
Carissimi fratelli e sorelle,
ancora una volta, questa sera, la Parola di Dio e la storia di un uomo di Dio si intrecciano come due funicelle diventando un’unica corda, una fune fortissima.
Infatti, le letture appena proclamate, ci prendono per mano e ci conducono nel mistero di un Dio che si lascia contemplare nella bellezza del creato e nella fedeltà della sua promessa.
La vita di don Cataldo, nel farsi memoria per il XXV anniversario di ordinazione presbiterale, ci mostra come questo Dio continui a farsi riconoscere nel volto e nel servizio di chi dona la sua vita per scrivere pagine sempre nuove di un Vangelo che continua ad incarnarsi nella storia.
Il libro della Sapienza ci ha ricordato che l’uomo è capace di scorgere Dio nelle opere delle sue mani, ma rischia talvolta anche di smarrirsi tra le cose che vede, dimenticandone l’Autore. E il sapiente si chiede: «se sono riusciti a conoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano?» (Sap 13,9).
Il sacerdote è colui che, proprio in mezzo a questo mondo a volte imprigionato dalle proprie conquiste, continua a indicare il Sovrano, perché egli è l’uomo che rimanda all’Altro, che non trattiene nulla per sé, ma lascia trasparire la luce di Dio attraverso la trama fragile – e a volte offuscata dal limite – della propria umanità.
Anche il Vangelo ci invita a vigilare: «Come avvenne nei giorni di Noè… così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà» (Lc 17,26.30).
È un richiamo forte alla responsabilità del presente.
Il sacerdote vive continuamente all’interno di questa tensione: annunciando la speranza ha la missione di risvegliare il mondo distratto e richiamarlo all’essenziale, ricordando che la vita non termina nel quotidiano, ma attende la piena manifestazione del Signore.
Nel suo recente magistero, Papa Leone XIV, in sintonia con la tradizione, ha ricordato che il sacerdote non appartiene a se stesso, ma al popolo che gli è affidato; e mentre offre il sacrificio di Cristo, offre anche la sua vita come segno di comunione e di speranza.
Il sacerdozio ministeriale, dunque, non è un privilegio, ma una forma di vita donata: una grazia che diventa servizio. È il volto della Chiesa che si fa madre e serva, sull’esempio del Signore che non disdegna di abbassarsi per «lavare i piedi ai suoi discepoli» (Gv 13,1-15) e «dare la vita in abbondanza» (Gv 10,10).
Don Cataldo, venticinque anni fa, il 29 aprile 2000, ha consegnato la sua vita proprio a questo grande ed ineffabile mistero.
Da allora la sua esistenza si è fatta eucaristia: cioè offerta quotidiana, preghiera silenziosa, disponibilità operosa.
Nel suo ventennale servizio come cappellano militare, egli ha di certo imparato a condividere la fatica e la solitudine di tanti uomini e donne chiamati a custodire l’ordine, la sicurezza, la giustizia e soprattutto la pace (valore e scelta oggi quanto mai attuale ed impellente). Ha imparato a benedire il sacrificio e a riconoscere, nelle ferite della storia, il volto di luce del Crocifisso.
Nel suo servizio liturgico di cerimoniere nelle celebrazioni del Vescovo – per il quale lo ringrazio – ha esercitato l’arte della cura, con la delicatezza che permette alla preghiera della Chiesa di rivelare la bellezza dell’ordine e dell’armonia.
Il Papa, parlando ai sacerdoti nel Giubileo di quest’anno, ha detto: «Il sacerdote è un amico del Signore chiamato a vivere con Lui una relazione personale e confidente, nutrita dalla Parola, dalla celebrazione dei Sacramenti e dalla preghiera quotidiana. Questa amicizia con Cristo è il fondamento spirituale del ministero ordinato, il senso del nostro celibato e l’energia del servizio ecclesiale cui dedichiamo la vita. Essa ci sostiene nei momenti di gioia e ci permette di rinnovare ogni giorno il “si” pronunciato all’inizio della vocazione» (Leone XIV, Discorso ai partecipanti all’incontro internazionale sacerdoti felici “Vi ho chiamati amici” (Gv 15,15), 26 giugno 2025).
Stasera celebrando l’eucarestia, stiamo ripetendo “insieme” il nostro grazie per questa fondamentale amicizia.
Come Papa Benedetto XVI ricordò in occasione del suo 65° di ordinazione presbiterale (28 giugno 2016), citando la parola scelta dal suo compagno di ordinazione Berger per l’immaginetta della prima messa, dobbiamo – e possiamo – ripetere la stessa sola parola: Eucharistomen.
Eucharistomen: è eucarestia, cioè dire grazie.
Un grazie che ci rimanda – sempre – ad una realtà umana e divina insieme.
Ogni volta che celebriamo l’eucarestia, non facciamo altro che ripetere questo grazie a Dio per i doni che ci elargisce, motivo per il quale non dobbiamo mai allontanarci dal vissuto eucaristico, che è pienezza ed offerta di vita.
E allora, questa sera, diciamo “insieme” grazie al Signore, che continua a donare alla sua Chiesa uomini come don Cataldo che offrono la propria esistenza per l’annuncio e la diffusione del Regno di Dio tra gli uomini.
Ma non possiamo esimerci dal dire grazie a don Cataldo che con la sua venticinquennale fedeltà, la sua disponibilità e il suo sorriso ci ricorda che il ministero non è una carriera, ma un cammino d’amore.
E infine un grazie a ciascuno di voi, carissimi fratelli e sorelle che, con la vostra presenza – al di là dei legami particolari di amicizia – continuate a sostenere i nostri sacerdoti con l’affetto e la preghiera.
Il ringraziamento non è un semplice gesto di cortesia, ma un profondo atto di fede.
Dire grazie significa riconoscere che tutto è grazia, che la vita è dono e che il servizio (il ministero) nasce dalla misericordia ricevuta.
Così il presbitero rimane giovane nel cuore, perché non si fonda sulle proprie opere, ma sull’amore preveniente e trasformante di Dio.
E allora, carissimo don Cataldo, questa sera il Signore ti ripete: «Ravviva il dono che è in te» (2Tm 1,6).
Ravviva la fiamma che ti fu accesa in quel giorno di primavera del 2000, Anno Santo dell’Incarnazione del Signore, per mezzo delle mani e della preghiera del caro Mons. Martino Scarafile, di venerata memoria, per il quale stasera eleviamo la nostra preghiera.
Ma soprattutto, caro don Cataldo, lascia che la memoria diventi promessa, che la gratitudine diventi nuova dedizione.
La Chiesa – attraverso di me, tuo Vescovo – ti ringrazia per il tuo “sì” quotidiano, per la fedeltà che non fa rumore, per la sapienza di chi sa servire sempre con generosità, per la capacità di custodire l’essenziale anche tra le complessità della vita.
Continua ad essere sempre nel tuo ministero segno di prossimità e di speranza: un prete che benedice le persone e accompagna le vite; che, come Noè nell’arca, sa animare la speranza anche nei giorni della tempesta.
Concludo questa mia riflessione prendendo in prestito le parole del Salmo 18 che abbiamo pregato: «I cieli narrano la gloria di Dio».
La tua vita, caro don Cataldo, è un frammento di quel cielo che continua a narrare la gloria di Dio nella storia: non dimenticarlo mai!
Possa la Vergine Maria, Madre dei sacerdoti, custodire in te la gioia dell’“Eccomi” e rinnovare ogni giorno la freschezza del tuo primo sì.
Amen!
+ Sabino Iannuzzi







