Prefazione al libro di F. Russo (a cura di), Il restauro della Cattedrale di Ugento tra barocco e neoclassico, Nardini Editore, Firenze 2025, pp. 7-10.
La sera del 4 dicembre 2019, nono anniversario della mia ordinazione episcopale, (Cattedrale di Bari, 4 dicembre 2010) ho riaperto al culto la Cattedrale di Ugento, dopo 16 mesi di lavori di restauro (2018-2019). Questo nuovo intervento ha tenuto conto di quelli compiuti nel 1976 quando fu riorganizzata l’area presbiteriale per rispondere a precise esigenze liturgiche. Successivamente i lavori sono proseguiti in termini parziali, nel corso degli anni ’80 del Novecento e del primo ventennio del nostro secolo. In seguito, i lavori di restauro sono continuati: nel 2012 è stato ripulito il pavimento e i fedeli hanno contribuito per l’acquisto dei nuovi banchi. Nello stesso anno è stato completato il restauro del coro ligneo e dell’organo a canne; è stato rimosso il trono dal presbiterio ed è stato sostituito con la “cattedra” il cui dorsale consiste nel paravento proveniente dalla chiesa di S. M. degli Angeli di Presicce. È proseguito il restauro della cassa armonica e della cantoria (2014) sostituito con un nuovo organo a canne (2015). Si è poi provveduto al restauro delle bussole laterali del presbiterio, delle porte laterali della Cattedrale, quelle sottostanti l’organo, dei due confessionali di mons. Alleva, e poi della bussola centrale con il grande portone d’ingresso. Infine, elegante e dignitosa è stata la sistemazione della sacrestia (2015) e, negli anni 2018-2019, il restauro degli altari nella loro interezza e quello dell’intera struttura, con specifici interventi, e del pronao.
La Cattedrale di Ugento è dedicata alla Vergine Assunta e a san Vincenzo, come recita l’inscrizione incisa sull’architrave del portale. È situata al centro di una “costellazione” di chiese dedicate alla Vergine Maria, tra le quali spicca la Basilica di Leuca, e conferma l’idea che la comunità cristiana ugentina è una “diocesi mariana”.
L’opera di restauro della Cattedrale intona un inno alla bellezza affinché i singoli dettagli siano collocati nell’armonia dell’insieme e l’ordine esterno lasci trasparire l’armonia interna. Il santuario terrestre diventa figura di quello celeste. Entrare in questo spazio ordinato è come mettere piede nell’armonia del cielo e provare un’intima soddisfazione per il fatto che il mistero si svela in forme materiali. I criteri del restauro sono quelli fissati dalle finalità specifiche dell’arte cristiana: contemplativa, dal momento che crea un dialogo di preghiera con Dio; memorativa in quanto, grazie alla rappresentazione artistica, tramanda e custodisce nell’animo dei fedeli le verità di fede; didascalica, l’arte, infatti, è un ottimo mezzo per insegnare le verità di fede; decorativa, in quanto abbellisce un luogo utilizzando anche materiale prezioso per sottolineare il mistero e la maestà di Dio.
Il restauro, pertanto, si è caratterizzato per un intento squisitamente teologico. La preghiera di dedicazione della Chiesa così recita: «Questo luogo è segno del mistero della Chiesa / santificata dal sangue di Cristo / da lui prescelta come sposa, / vergine per l’integrità della fede, / madre sempre feconda nella potenza dello Spirito»[1]. Clemente Alessandrino spiega il senso di queste parole: «Non chiamo chiesa il luogo, ma l’insieme degli eletti. E questo tempio è certamente più adatto ad accogliere la grandezza della dignità di Dio»[2]. Mistero è parola che designa la Trinità, comunione d’amore rivelata dalla persona del Verbo incarnato. Ogni suo gesto è una particolare manifestazione del volto invisibile e ineffabile del Padre. Nata dalla morte e risurrezione di Cristo e continuamente vivificata dall’azione dello Spirito Santo, la Chiesa è il luogo dove il mistero di Dio prende forma e si esprime nel rito liturgico e nelle diverse azioni sacramentali. Essa è il luogo per eccellenza nel quale Dio Padre la edifica come tempio vivo dello Spirito, la raduna e la fa crescere quale Corpo del Signore e come tale la manifesta agli occhi del mondo[3].
Clemente Alessandrino diceva che l’intenzione di Dio nel creare il mondo è la salvezza dell’uomo e che questa intenzione si chiama Chiesa[4]. Il Concilio Vaticano II non ha insegnato diversamente quando ha detto che «è piaciuto al Padre di santificare e salvare gli uomini non separatamente e senza alcun legame fra loro, ma ha voluto costituirli in un popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santità»[5].
