11Un giorno Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i loro lavori forzati. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. 12Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno, colpì a morte l’Egiziano e lo sotterrò nella sabbia. 13Il giorno dopo uscì di nuovo e vide due Ebrei che litigavano; disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». 14Quegli rispose: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere, come hai ucciso l’Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». 15Il faraone sentì parlare di questo fatto e fece cercare Mosè per metterlo a morte. Allora Mosè fuggì lontano dal faraone e si fermò nel territorio di Madian e sedette presso un pozzo. 16Il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Esse vennero ad attingere acqua e riempirono gli abbeveratoi per far bere il gregge del padre. 17Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difendere le ragazze e fece bere il loro bestiame. 18Tornarono dal loro padre Reuèl e questi disse loro: «Come mai oggi avete fatto ritorno così in fretta?». 19Risposero: «Un uomo, un Egiziano, ci ha liberato dalle mani dei pastori; lui stesso ha attinto per noi e ha fatto bere il gregge». 20Quegli disse alle figlie: «Dov’è? Perché avete lasciato là quell’uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo!». 21Così Mosè accettò di abitare con quell’uomo, che gli diede in moglie la propria figlia Sipporà. 22Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom, perché diceva: «Vivo come forestiero in terra straniera!».

Lectio..alcune coordinate

  • La vocazione ad essere leader: un dato di fatto ma non automaticamente una missione per il popolo.
  • Il sotterramento (dell’egiziano) come stile.
  • La paura: una costante nella vita di Mosè.
  • La fuga: come soluzione del problema?
  • Un senso innato di giustizia.
  • Una nuova casa “fuori” da quella nativa: rinascita.

Meditiamo

La paura un tratto umano “speciale”. R.M. Saplsky ha scritto un utile volume intitolato Perché alle zebre non viene l’ulcera? 2014, in cui affronta la questione dell’assenza nelle zebre, nei babbuini, nelle iene e negli altri animali delle malattie croniche che affliggono, invece, l’uomo moderno: ulcera, depressione, colite, infarto. La risposta all’interrogativo è abbastanza facile: perché la zebra ha paura nell’immediato quando vede il leone ma, una volta passata questa situazione di pericolo, finisce la paura e con essa lo stress psico-fisico. La paura che assale la zebra anche nella sua parte più emotiva, lo stomaco, segue il suo naturale percorso intestinale e viene «espulsa». Gli uomini non funzionano così.

– I sette effetti della paura. Dal Libro della Sapienza: «La paura altro non è che l’abbandono degli aiuti della ragione; quanto meno ci si affida nell’intimo a tali aiuti, tanto più grave è l’ignoranza della causa che provoca il tormento. Ma essi [gli Israeliti], durante tale notte davvero impotente, uscita dagli antri del regno dei morti anch’esso impotente, mentre dormivano il medesimo sonno. Così chiunque, come caduto là dove si trovava, era custodito chiuso in un carcere senza sbarre. Il vento che sibila o canto melodioso di uccelli tra folti rami o suono cadenzato dell’acqua che scorre con forza o cupo fragore di rocce che precipitano o corsa invisibile di animali imbizzarriti o urla di crudelissime belve ruggenti o eco rimbalzante dalle cavità dei monti, tutto li paralizzava riempiendoli di terrore. Il mondo intero splendeva di luce smagliante e attendeva alle sue opere senza impedimento. Soltanto su di loro si stendeva una notte profonda, immagine della tenebra che li avrebbe avvolti; ma essi erano a se stessi più gravosi delle tenebre (Sap 17,11-20)». 1) Irrazionalità(«abbandono degli aiuti della ragione»); 2) incoscienza («l’ignoranza della causa»); 3) debolezza/impotenza («notte davvero impotente…regno dei morti impotente… »); 4) immobilismo («chiunque era custodito chiuso in un carcere senza sbarre», «tutto li paralizzava»), 5) «allucinazioni» («il vento che sibila…canto … suono cadenzato dell’acqua … cupo fragore di rocce… corsa invisibile di animali imbizzarriti… urla di crudelissime belve ruggenti… eco rimbalzante dalle cavità dei monti»); 6) perdita della reale percezione del mondo («il mondo intero splendeva di luce smagliante e attendeva alle sue opere senza impedimento… soltanto su di loro si stendeva una notte profonda»): 7) senso di oppressione («essi erano a se stessi più gravosi delle tenebre»).

– La rinuncia e la fuga. Quando la paura si stabilisce permanentemente nel cuore, si perde il contatto con la realtà («allucinazioni»), non riuscendo più a distinguere il reale dall’immaginato, con il rischio di vivere in un mondo parallelo fatto di timori e sospetti (cf. FOMO: fear of missing out). Chiusi nel carcere delle proprie rappresentazioni della vita, combattiamo un nemico che non esiste. Se la stanchezza o i primi fallimenti spingono a fuggire e a «tirare i remi in barca», la riscoperta della bellezza della propria vocazione a servizio del popolo genera riconoscenza, e apre alla gratitudine. Così si esprimeva Benedetto XVI a proposito del legame tra missionarietà, sacerdozio e nuova evangelizzazione: «Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica» (Sacramentum caritatis, 85).

Educarsi alla fiducia. Bisogna imparare a educarsi alla fiducia per sconfiggere la paura: «(Gesù) salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: “Perché avete paura, gente di poca fede?”. Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia» (Mt 8,23-26). La fiducia consiste nell’aprirsi alle infinite possibilità di salvezza che solo il Signore conosce (come Mosè che viene accolto da Ietro e la sua famiglia), possibilità sconosciute ai discepoli resi impotenti dalla paura della tempesta e dalla disperazione.

– Riscoprirsi come dono. Se uno degli effetti della paura è l’incoscienza, si viene fuori da questo stato di ignoranza soltanto intensificando la propria vita interiore. «La formazione permanente è destinata a coinvolgere e assimilare progressivamente tutta la vita e l’azione del presbitero nella fedeltà al dono ricevuto: “Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani” (2Tm 1,6). Si tratta di una necessità intrinseca allo stesso dono divino che va continuamente «vivificato» perché il presbitero possa rispondere adeguatamente alla sua vocazione. Egli, infatti, in quanto uomo storicamente situato, ha bisogno di perfezionarsi in tutti gli aspetti della sua esistenza umana e spirituale per poter giungere a quella conformazione a Cristo che è il principio unificante di tutto» (congregazione per il clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 87).

Preghiera

 Gesù, ti presento tutte le mie paure: la paura di essere ri­fiutato da Dio, la paura nei confronti degli altri, la paura di certi «luoghi», la paura dinanzi al futuro e a situazio­ni difficili, la paura di dare una brutta impressione di me stesso. Ti presento tutte le mie insicurezze, i miei dubbi, le mie incertezze, il disprezzo che a volte sento di me stesso e della mia vita. Per queste paure e insicurezze mi sento come in mezzo a una tempesta. Tu hai detto agli apostoli sul lago di Galilea in tempesta: “Coraggio, sono io, non temete!”. Dillo anche a me e nel mio cuore si placheranno le onde furiose dell’insicurezza e della paura. Liberami da ogni dubbio e incertezza irragionevole, da ogni disprezzo di me stesso e della vita. Sii Tu il mio coraggio, la mia sicurezza, il mio punto d’appoggio, la mia forza di vivere e di agire. Infondi in me il tuo Spirito Santo che è Spirito di potenza e di libertà. Cuore di Gesù, confido e spero in te.

clic qui per l’articolo sul sito diocesano