Omelia nella Veglia di Pasqua
Chiesa Cattedrale, Ugento 19 aprile 2025.

Cari fratelli e sorelle,
questa è la grande veglia pasquale durante la quale la Chiesa celebra il mistero centrale della salvezza: la risurrezione di Cristo. Tutta la storia della salvezza si concentra e si riassume in questo avvenimento. A questo momento tende tutto il percorso storico e da questo evento tutto prende luce. In esso viene anticipato il destino futuro e la meta ultima della creazione e della storia. La risurrezione di Cristo è, nello stesso tempo, un evento storico ed escatologico. Si realizza nel tempo e ne anticipa la fine.

«O notte veramente beata»

Non ci sono testimoni oculari del momento della risurrezione di Cristo né è possibile dare una spiegazione razionale a quanto è accaduto. Gli apostoli e la prima comunità cristiana non hanno assistito all’avvenimento, che rimane avvolto nel silenzio e nell’oscurità della notte. Per questo l’Exultet di Pasqua canta: «O notte beata, tu solo hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi»[1].  

Il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea: «Nessuno è stato testimone oculare dell’avvenimento stesso della risurrezione e nessun evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più intima, il passaggio ad un’altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la risurrezione resta non di meno, in ciò in cui trascende e supera la storia, nel cuore del mistero della fede. Per questo motivo Cristo risorto non si manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli (cfr. Gv 14,22)»[2].

Ciò che conta è incontrare il Risorto

Questa grande veglia pasquale non celebra solo l’evento della risurrezione, ma rende presente il Risorto. Risorgere[3], in greco, è detto con due verbi (egéiro e anistemi) espressivi di un risveglio dal sonno e di un innalzamento da terra. Gesù crocifisso è stato svegliato da Dio dal sonno della sua morte; Dio ha rialzato da terra Gesù, caduto inerte al suolo. Tutto è avvenuto per una libera iniziativa di Dio e del suo Spirito, come quando una mamma sveglia dal sonno il suo bambino o un padre rialza da terra il figlio che è caduto. L’insistenza dei testi neotestamentari è sulla relazione interpersonale che si stabilisce tra il Risorto e i discepoli, non sulla modalità con cui si è realizzato l’avvenimento.

La fede della prima comunità dei credenti è fondata sui «testimoni della risurrezione di Cristo» (At 1,22). Ma anche dopo avere incontrato Gesù, i discepoli dubitano ancora (cfr. Lc 24,38) tanto la cosa appariva loro impossibile: credevano di trovarsi di fronte a un fantasma (cfr. Lc 24,39). «Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti» (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio (cfr. Gv 20,24-27) e, quando vi fu l’ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, «alcuni […] dubitavano» (Mt 28,17). Per questo l’ipotesi secondo cui la risurrezione sarebbe stata un “prodotto” della fede o della credulità degli apostoli non ha alcun fondamento. La loro fede nella risurrezione è nata dall’esperienza diretta avuta con Gesù risorto.

Quello che è accaduto all’inizio, accade in ogni tempo. Tutto si fonda sull’incontro personale e comunitario con il Risorto. Egli apparve agli apostoli con il suo corpo glorificato, a noi si mostra attraverso i segni che rendono presente la sua persona. I segni “oggettivi” sono quelli liturgico-sacramentali (la parola, i gesti, i segni, le azioni), i segni “esistenziali” sono quelli storici (i poveri, gli avvenimenti, gli eventi). Nel Vangelo di Marco, Gesù afferma: «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno […] Essi, allora, partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16, 17-18. 20). 

Anche la missione è opera del Risorto. È affidata ai discepoli, ma è il Signore ad «agire con loro (synergéo)» e a renderla efficace. Essi annunciano la Parola, ma è il Signore a «confermarla (bebaióo)» con i segni che la accompagnano. Sono “segni della fede”, cioè richiedono e suscitano la fede. Non si tratta di poteri magici messi nelle mani dei discepoli, ma di gesti del Risorto che avvengono in loro e per loro mezzo e, per questo, presuppongono la fede.

Gesù Cristo è il Figlio unigenito

Chi è colui che risorge? È «il Figlio unigenito» (1Gv 4,9)[4]. Nel brano di Gv 5,16-27, notiamo che i Giudei volevano uccidere Gesù perché chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Essi percepivano che Gesù non parlava come un semplice uomo e nemmeno come un angelo, ma come uno che ha una relazione unica con Dio. Con le sue affermazioni Gesù confermava ancora di più ciò che loro avevano percepito, ovvero che egli, chiamando Dio suo Padre, stava in realtà reclamando per se stesso le caratteristiche del Padre. 