In particolare, la Cattedrale è il luogo in cui si compie l’evento salvifico operato da Cristo con la sua morte e risurrezione. Pertanto «è di Cristo ogni cattedrale; e a lui appartiene. Per lui si è innalzata una cattedra, sulla quale il suo apostolo, in sua vece parla; per lui un trono, sul quale chi tiene il suo posto siede; per lui un altare, dal quale chi lo rivive farà salire al Padre il suo stesso sacrificio; per lui è qui rinata la Ecclesia, il popolo col suo vescovo, e a lui innalza il suo inno di gloria e la sua gemente preghiera; è da lui che questo tempio acquista la sua misteriosa maestà»[6].
Il secondo motivo che ha caratterizzato l’opera di restauro è di natura ecclesiologica. La cattedrale è l’Ecclesia caput et mater omnium ecclesiarum. È la madre di tutte le chiese della diocesi e le altre non sono che la continuità di questa Chiesa. Esse non ci sarebbero se non fossero in perfetta comunione con questa. Ed è questa Chiesa “madre” che rende visibile la comunione, la fraternità e l’unità della nostra Chiesa locale, così che si possa percepire lo stretto legame con la Chiesa universale, che nella professione di fede crediamo essere «una, santa, cattolica e apostolica».
La cattedra è il primo segno che spiega pienamente il termine “Cattedrale” distinguendola da tutte le altre chiese. La presenza di questa cattedra fa della Chiesa Cattedrale il centro spaziale e spirituale di unità e di comunione del presbiterio diocesano e di tutto il Popolo santo di Dio[7]. Quando il vescovo è assiso sulla cattedra, egli si mostra di fronte all’assemblea dei fedeli come colui che presiede “in loco Dei Patris”, secondo la notissima formula di sant’Ignazio di Antiochia. Perciò, «colui che qui siede, tiene il posto di Dio Padre»[8]. Si tratta del «segno per eccellenza del magistero che spetta a ogni vescovo nella sua Chiesa[9], a garanzia della legittima successione apostolica nella comunione gerarchica con il vescovo di Roma. Attento al simbolismo della cattedra, Agostino annota: «Occorre che nel raduno dei cristiani coloro che presiedono il popolo seggano alquanto in alto, perché si possano distinguere dalla loro stessa sede e risulti sufficientemente chiaro il loro ufficio»[10].
La comunità cristiana che si riunisce in Cattedrale si manifesta come qahal, convocazione, assemblea, raduno dei figli che sono dispersi (cfr. Gv 11,52). I molti si danno appuntamento in un solo luogo per formare una sola famiglia ed essere «un solo cuore e un’anima sola» (At 4,32). “Convenire in unum” vuol dire costruire la città terrena a immagine di quella celeste. La preghiera per la dedicazione di una Chiesa riconosce che la Chiesa è la città santa «fondata sugli apostoli e unita in Cristo, pietra angolare: essa cresce e si edifica come pietre vive e scelte, cementate nella carità con la forza dello Spirito fino al giorno in cui, o Padre, sarai tutto in tutti e splenderà in eterno la luce del tuo Cristo»[11]. La forza aggregativa è l’amore di Cristo. «Congregavit nos in unum Christi amor», canta l’inno Ubi caritas et amor. Il radunarsi nella forza dell’amore di Cristo genera il corpo ecclesiale e fonda la comunità cristiana.
La terza finalità del restauro è consentire la degna celebrazione dei divini misteri. La costruzione della casa materiale è segno e simbolo della casa spirituale. Con una bella immagine sant’Agostino spiega questa verità: «Quello che qui avveniva mentre questa casa si innalzava, si rinnova quando si radunano i credenti in Cristo. Mediante la fede, infatti, divengono materiale disponibile per la costruzione come quando gli alberi e le pietre vengono tagliati dai boschi e dai monti. Quando vengono catechizzati, battezzati, formati sono come sgrossati, squadrati, levigati fra le mani degli artigiani e dei costruttori»[12].
L’unità dei credenti trova la sua massima espressione nella celebrazione liturgica. Il rito è il luogo rivelativo ed educativo della comunità credente. Si può così parlare di una perfetta circolarità: il cristiano fa la liturgia, e soprattutto la liturgia fa il cristiano. Nella liturgia – scrive Benedetto XVI – «rifulge il mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. […]. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del cielo sulla terra. […] La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione»[13]. Non senza ragione, Papa Francesco in Evangelii Gaudium sottolinea: «La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi»[14].
