A partire dalla metà del Seicento, ogni convento dei Frati Minori Conventuali divenne meta di pellegrinaggi e di devozione popolare, grazie alla fama del loro confratello più illustre: san Giuseppe da Copertino (1603-1663).
Frate francescano conventuale, umile e poverissimo, legato in modo speciale all’Eucaristia, Giuseppe fu conosciuto come “il santo dei voli” per le sue estasi mistiche e per le levitazioni che accompagnarono spesso le sue preghiere e le celebrazioni liturgiche.
Le estasi mistiche nella chiesa di San Francesco a Nardò
Le fonti ricordano che anche a Nardò, nella chiesa un tempo dedicata a San Francesco (oggi chiesa dell’Immacolata), allora officiata dai Conventuali, il frate visse episodi straordinari.
Nell’occasione, orabat in ecclesia Sancti Francisci Nerit., ante SS.mum Sacramentum ibi espositum (“pregava nella chiesa di San Francesco di Nardò, davanti al Santissimo Sacramento ivi esposto”), fu captus super scannum ligneum Altaris Maioris (“rapito sopra il gradino ligneo dell’Altare Maggiore”) e, dopo aver compiuto tre giri su se stesso spatium trium circiter passum (“per uno spazio di circa tre passi”), remansit in estasi (“rimase in estasi”), come confermarono i testimoni: quod testes sciunt (“ciò che i testimoni conoscono”).
Un documento di particolare rilievo conferma che già a 32 anni Giuseppe viveva queste esperienze straordinarie. Nel 1635, infatti, il giovane vicario generale Giovanni Granafei scriveva al vescovo di Nardò Fabio Chigi – futuro papa Alessandro VII – una testimonianza preziosa e diretta: “ha l’estasi di continuo fra Gioseppe da Copertino conventuale, fa vita veramente di S. Francesco ed è stimato da tutti gran Servo di Dio”.
Questa dichiarazione, sebbene annotata quasi con tono di incredulità, resta una delle testimonianze più autentiche e veritiere sul frate, confermando come già in giovane età fosse riconosciuto universalmente come un uomo di Dio, contrassegnato dal dono delle levitazioni.
Le Quarantore e l’estasi davanti all’Eucaristia
Uno di questi episodi avvenne nella chiesa neritina di San Francesco d’Assisi durante le solenni Quarantore, una pratica devozionale diffusissima all’epoca, che prevedeva l’adorazione continua del Santissimo Sacramento esposto in Ostensorio per quaranta ore, in memoria del tempo trascorso da Cristo nel sepolcro. Proprio per garantire che tale consuetudine non venisse mai meno nella chiesa neritina, nel 1667 il vescovo Girolamo de Coris (1656-1669) lasciò alla confraternita locale dell’Immacolata la somma di 111 ducati affinché si celebrassero le Quarantore negli ultimi tre giorni dei Baccanali (Carnevale). Per ricordare e tramandare l’istituzione, sulla porta della sagrestia fu collocata un’epigrafe.
Fu proprio in tale cornice che il futuro santo ebbe una delle sue più impressionanti estasi: elevandosi sino all’altezza dell’Ostensorio contenente l’Eucaristia, rimase sospeso in adorazione tra le numerose candele accese, senza che queste gli arrecassero alcun danno, sostando per qualche tempo in quell’atteggiamento rapito che suscitò grande commozione nei presenti.
Un’altra testimonianza ricorda un simile rapimento mistico, sempre nella stessa chiesa, mentre Giuseppe celebrava una Messa solenne dello Spirito Santo.
Probabilmente Giuseppe si trovò a celebrare qui invitato da qualche suo confratello conterraneo, come poteva essere Felice Desa da Copertino (forse suo congiunto, poiché portava lo stesso nome del padre di Giuseppe), attestato nel 1614 come guardiano del convento dei Francescani. A lui coevi, sempre dimoranti nel convento neritino, furono Ludovico da Copertino, documentato nel 1632, e Bonaventura da Copertino nel 1636.
La comunità conventuale neretina e i confratelli di Copertino
Questi eventi, tramandati dalla documentazione coeva e dalla memoria popolare, si collocano in un periodo in cui la comunità conventuale neretina godeva di grande vitalità spirituale e prestigio. Il convento, situato accanto alla chiesa, era non solo centro di vita religiosa, ma anche fulcro di iniziative culturali e caritative, punto di riferimento per la popolazione e luogo di accoglienza per predicatori e religiosi di passaggio, che non trascurarono mai di ricordare nei loro sermoni i prodigi del santo.
La cappella dedicata a San Giuseppe da Copertino
Per ricordare le sue levitazioni ed estasi in questo luogo, i suoi confratelli decisero di dedicargli la prima cappella del lato destro, rispetto all’ingresso, ricostruita dopo il terremoto del 1743 sotto l’episcopato di mons. Carafa.
La tela principale che vi si conserva, di autore ignoto, è quasi certamente successiva al 1753, anno della beatificazione ad opera di papa Benedetto XIV, e con ogni probabilità realizzata dopo il 1767, quando Giuseppe fu proclamato santo da papa Clemente XIII.
Il dipinto raffigura il frate in pieno rapimento estatico: indossa l’abito scuro dell’Ordine francescano, con le braccia aperte in segno di abbandono, il capo circondato da un’aureola radiosa e il corpo sollevato da terra. Lo sguardo, intenso e trasfigurato, è rivolto verso una grande croce lignea, collocata nei pressi del convento della Grottella, luogo a lui carissimo. Sullo sfondo si riconoscono con precisione gli elementi urbanistici di Copertino, sua città natale: la cinta muraria, la chiesa matrice con il possente campanile, la porta del Malassiso e il mastio del castello, che conferiscono al dipinto un valore insieme devozionale e identitario.
La resa pittorica unisce la dimensione miracolosa – il corpo che levita senza alcun sostegno – a quella spirituale, raffigurando Giuseppe come mediatore tra il cielo, qui denso di nubi e popolato di angeli, e la terra che gli dette i natali.
L’opera si presenta dunque come una memoria visiva di forte impatto devozionale, capace di trasmettere ancora oggi il ricordo di uno dei momenti più alti della storia spirituale della città e del legame di questa chiesa con il “santo dei voli”.







