Cari fratelli e sorelle,

dopo il primo momento di “pellegrinaggio giubilare” che insieme abbiamo compiuto, ora siamo riuniti in questo Santuario della Mater Domini – particolare luogo di grazia – per continuare la celebrazione del Giubileo Diocesano della Vita Consacrata, in occasione della Festa della Presentazione del Signore. Un «momento forte per nutrire ed irrobustire la speranza, insostituibile compagna» (Spes non confundit, 5) nel cammino della vita.

Non a caso, la liturgia odierna ci consegna il gesto di Maria e di Giuseppe che portano Gesù al Tempio e ci fa incontrare due figure profetiche, Simeone e Anna, testimoni dell’azione discreta ma potente di Dio nella storia.

Saluto caramente:

  • tutti voi, carissimi fratelli e sorelle che avete accolto l’invito del Signore a consacrare interamente la vostra vita a Lui;
  • il caro don Rocco Martucci, delegato diocesano del settore;
  • don Domenico Giacovelli, Rettore di questo Santuario;
  • don Giovanni Nigro, coordinatore diocesano dei diversi eventi giubilari;
  • i sacerdoti presenti;
  • e tutti voi, cari fedeli, che questa sera condividete l’eucarestia, con il dono dell’indulgenza plenaria, conseguibile ogni giorno in questo luogo sacro. L’indulgenza – segno tangibile di grazia – ci «permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio», perché il «perdono di Dio non conosce confini» (Ivi, 23)

Nella prima lettura abbiamo ascoltato la parola del profeta Malachìa che annuncia la speranza attraverso l’arrivo di un messaggero chiamato a preparare la via del Signore, che noi cerchiamo (cf. Ml 3,1-3). Questa parola profetica trova il suo pieno compimento in Gesù – la «nostra speranza» (1Tm 1,1) -, «portato a Gerusalemme per essere presentato al Tempio» (cfr. Lc 2,22), e riconosciuto da Simeone come la «luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» (cfr. Lc 2,32).

Ci ritroviamo, ancora una volta, dinanzi ad una grande e travolgente novità per la vita: Dio non si impone con la forza, ma si fa vicino, si fa Bambino, portando una luce che rischiara le tenebre del mondo e dei cuori.

La profezia – fratelli e sorelle – non è mai un fatto concluso: il Signore continua ad inviare i suoi messaggeri in ogni tempo. Oggi, in modo speciale, con questa celebrazione, possiamo esprimere il nostro ringraziamento per la Vita Consacrata, chiamata a testimoniare la presenza salvifica di Cristo nelle realtà più diverse, come segno di vicinanza e di prossimità.

I consacrati e le consacrate, nella loro radicale dedizione a Dio e ai fratelli, diventano riflesso di questa luce divina: con la semplicità, la carità, la preghiera, mostrano che il Signore si prende cura di tutti, specialmente dei più deboli e bisognosi.

Simeone e Anna, mossi dallo Spirito Santo, accolgono il Bambino Gesù e riconoscono in Lui il compimento delle promesse di Dio. Sono due anziani che non si lasciano ingannare dalle apparenze, perché: in un bambino fragile, riconoscono il Salvatore. La fede, infatti, permette di scorgere la grandezza di Dio nella piccolezza degli eventi.

Anche la Vita Consacrata, con la sua varietà di carismi, continua a proclamare: «I nostri occhi hanno visto la salvezza!» (cf. Lc 2,30). Una salvezza che non si impone dall’alto, ma che germoglia attraverso gesti semplici e umili di quotidianità, nella fedeltà alla preghiera, nell’ascolto della Parola, nel servizio silenzioso.

Nel Vangelo, Simeone aggiunge che Gesù sarà «segno di contraddizione» e che a Maria «una spada trafiggerà l’anima» (cf. Lc 2,34-35).

Non è un annuncio di sconfitta, ma di piena partecipazione al mistero dell’amore di Dio, che passa attraverso il dolore e il dono totale di sé. Allo stesso modo, chi consacra la propria vita al Signore mette in conto di lasciarsi trafiggere dalle sofferenze e dagli interrogativi dei fratelli, nella disponibilità a farsi carico delle ferite altrui. È un dolore che diventa fecondo, poiché apre alla consolazione di Dio e alla speranza di un mondo rinnovato dall’amore.

Nel contesto di questo Anno Giubilare, siamo invitati a «scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio» (Spes non confundit, 23) e a rinnovare la bellezza e la fecondità della nostra vita.

Chiediamoci, allora, quale contributo può offrire ancora oggi la Vita Consacrata?

Essa, per sua natura, è profezia di speranza: perché mostra (cioè rende visibile) che si può vivere per Dio e per i fratelli in modo pieno e gioioso.

