soprattutto soffermati a comprendere ancora di più il dono di grazia che il Signore ti ha elargito.
Volgi dunque lo sguardo al recente passato con il cuore colmo di gratitudine, pensando al tempo vissuto come manifestazione della grazia e della misericordia di Dio. Fai memoria di ogni piccolo frammento di vita, ricordando le relazioni di affetto intrecciate con i tuoi genitori, i familiari e gli amici e rivisitando i molteplici incontri vissuti con molte persone nell’esercizio del tuo ministero pastorale.
Guarda avanti, al tempo che verrà, con grande speranza e fiducia. La grazia che ti ha accompagnato negli anni passati ti sarà certamente di sostegno anche negli anni che verranno. Lascia riaffiorare la gioia degli inizi come dono e apri il cuore alla «speranza che non delude» (Rm 5,5). Ti attendono, certo, nuovi compiti all’interno della comunità ecclesiale e nuovi avvenimenti nella società civile carichi di esperienze positive, di frammenti di eternità, semi di gioia e di intima felicità.
Soprattutto tieni fissi gli occhi su Cristo, sommo ed eterno sacerdote. Il tuo giubileo sacerdotale non può trasformarsi in una sorta di tua autocelebrazione. Non sei chiamato a esaltare te stesso, ma a cantare le lodi del Signore che ti ha chiamato. Sarebbe triste volgere lo sguardo su di sé, mentre è fonte di gioia contemplare la bellezza e lo splendore del volto di Cristo e la meraviglia del suo amore. Domanda, piuttosto,perdono dei tuoi peccati e riscopri, ancora una volta, la dolcezza dell’infinita misericordia di Dio.
Festa degli angeli custodi
La festa degli angeli custodi è una ricorrenza liturgica particolarmente significativa per te e per me. Invita la tua persona a fare memoria del giorno della tua ordinazione, e chiede a me di ricordare il giorno della comunicazione della mia elezione all’episcopato. È bello per entrambi sentirci sotto la custodia e la protezione degli angeli custodi.
Nel libro dell’Esodo, Dio rassicura il popolo con queste parole: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato» (Es 23, 20). Parole analoghe sono ripetute dal salmista: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie» (Sal 91, 11). Nel Vangelo di Matteo, Gesù esorta a onorare gli angeli custodi: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10).
Anche molti scrittori e santi della Chiesa, come Ambrogio, Agostino, Crisostomo, Gregorio di Nissa, Bernardo di Chiaravalle e Gregorio Magno hanno illustrato la natura e la missione degli angeli ed hanno sostenuto che ogni uomo è accompagnato da un proprio angelo che lo custodisce e lo protegge lungo tutta la sua esistenza.
D’altra parte, gli angeli affollano le opere d’arte con la loro grazia e la loro bellezza. Sono il soggetto onnipresente nelle chiese, nelle edicole devozionali, lungo le strade a sottolineare la potenza e la gloria di Dio. Sono la rappresentazione di creature che non vediamo, ma che riempiono della loro presenza cielo e terra. Molti poeti come Rainer Maria Rilke, Salvatore Quasimodo, Umberto Saba e Trilussa hanno dedicato versi agli angeli, raffigurando in loro la rappresentazione del mistero “tremendum e fascinosum”. In realtà, l’angelo custode è segno della sollecitudine, della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini.
Svolgi il tuo ministero, sull’esempio di alcune grandi figure di cappellani militari
Il ministero sacerdotale, per certi versi, è simile a quello dell’angelo. Suo compito è di quello di camminare insieme al suo popolo, curare le sue ferite con la parola e i sacramenti, custodirlo di fronte alle avversità e ai pericoli. È quanto hai cercato di mettere in atto in questi venticinque anni.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta per l’imposizione delle mani di mons. Domenico Caliandro nella Chiesa Cattedrale di Ugento (2 ottobre 1999), hai conseguito la licenza in Ecclesiologia sacramentaria presso la Pontificia Università Lateranense in Roma (2000). Dal 2000 al 2004 sei stato vicario parrocchiale di Acquarica del Capo e, dal 2004 al 2009, amministratore e parroco di Montesardo e S. Dana. Dal 2009, in qualità di cappellano militare, hai prestato il tuo servizio nelle forze armate partecipando a diverse missioni di pace. Dal 1° settembre 2024, svolgi il tuo compito presso il Quartier Generale Terza divisione navale e Comando Brigata Marina S. Marco di Brindisi. Sei così chiamato ad offrire assistenza spirituale ed umana ai militari e alle famiglie, preparando i loro figli all’iniziazione cristiana oltre che a curare, con aiuti umanitari, le popolazioni colpite dalle guerre o da calamità naturali.