Sono molti i passi in cui si trovano queste affermazioni. In Gv 8, 48-59, i Giudei volevano lapidare Gesù perché, parlando di Abramo si era riferito alla sua preesistenza in un modo molto provocatorio. L’espressione «Io sono» utilizzata da Gesù non poteva sfuggire ai suoi interlocutori. Afferma di esistere sempre al tempo presente, senza inizio né fine (cfr. Es 3,14). Non stupisce allora che gli interlocutori di Gesù considerassero blasfeme quelle parole al punto da volerlo lapidare.

Anche in Gv 10,31, troviamo un tentativo di lapidazione. Gesù afferma di agire in pieno accordo con il Padre al punto da affermare: «Io e il Padre siamo uno». Anche in questo caso, i Giudei avevano compreso bene che Gesù si stava paragonando al buon pastore di Israele, Dio, affermando addirittura di agire in armonia completa con il Padre. In definitiva, dalle parole stesse di Gesù comprendiamo che il suo essere Figlio di Dio non è da confondersi con il modo in cui una semplice creatura può essere chiamata così. Per quanto gli Ebrei potessero avere un’alta concezione del Messia di Israele, persino loro percepivano che Gesù aveva un concetto di se stesso che superava ogni loro immaginazione.

Gesù Cristo è primogenito dei risorti

Al tema di Gesù come unigenito si aggiunge quello di primogenito. Già Israele si riconosce sotto questo titolo come emerge dalle parole Dio che rivolge a Mosè: «Allora tu dirai al faraone: dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito» (Es 4, 22). Anche Israele si rivolge al Signore con il medesimo titolo: «Abbi pietà, Signore, del popolo chiamato con il tuo nome, di Israele che hai trattato come un primogenito» (Sir 36, 11). Questa condizione filiale coinvolge tutti i membri del popolo d’Israele, ma viene applicata in modo singolare al discendente di Davide secondo il celebre oracolo di Natan in cui Dio dice: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio» (2Sam 7,14; 1 Cron 17,13). Fondandosi su questo oracolo, la tradizione messianica afferma una filiazione divina del Messia. Al re messianico Dio dichiara: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Sal 2, 7; cfr. Sal 110, 3).

Il termine “primogenito” (prôtotokos, ebraico bekor), applicato a Cristo, designa la sua persona non solo come il primo di una moltitudine di fratelli (cfr. Rm 8,29), ma indica colui che, in forza della sua relazione privilegiata con il Padre, esercita un ruolo nei loro confronti. Egli è «il primogenito di ogni creatura» (Col 1,15) non nel senso che fu il primo essere creato, dal momento che il Figlio esiste dall’eternità come il Padre e lo Spirito Santo. Il termine “primogenito” esprime il concetto di “privilegiato” (Gen 43,33; 1Cr 5,1; 26, 10; 2Cr21:2-3), il più importante tra tutte le creature sia in cielo che in terra (cfr. Ef 1,10; 20-22; Fil 2,9-10; Eb 1,4).

Il tema di Cristo come “primogenito” è richiamato da alcuni passi del Nuovo Testamento (cfr. 1Cor15,20; Col 1,18; Ap 1,5). L’espressione “primogenito dei morti” (Ap 1,5) è uguale all’espressione “primogenito dai morti” (Col 1,18). In 1Cor 15, 20, Cristo è chiamato “primizia”, cioè il primo che risuscita dai morti rispetto a tutti gli altri morti che risusciteranno alla vita eterna alla sua seconda venuta. Cristo è il «primogenito della creazione» in quanto non solo la precede, ma nei suoi confronti esercita il ruolo di mediatore. Si sottolinea che tutte le cose sono state create non solo in (en) lui, ma anche per mezzo (dia) di lui e in vista (eis, verso) di lui, cioè trovano in lui la loro esistenza e il loro scopo finale (cfr. 1Cor 8,6, Rm 11,36). «Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,17). La mediazione di Cristo si attua dunque non solo nella creazione di tutte le cose ma anche nel loro ordine e nella loro stabilità nel tempo. 