Ciò che più conta è che nella bellezza del rito risplenda la bellezza dell’umanità di Cristo, modello della nostra umanità. Come la divinità di Cristo si è rivelata nella sua umanità, cosi la santità della liturgia si mostrerà nella sua umanità. Più la liturgia sarà autenticamente umana più sarà profondamente divina. L’umanità di Gesù, diventata narrazione evangelica, si manifesta nel tempo attraverso la ritualità liturgica. I sacramenti della Chiesa sono rivelazione dell’umanità di Dio e narrazione dell’umanità di Cristo. La liturgia è umana quando è fedele all’umanità di Gesù Cristo: solo così sarà fedele all’uomo di oggi. E quanto più sarà evangelicamente umana, tanto più sarà autenticamente cristiana. Restiamo pertanto affascinati da questa triplice bellezza che si esprime nella forma estetica, nella fraternità mistica e nel rapimento liturgico.
Non bisogna dimenticare poi il valore sociale della Cattedrale di Ugento. Collocata nel contesto di un ambiente cittadino di grande rilievo per la ricchezza archeologica[15] e la bellezza paesaggistica, essa si erge sul punto più alto della città divenendo quasi il punto di riferimento dello sguardo del viandante, del turista e del pellegrino. Richiama così il carattere identitario di una comunità sociale e civile. Appare, infatti, come un corpo unico che tiene insieme la curia, il seminario vescovile e l’episcopio e ha come contrappeso il castello marchesale. Nella rinnovata riscoperta del territorio salentino, in quanto luogo di grande attrazione turistica, la Cattedrale di Ugento assume un ruolo identitario riconosciuto dai non credenti come riferimento storico-culturale, dai visitatori per le scoperte artistiche che offre al loro sguardo, dalle istituzioni e dalle autorità civili in quanto monumento e patrimonio artistico da conservare e da valorizzare.
Un ultimo aspetto si riferisce alla dimensione escatologica della vita cristiana. La Cattedrale, in quanto Ecclesia mater ed Ecclesia maior, ricorda che viviamo una duplice esperienza del mistero: una nel tempo, l’altra nell’eternità. Nella vita presente, cerchiamo ciò che in parte possediamo, nella speranza di godere eternamente e in modo pieno nella vita futura ciò che abbiamo sperimento durante l’esistenza terrena. Quanto vissuto nel tempo del pellegrinaggio è preludio, anticipazione, pregustazione di ciò che potremo assaporare in modo pieno nell’eternità[16]. La preghiera per la dedicazione di una Chiesa si rivolge al Signore con queste parole: «Tu ci hai dato la gioia di costruirti fra le nostre case una dimora, dove continui a colmare di favori la tua famiglia pellegrina sulla terra e ci offri il segno e lo strumento della nostra unione con te»[17].
Dopo i lavori di restauro, la Cattedrale si ripresenta come un invito ai credenti non solo a sentire cum et in Ecclesia, ma anche a sentire Ecclesiam, cioè a sentirsi parte viva di una comunità in cammino nel tempo in vista della gloria futura, custodendo l’eredità ricevuta e consegnando, in modo nuovo, alle future generazioni il suo patrimonio di fede e di carità.
[1] Pontificale Romano, Dedicazione della Chiesa e dell’altare, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980, p. 166.
[2] Clemente di Alessandria, Stromata, 7, 5, 29, 4.
[3] Cfr. Sacrosanctum Concilium, 41.
[4] Cfr. Clemente Alessandrino, Il Pedagogo, 1, 6.
[5] Lumen Gentium, 9.
[6] G. B. Montini, Discorso pronunciato a Crema nel rinnovato Duomo, 26 aprile 1959.
[7] Cfr. Giovanni Paolo II, Pastores Gregis, 34.
[8] Cfr. Ignazio di Antiochia, Ai Magnesiani, 6, 1: PG 5, 764; Ai Tralliani, 3, 1: PG 5, 780; Agli Smirnesi, 8, 1: PG 5, 852.
[9] Benedizionale, n. 1214.
[10] Agostino, Discorso, 91.
[11] Messale Romano, Prefazio della Messa per la dedicazione di una Chiesa, p. 766.
[12] Agostino, Discorso, 336,1.6.
[13] Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 35.
[14] Francesco, Evangelii Gaudium, 24.
[15] Cfr. G. Scardozzi (a cura di), Topografia antica e popolamento dalla Preistoria alla Tarda Antichità. Carta archeologica di Ugento, Quatrini Edizioni & Giuseppe Scardozzi, Viterbo, 2021.
[16] Cfr. Gaudium et Spes, 39.
[17] Messale Romano, Prefazio per la Messa per la dedicazione di una Chiesa, p. 767.
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