Ti siano di esempio alcune figure di cappellani militari che hanno vissuto esemplarmente la loro missione sacerdotale facendosi carico delle gioie, dei dolori, delle fatiche, delle speranze di quanti erano stati loro affidati. Tra di essi, compaiono i nomi di alcuni santi: don Angelo Roncalli (san Giovanni XXII) e fra Giovanni Forgione (san Pio da Pietrelcina) e il beato don Carlo Gnocchi (1902-1956), indimenticato cappellano al fianco degli alpini durante la seconda guerra mondiale e angelo dei “mutilatini” al termine del conflitto. Vi furono anche altre grandi figure di cappellani militari, come don Giovanni Minzoni, don Giovanni Rossi e don Primo Mazzolari, che è opportuno richiamare.
Innanzitutto don Giovanni Minzoni (1885-1923), definito il “Matteotti cattolico” perché ucciso dai fascisti (23 agosto 1923) dopo aver osato contrapporre il modello cristiano di educazione dei giovani a quello del regime[1]. Quando scoppiò la prima guerra mondiale, venne arruolato come cappellano. Inizialmente sembrò subire il fascino dell’avventura militare, ma ben presto comprese come il conflitto non era altro se non «un’inutile strage», come lo definì Benedetto XV. «Mi vedranno non un eroe – annotò nel novembre 1916 – ma almeno un sacerdote, che senza aver gridato viva la guerra ha saputo accorrere là dove vi era una giovane vita da confortare, una lacrima da sublimare, una goccia di sangue da rendere martire, un’anima da rendere santa! E allora la mia missione di sacerdote sarà più efficace nella nuova vita che si aprirà dopo la guerra». Infatti, terminato il conflitto e tornato ad Argenta, si impegnò, a tutti i livelli, per una ricostruzione etica del tessuto sociale. La sua priorità pastorale fu quella di formare coscienze solide, ben temprate sul piano morale.
Ugualmente significativo è l’esempio di don Giovanni Rossi (1886-1967), insignito della medaglia d’argento al valore militare, con questa motivazione: nei dodici terribili giorni di combattimenti sul Carso, fra il 23 maggio e il 5 giugno 1917, «non venne mai meno ai doveri della sua nobile missione. Primo fra tutti, in prima linea dette tutta la sua attività per rincuorare e sollevare i feriti colla parola della fede e della speranza. Durante le stesse giornate procedette, inoltre, di giorno e di notte, allo scoperto e sotto il continuo fuoco dell’artiglieria avversaria, all’inumazione dei caduti sul campo, dando così esempio di abnegazione sublime e alto spirito del dovere»[2].
Particolarmente stimolante è anche la figura di don Mazzolari. Inserito inizialmente nella Sanità militare e impiegato negli ospedali di Genova e di Cremona, nel 1918 fu inviato sul fronte come cappellano militare. Tutte le testimonianze concordano nel raccontare l’impegno e la passione umana con cui don Primo seguì i suoi soldati. Per lui il campo di battaglia era anzitutto «il campo dell’apostolo»[3]. Occorre ricordare che, nel 1955, apparve anonimo un libro dal titolo Tu non uccidere, che affrontava la questione della guerra. In esso egli riprese un suo scritto inedito del 1941, la Risposta a un aviatore, in cui si era già posto il problema della liceità della guerra. Divenuto parroco di Bozzolo approdò alla necessità di proporre l’obiezione di coscienza e pronunciò un durissimo atto di accusa contro tutte le guerre: «La guerra non è soltanto una calamità, è un peccato»; «Cristianamente e logicamente la guerra non si regge».
Sii attento all’insegnamento magisteriale sul dovere di costruire la pace
A questi esempi occorre aggiungere anche l’insegnamento magisteriale di alcuni pontefici. Innanzitutto quello di san Giovanni XXIII. Durante il periodo nel quale esercitò il suo ministero di cappellano militare, il giovane sacerdote Roncalli «affrontò il suo dovere di soldato e sacerdote italiano chiamato sotto le armi senza riserve e obiezioni riguardo alla liceità della guerra, quindi spinto non dalla sola convinzione di adempiere un dovere». Ancora nel 1917, egli rievocava così i sentimenti provati quando aveva ricevuto l’avviso di arruolamento: «Intesi subito una letizia interiore di poter mostrare a fatti come io sacerdote sentivo l’amore di patria che poi non è altro che la legge della carità applicata giustamente». Va anche sottolineato che non si allineò allo spirito della lettera con la quale, il 1° agosto 1917, papa Benedetto XV aveva indirizzato «ai capi delle nazioni belligeranti», esortandoli a far cessare quanto prima la guerra, definita «un’inutile strage».
