Articolo del Vescovo pubblicato nella rivista online “Vivere In”
marzo-aprile 2025, n. 2, pp. 5-8.
Avrei voluto rimanere in silenzio. Ho accettato di scrivere qualcosa solo per amicizia nei riguardi del Movimento di spiritualità Vivere In. Siamo ancora nel vivo degli avvenimenti che hanno riguardato la morte di Papa Francesco e molti si interrogano sulle prospettive per il futuro prossimo della Chiesa. I commenti di questi giorni sono troppo animati dall’emozione del momento. Occorrerebbe un maggiore tempo di decantazione per proporre un’analisi maggiormente pensata.
Un tempo, “segno di contraddizione”
La domanda fondamentale riguarda il discernimento sul tempo presente e sul prossimo futuro. Credo che quanto vivremo avrà la caratteristica di un “segno di contraddizione” (cfr. Lc 2,34). Il cristianesimo, infatti, porta in sé il progetto per l’unità dell’umanità dispersa, ma è anche la figura antilogica rispetto alla mentalità mondana. Possiamo, pertanto, prendere come paradigma e icona del nostro tempo la figura di Geremia, il “profeta sofferente” che anticipa e illumina la vicenda di Gesù.
Dai suoi concittadini, Geremia è definito “profeta di sventura” e dai suoi nemici “terrore all’intorno”. In realtà, si presenta agli esiliati come “profeta di speranza”. Gerusalemme è distrutta e il popolo è in esilio. In questa situazione, i deportati non dovranno rinunciare alla loro identità nazionale e soprattutto dovranno saper condurre una vita da credenti, riconoscendo che, anche nel tempo della prova, non sono venuti meno i beni che danno senso all’esistenza. Non devono nemmeno lasciarsi andare a una sorta di nostalgia paralizzante. Devono, invece, imparare a vivere in una terra straniera, sentita come propria. Essa darà stabilità e sarà la base per costruire il domani. Non è questa la condizione del cristiano nel mondo? Non è questa la situazione del cristiano nel nostro tempo?
Il profeta invia agli esiliati una meravigliosa lettera annunciando, nonostante tutto, un futuro radioso. In questa “lettera agli esiliati”, Geremia spalanca davanti ai loro sguardi il disegno che Dio ha su di loro. La sua analisi non si fonda sulla disamina dei fatti politici né cade in una semplice rassegnazione fatalistica. È, invece, un invito a vedere le cose nella luce di Dio: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).
Papa Francesco, con la sua morte, ci consegna il lascito del suo magistero che si articola attorno a due questioni fondamentali che si potrebbero indicare con due domande: Quale umanità dobbiamo costruire nel prossimo futuro? Quale Chiesa siamo chiamati ad edificare?
Quale umanità?
Circa la prima questione, il Papa ci ha lasciato quattro prospettive principali, in linea con il precedente magistero della Chiesa, pur se egli le ha ripresentate con un altro linguaggio. Ha dovuto infatti tenere conto che il nostro è il tempo del “cambiamento d’epoca”.
La prima prospettiva è di natura antropologica e si riferisce all’infinita dignità dell’uomo. Il termine “dignità infinita” sottolinea che l’uomo è l’essere dotato di una dignità ontologica, morale, sociale e esistenziale. Il principio fondamentale è che egli esiste ed è stato voluto, creato e amato da Dio. Fondata su questa base, la dignità non si perde mai, non può essere eliminata e non dipende affatto dalle circostanze. Così recita l’incipit della dichiarazione Dignitas infinita: «Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi. Questo principio, che è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione, si pone a fondamento del primato della persona umana e della tutela dei suoi diritti. La Chiesa, alla luce della Rivelazione, ribadisce e conferma in modo assoluto questa dignità ontologica della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta in Cristo Gesù. Da questa verità trae le ragioni del suo impegno a favore di coloro che sono più deboli e meno dotati di potere, insistendo sempre “sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza”» (ivi, 1).
Su questo architrave antropologico si fondano gli altri tre aspetti del magistero di Papa Francesco: la centralità della pace, punto di riferimento per la convivenza sociale e civile; l’attenzione e la cura dell’ambiente e del creato; il valore delle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, e il loro utilizzo sulla base di alcuni principi etici. Occorre, infatti, migliorare la vita dell’uomo, senza però renderlo prigioniero della tecnologia. Si tratta di punti che, in futuro, non potranno essere disattesi perché intorno ad essi ruota il destino stesso dell’umanità. VI è però una condizione perché si realizzino: che si mantenga chiaro e operante il riferimento al “diritto internazionale”, come principio regolatore delle relazioni tra i popoli e gli Stati.
