Carissimi fratelli e sorelle,
in questa Domenica delle Palme anche noi vogliamo essere protagonisti di un pellegrinaggio speciale: accompagniamo Gesù per condividere il suo ingresso a Gerusalemme.
Come la folla osannante, lo acclamiamo con rami d’ulivo, cantando «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele. Osanna nell’alto dei cieli» (Antifona alla processione delle palme).
Ma noi, che già conosciamo il finale della storia, sappiamo che il suo cammino non si fermerà lì, nella città dell’apparente gloria umana; lo condurrà invece alla Croce, dove rivelerà il culmine del suo amore, «facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8).
Nel cuore del Vangelo della Passione – nella versione dell’evangelista Luca – risuonano parole che ci lasciano senza fiato: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Gesù, mentre è crocifisso, oltraggiato, inchiodato al legno dell’infamia, non maledice né si difende, ma prega. Intercede per i suoi carnefici e li affida alla misericordia del Padre.
In quel momento, la giustizia di Dio si manifesta come misericordia e perdono. È l’azione di un amore che non si arrende, che non si chiude nella sofferenza, ma si apre, abbraccia e salva. Quelle stesse parole sono rivolte anche a noi, oggi.
Quante volte, per ignoranza, fragilità o durezza di cuore, noi “non sappiamo quello che facciamo”. Eppure Cristo continua a intercedere, a perdonare, a offrire salvezza per mezzo del perdono.
Ecco la speranza che nasce dalla Croce.
La Croce, segno di condanna, diventa albero di vita. È lì che «la speranza di Dio germoglia. Nasce e rinasce nei buchi neri delle nostre attese deluse, perché la speranza vera non delude mai» (cfr. Francesco, Udienza generale del 5 aprile 2023).
Ce lo mostra il volto del buon ladrone, il malfattore che rimprovera l’altro che lo insultava: un uomo, sì, colpevole, che nel suo ultimo respiro affida a Gesù un semplice grido: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). E riceve, così, la risposta che ogni cuore desidera: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Nessuna vita è perduta se si apre alla misericordia. Nessun passato è troppo pesante se ci si lascia fissare dallo sguardo compassionevole di Cristo.
Ed è proprio da questa speranza che nasce il senso profondo del Giubileo che stiamo celebrando in quest’anno di grazia particolare.
Papa Francesco – a cui va il nostro ricordo orante in questa giornata speciale, con l’augurio di una piena guarigione – ci invita ad essere Pellegrini di speranza, non perché tutto vada bene o per un «fatuo ottimismo» (cfr. Francesco, Spes non confundit, 23), ma perché Cristo ha già vinto il male. Il perdono che riceviamo da Lui è la porta della pace, il principio di ogni riconciliazione, la forza per ricominciare.
Carissimi fratelli e sorelle, oggi la Croce ancora una volta ci parla, non con parole dure, ma con un amore disarmato. «Padre, perdonali»: questo è il cuore del Vangelo, il testamento di Gesù, l’eredità che ci lascia, una lezione per la vita.
Accogliamo il suo perdono e diventiamo anche noi strumenti di riconciliazione. Solo così «sentiremo … i brividi della Pasqua» (don Tonino Bello); sarà per noi una vera rinascita e la speranza che celebriamo diventerà vita concreta nel mondo. Amen.
+ Sabino Iannuzzi