Le convinzioni personali di Roncalli, in ogni caso, cambieranno poco dopo la fine effettiva del conflitto: «La guerra – affermerà nel 1920 – è stata e rimane un gravissimo male e chi ha completo il senso di Cristo e del suo Vangelo e lo spirito di fraternità umana e cristiana, non saprà mai sufficientemente detestarla»[4]. Divenuto pontefice, l’11 giugno 1959, rivolgendosi ai membri dell’associazione italiana dei cappellani militari in congedo, ricordava così la sua esperienza negli anni del primo conflitto mondiale: «Indimenticabile fu il servizio che compimmo come cappellano negli ospedali del tempo di guerra. Esso ci fece raccogliere nel gemito dei feriti e dei malati l’universale aspirazione alla pace, sommo bene dell’umanità. Mai come allora […] sentimmo quale sia il desiderio di pace dell’uomo, specialmente di chi, come il soldato, confida di prepararne le basi per il futuro col suo personale sacrificio, e spesso con l’immolazione suprema della vita. Questo insegnamento che le guerre diedero al mondo, come il monito più severo, fa dei cappellani militari gli uomini della pace, che con la loro sola presenza portano serenità negli animi»[5]. Va ricordato che, egli era un terziario francescano e che, l’11 aprile 1963, dopo la crisi dei missili di Cuba e del possibile conflitto nucleare ha emanato l’enciclica Pacem in terris, documento caposaldo del magistero dei Papi sulla pace. Qualche dissenso ha suscitato la dichiarazione pontificia del 17 giugno 2017, di «patrono dell’esercito italiano»[6].
Significativo è anche il discorso del 1986 di san Giovanni Paolo II ai cappellani militari: «Il vostro ministero si svolge su posizioni di frontiera non solo per l’organico collegamento alla Chiesa e a una struttura dello Stato, ma per le implicazioni sempre più delicate dell’ambiente dove voi operate. Dove c’è un uomo, lì c’è lo spazio per il sacerdote. […]. Tutti vogliono la pace; ed è certamente un fatto meraviglioso nella crescita morale dell’umanità […]. Il Concilio Vaticano II resta, anche in questo campo, il primo riferimento dottrinale e pastorale. Dai suoi documenti principali traspira l’anelito alla pace come tensione escatologica ed espressione storica del regno di Dio, ma anche il realismo legato alla condizione della volontà umana “labile e ferita dal peccato”[7]. Non si fa progredire la causa della pace negando la possibilità e il dovere di difenderla […]. La causa della pace, e dunque della sopravvivenza dell’umanità, richiede oggi un’attenzione e un equilibrio particolari. Come sacerdoti siete chiamati a dare il vostro contributo a questa buona causa, educando gli uomini – i giovani soprattutto – alla maturità cristiana»[8].
Caro don Paolo, in questo giorno giubilare, particolarmente significativo per il tuo cammino sacerdotale ti esorto a prendere in grande considerazione gli esempi di questi cappellani militari e a fare oggetto di attenta riflessione gli insegnamenti magisteriali sul tema della pace.
[1] Cfr. A. Bosio, Giovanni Minzoni. Terra incognita. Martirio, educazione e antifascismo, Effatà Editrice, Torino, 2023.
[2] G. Borella, D. Borgato, R. Marcato, Chiedo notizie di vita o di morte, Lettere a don Giovanni Rossi, cappellano militare della Grande Guerra, Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto 2004, p. 58.
[3] P. Mazzolari, Diario II (1916-1926), a cura di A. Bergamaschi, EDB, Bologna 1999.
[4] G. Zanchi e A. A. Persico (a cura di), Io amo l’Italia. Esperienza militare di un Papa. Studi e documenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2017.
[5] Giovanni XXIII, Discorso ai membri dell’Associazione Nazionale italiana dei cappellani militari, 11 giugno 1959, 2.
[6] Molto si è discusso sulla designazione con decreto del 17 giugno 2017 della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice papa Francesco, di dichiarare san Giovanni XXIII, papa, “Patrono presso Dio dell’Esercito Italiano”. A motivazione di questo patronato il decreto cita il suo zelo, come cappellano militare, nel promuovere le virtù cristiane tra i soldati, il luminoso esempio di tutta la sua vita e il suo costante impegno in favore della pace.
[7] Gaudium et spes, 78.
[8] Giovanni Paolo II, Discorso ai cappellani militari, lunedì, 10 marzo, 1986, 1-2.
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