Quale Chiesa?
La seconda prospettiva riguarda l’immagine e la missione della Chiesa nella costruzione del mondo nuovo. Nel suo magistero, Papa Francesco ha riproposto l’insegnamento conciliare che si incarna nella figura del buon Samaritano. Cristo è, nello stesso tempo, il samaritano che soccorre e l’uomo ferito che giace a terra in attesa di chi si prenda cura di lui. È il Signore e, insieme, il servo. La Chiesa è la locanda dove si pratica la cura di tutte le malattie, soprattutto di quelle spirituali, senza dimenticare quelle fisiche e materiali. Questa icona, cristologica ed ecclesiologica, illumina le dimensioni essenziali ed ineliminabili della fede cristiana, valide sempre in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Si potrebbe parlare di un “DNA della fede”; un centro che non può essere soggetto a nessuna variazione e a nessun cambiamento.
La prima dimensione è quella antinomica ossia l’unità tra i contrari. Questa dimensione si coniuga in una molteplicità di temi. Ciò che conta è mantenere l’unità senza privilegiare nessuno dei due aspetti che si contrappongono. Indico, a mo’ si esempio, solo alcuni principali binomi: “Chiesa in uscita” e “Chiesa in entrata”, Chiesa che si raduna nella “Tenda del Convegno” e Chiesa che cammina per le strade del mondo, Chiesa che ascolta e Chiesa che insegna, Chiesa che è nel mondo, ma non appartiene al mondo, Chiesa che è come una casa o un’oasi dove si sosta e Chiesa che assomiglia a una carovana solidale che cammina nel tempo, Chiesa che ama tutti e Chiesa che annuncia la verità a tutti. Ognuno di questi aspetti avrebbe bisogno di una trattazione specifica che non è possibile affrontare in questo articolo. Bisogna, tuttavia, evitare ogni forma di unilateralità e mantenere la tensione tra gli opposti.
La seconda dimensione è quella drammatica. In questo caso, occorre esaltare il primato della grazia sia come offerta da parte di Dio sia come riposta da parte dell’uomo. Il dramma accade quando la volontà dell’uomo rifiuta di accogliere la grazia. È difficile sciogliere questo dramma. Senza l’accoglienza del dono gratuito e dell’amore misericordioso di Dio non c’è nessuna salvezza. In altri termini, esiste una “redenzione oggettiva” e una “redenzione soggettiva”. I due aspetti sono correlati, ma potrebbero non coincidere. Il primato spetta all’oggettività della redenzione. Senza, però, l’accoglienza soggettiva, la grazia non può operare. Cosa accade allora? Difficile rispondere. Quello che è certo e che non si può svendere la grazia a buon mercato, proclamando un vangelo senza la croce.
La terza dimensione è quella paradossale. Essa presenta una forma di vita meravigliosa, differente e controcorrente rispetto a quella del mondo. Il rapporto del cristiano con il mondo deve essere di equidistanza e di equivicinanza. In tutti i casi, il proprium della vita cristiana deve rimanere intatto perché se il sale diventa scipito «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5, 19). Per comprendere questa immagine bisogna considerare che il sale si scioglie se esposto all’umidità. Dopo tanti anni può non avere la stessa salinità, anche se può non perderla del tutto.
Nei paesi orientali, però, viene utilizzato un tipo di sale definito impuro, cioè mescolato con sostanze vegetali o impastato con lo stesso del terreno. È così impuro e contaminato che non può essere utilizzato in alcun modo, salvo per sistemare i sentieri sui cui camminare. Il cristiano che perde la sua specificità è come il sale che ha perso il suo sapore. Se, invece, diventato in Cristo “nuova creatura” (cfr. 2 Cor 5,17), partecipe della natura divina (cfr. 2Pt 1,4) e della santità di Dio (cfr. Eb 12,10), rimane fedele alla sua nuova identità, la sua vita diventa luce per il mondo e sale della terra.
Con l’elezione del prossimo Papa, chiunque, egli sarà, la Chiesa dovrà riprendere il cammino di recezione del Concilio Vaticano II che, da san Giovanni XXIII e san Paolo VI, è giunto fino a noi e che continuerà dopo di noi. Bisogna però continuare il “processo di recezione”, non con una “rottura” con quanto compiuto in passato, ma continuare a percorrere lo stesso cammino anche se in modo differente. Dovranno però rimanere chiari gli obiettivi antropologici, l’immagine e la missione ecclesiale precedentemente richiamati.
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca

