Letture:
2Mac 7,1-2.9-14
Sal 16
2Ts 2,16-3,5
Lc 20, 27-38

Carissimi fratelli e sorelle,
L’ascolto della parola di Dio oggi ci chiede una riflessione su un aspetto molto importante della nostra fede e che, diciamolo pure, è nel nostro tempo molto trascurato, quasi dimenticato, cioè il tema della risurrezione, di quello che succede al termine della nostra vita. Noi abitualmente raccontiamo le cose più o meno così: diciamo che quando uno muore il corpo muore, la vita biologica si ferma e comincia il processo di decomposizione, però l’anima continua a vivere, il corpo va alla terra e diventa terra, l’anima va nel cielo.

Questo modo di descrivere le cose non è che sia sbagliato però non è nemmeno del tutto esatto per noi cristiani, perché noi crediamo non soltanto e non tanto nella sopravvivenza dell’anima, noi crediamo in molto di più, noi crediamo nella risurrezione non soltanto di una parte dell’uomo, lo spirito, quello che abitualmente diciamo la parte spirituale di noi, ma di tutta la persona: spirito, mente, cuore, corpo, affetti, tutto, tutta la persona è destinata alla risurrezione finale. E allora, nel momento in cui una persona muore, che cosa accade? Usiamo un linguaggio che poi troviamo nella liturgia: ci si addormenta nel Signore in attesa di risvegliarci e questo risveglio che per Gesù è arrivato dopo tre giorni, che per Maria è arrivato nel momento stesso della morte, per ciascuno di noi giungerà alla fine dei tempi; tutti risorgeremo nell’anima e nel corpo, tutta la nostra persona è destinata ad essere glorificata, anima e corpo.

Questo è un dato di fede, perché se noi crediamo alla risurrezione tutto ha senso, tutto il nostro cammino, tutta la nostra vita ha un senso, ha una direzione. Ma, se per caso a queste cose non ci crediamo o le vediamo con un po’ di distacco, è come se viviamo nell’assurdo, niente ha senso. Se io concepisco la mia vita senza uscita, che senso ha la gioia, il dolore, che senso ha l’amore, il sacrificio? Che senso ha? Tanto finisce tutto, non resta niente! Ma se invece c’è una meta, allora sì che tutto ha senso, tutto mi porta a raggiungere quella meta; le gioie che il Signore mi dà mi aiutano a camminare verso la meta; il dolore, le sofferenze, le prove che trovo sulla strada mi aiutano a confermare il mio desiderio di raggiungere la meta.

Se mi permettete un’immagine, un esempio: è come nel dinamismo dell’amore: se io voglio conquistare una persona sono capace di tutto, di sacrifici, di sofferenze, di spese, perché ci tengo troppo e i sacrifici, le prove non mi pesano, anzi mi accaniscono ancora di più. E così è la meta, la risurrezione: se noi crediamo veramente che siamo destinati alla vita piena in Dio, tutta la nostra vita, tutta intera, con le sue gioie e i suoi dolori, con le sue fatiche e con le sue speranze, tutta porta a quella meta e io vivo in cammino verso quella meta.

Questo è il Vangelo di oggi, ci aiuta a recuperare quest’aspetto importante della fede che tante volte noi dimentichiamo e trascuriamo; lo diamo per scontato, ma poi, sotto sotto, non ci crediamo proprio e viviamo come se tutto si giochi qui, in questa terra. I sadducei erano una categoria di persone del tempo di Gesù, gli alto borghesi, coloro che se la facevano con i romani per comandare e far soldi. Bene, i sadducei non credevano nella risurrezione, mentre invece una buona parte del popolo ci credeva; infatti avete sentito nella prima lettura il caso di quei sette fratelli Maccabei che accettano la morte perché dicono: “Piuttosto che tradire le leggi di Dio, noi siamo pronti a morire, tanto, se pure moriamo, c’è un’altra vita che il Signore ci ha donato”. E il motivo è chiaro: i sadducei credevano in una cosa sola: il denaro, la ricchezza. E posero quella domanda a Gesù, per ridicolizzare la fede nell’altra vita: raccontano come una barzelletta, il caso di sette fratelli: morì il primo, morì il secondo, il terzo, morirono tutti senza figli; alla fine, nella risurrezione, di chi sarà moglie questa donna? Per dire a Gesù: “Ma che andate dicendo di questa storia della risurrezione! Ma voi credete alle favole”, cioè un modo di ragionare pragmatico di chi pensa soltanto alle cose materiali e non se ne importa proprio niente, anzi ci ride sopra ai problemi dello spirito.

Gesù risponde molto semplicemente con due argomenti. Nell’altra vita non ha più senso l’ansia del possesso, non c’è più niente da possedere perché abbiamo tutto, avremo Dio che è il nostro tutto. Nella risurrezione finisce questo accanimento del possedere, perché chi la consegue, beato lui, avrà tutto, avrà Dio, non serve più niente perché Dio è il tutto dell’uomo.

In secondo luogo anche l’esercizio della sessualità non serve più. Infatti, in vita serve, perché l’uomo deve assecondare l’istinto di sopravvivenza e quindi, attraverso l’esercizio della sessualità, con tutto il piacere che esso porta, l’umanità si rigenera. Ma lì non c’è da rigenerare più niente, è finito, quindi questa energia che adesso è utile e positiva per questo fine, lì non ci sarà più.

Quindi dice Gesù: “Che me le dite a fare queste storie? Per mettere in ridicolo la risurrezione? Ecco, dunque, la liturgia di oggi vuole scuoterci un po’ e proporci questa domanda: Ma noi, che diciamo di essere cristiani, ci crediamo ancora alla vita eterna, o siamo noi i sadducei di questi tempi, che crediamo soltanto e sempre al denaro, al piacere e per queste forze siamo capaci di dimenticare tutti gli altri valori, di sottometterli, di calpestarli, di distruggerli? Che siamo? Siamo credenti nel Dio della vita, nel Dio dei vivi o siamo sadducei che, sì, onorano Dio per un sacro rispetto e anche per un po’ di paura o siamo veramente credenti in Dio, nel Dio di Gesù, nel Dio dei vivi? Domande alle quali dobbiamo dare risposte. Riflettiamo, cari fratelli, mentre ci mettiamo in preghiera e ci accostiamo alla sua mensa.


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