A tal proposito Gregorio di Nissa scrive: «”Questo è il giorno che ha fatto il Signore” (Sal 117,24), giorno ben diverso da quelli che furono stabiliti all’inizio della creazione del mondo e che si misurano col trascorrere del tempo. Questo giorno segna l’inizio di una nuova creazione. Poiché in questo giorno Dio crea un cielo nuovo e una terra nuova, come afferma il Profeta. E quale cielo? Il firmamento della fede in Cristo. E quale terra? Un cuore buono, come disse il Signore, una terra avida della pioggia che la irriga e che produce abbondante messe di spighe»[5].

Capo della Chiesa 

Cristo risorto è anche «il capo del corpo, della Chiesa» (Col 1, 18). Accanto al suo ruolo come unico mediatore cosmico, a Cristo è attribuito anche un primato nell’ambito della Chiesa. Mentre Paolo immaginava la Chiesa come un corpo che si identifica con Cristo (cfr. 1Cor 10,17; 11,29; 12,12; Rm 12,4-5), l’autore di Colossesi la immagina come un corpo di cui i singoli cristiani sono membra, mentre Cristo svolge in esso il ruolo della testa (cfr. Ef 5,23). Questa affermazione viene poi specificata mediante due titoli: principio e primogenito. Anzitutto egli è il principio (archê): nella tradizione biblica questo termine, come prima quello di immagine, è posto in relazione con la Sapienza: «Il Signore mi ha creato come inizio (archê) della sua attività» (Pr 8,22). Poi si dice che egli è prôtotokos, primogenito, questa volta però non più del cosmo ma di coloro che risuscitano dai morti. Egli è il primo dell’umanità nuova a cui ha dato origine con la sua morte e risurrezione (cfr. Rm 8,29). 

L’opera svolta da Cristo nella redenzione ha lo scopo di fargli «ottenere il primato su tutte le cose». Il primato di Cristo dipende dalla decisione libera ed efficace di Dio, il quale ha fatto sì che in lui «prendesse dimora» (katoikeô) in modo stabile e definitivo «ogni pienezza» (plêrôma), cioè Dio stesso con l’abbondanza dei suoi doni (cfr. Col 2,9). Lo scopo del primato di Cristo è la riconciliazione di tutte le cose: il termine «riconciliare» (apokatallassô) indica la ricomposizione di un’unità che è stata spezzata. Questa unità consiste nell’armonia degli uomini con Dio, tra di loro e con tutto il creato. La ricomposizione dell’armonia originaria avviene, come già la creazione, «per mezzo di lui» (dia autou) e «in vista di lui» (eis auton): Cristo rappresenta quindi il centro di un universo riconciliato. La «pacificazione» è ottenuta mediante il «sangue della sua croce». 

Cristo risorto è, dunque, il principio e il centro di un universo riconciliato e pacificato. Questo ruolo è svolto da lui come capo del suo corpo che è la Chiesa, alla quale è affidato così il compito di essere segno visibile nella storia umana di quell’armonia di tutte le cose a cui tende il piano di Dio. «Come il capo e il corpo formano un unico uomo, così il Figlio della Vergine e le sue membra elette costituiscono un solo uomo e l’unico Figlio dell’uomo […]. Né il corpo è senza capo né il capo senza corpo, né il Cristo totale, capo e corpo, è senza Dio. Tutto con Dio è un solo Dio. Ma il Figlio di Dio è con Dio per natura, il Figlio dell’uomo è con lui in persona, mentre il suo corpo forma con lui una realtà sacramentale. Pertanto le membra autentiche e fedeli di Cristo possono dire di sé, in tutta verità, ciò che egli è, anche Figlio di Dio, anche Dio. Ma ciò che egli è per natura, le membra lo sono per partecipazione; ciò che egli è, lo è in pienezza, esse lo sono solo parzialmente. Infine ciò che il Figlio di Dio è per generazione, le sue membra lo sono per adozione»[6].


[1] Veglia pasquale, Preconio pasquale («Exsultet»): Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 167.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, 647.

[3] Chi ha usato questa parola era di cultura ebraica. Nel mondo greco, infatti, nessuno avrebbe mai detto che Gesù era risuscitato. Eschilo afferma: «Più non esiste risurrezione» (Eumenidi 647s.) e Plotino ribadisce: «II vero risveglio è una risurrezione dal corpo, non con il corpo» (Enneadi 3,6,6,70-72).

[4] «Il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre» Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150.

[5] Gregorio di Nissa, Discorso sulla risurrezione di Cristo, 1.

[6] Isacco della Stella, Discorso 42, PL 194,1831- 1832.  

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