In un’epoca segnata da precarietà, fragilità relazionali e smarrimento spirituale, i consacrati e le consacrate manifestano con la loro stessa esistenza una profezia di consolazione: «Non abbiate paura, Dio è fedele e non abbandona il suo popolo!» (cfr. Mt 10,26-33)

È la testimonianza che nasce dall’essere “radicati” in Cristo: perché chi ha scelto di donarsi totalmente al Signore attesta che la vita trova il suo senso più profondo nel lasciarsi amare, trasformare e guidare da Dio (cfr. Vita consecrata, 36). Da questa intimità con il Signore si diffonde una forza che sostiene tutta la Chiesa, ispirandola a cercare orizzonti di missione e di carità sempre nuovi (cfr. Ivi, 109).

Il più delle volte, riflettendo sulla realtà della Vita Consacrata, si sente dire che essa è un’istituzione in declino. Ma, in questo percorso di speranza che il Giubileo di consegna, dobbiamo sempre più fare nostre le parole che ebbe a dire San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II, dinanzi ad una stagione nuova della vita della Chiesa, segnata da non poche rughe della storia: Tantum aurora est”. Siamo solo all’inizio! Perché ciò che sembra un tramonto, spesso è solo il seme che muore per generare una nuova vita che, a suo tempo, porterà frutti buoni. Non sono i numeri a decretare la fecondità, ma la capacità (la qualità!) di dare inizio a processi di rinnovamento e di fiducia. Questo è il senso più autentico della profezia di speranza che ci chiede di alzare il capo per contemplare la meta del cammino, pienezza della professione dei consigli evangelici: l’incontro con il Signore Gesù (cfr. Spes non confundit, 5).

Simeone e Anna sono anziani, eppure non si sentono al crepuscolo dell’esistenza. Nella fragilità del loro corpo scorgono l’aurora di un nuovo giorno: incontrano il Messia e cantano il “Nunc dimittis” («Ora puoi lasciare o Signore che il tuo servo vada in pace» Lc 2,29), non come resa malinconica, ma come esplosione di gioia.

Così pure i consacrati e le consacrate sanno di essere partecipi di una storia di salvezza che li supera e che va oltre il loro tempo e i loro limiti. Questa certezza di fede deve renderci capaci di sperimentare ogni giorno il chiarore dell’alba di un nuovo inizio, coltivando la fiducia nel Signore che mai abbandona il suo popolo, perché come ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei: «proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18)

La festa liturgica di oggi e la Giornata Mondiale della Vita Consacrata ci richiamano ancora una volta a quell’imprescindibile rinnovamento interiore: «Il Signore – dice Malachìa – siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia» (Ml 3,3). Questo invito alla purificazione vale per tutti noi, ma in modo proprio per chi vive la consacrazione.

È l’invito:

  • a voler ritornare alla fonte: perché la vita consacrata nasce dall’incontro personale con Cristo. Tornare costantemente alle proprie “radici carismatiche” e alla forza della Parola di Dio è la via per rigenerare testimonianza e fervore;
  • a vivere la fraternità e la missione: ricercando la bellezza di un’autentica vita comunitaria, fondata sull’amore e sul perdono, sulla condivisione e sull’apertura ai più poveri, trasmettendo quella speranza profetica di umile semplicità che il mondo attende;
  • a favorire la cultura dell’incontro: in un contesto individualista e frammentato, spesso di assoluta indifferenza, i consacrati, con la testimonianza della loro vita, ricordano l’importanza di costruire ponti di dialogo e di prossimità con tutti, soprattutto con i giovani, le famiglie, i bisognosi, le periferie; categorie privilegiate alle quali Papa Francesco ci invita a portare «segni di speranza» (Spes non confundit, 7).

Nel celebrare questa XXIX Giornata Mondiale della Vita Consacrata, allora, vogliamo esprimere il nostro grazie per la presenza delle sorelle e dei fratelli delle 10 forme di vita che declinano la speciale consacrazione dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza in questa nostra Chiesa locale, così come l’Ordo virginum e i membri degli Istituti Secolari, perché con la testimonianza della loro vita si sforzano di essere segno luminoso di speranza, al fine di generare stupore, gioia e fiducia in quanti quotidianamente incontrano con la loro azione evangelizzatrice.

Nel dire grazie, vogliamo continuare a domandare al Signore il dono di sante vocazioni per questa particolare forma di vita evangelica ed accogliere la grazia di essere “insieme” portatori dell’annuncio di speranza, costruttori di pace e testimoni, con la vita, di quanto nessuno sia escluso dalla misericordia di Dio.

La Vergine Maria ci insegni a fare sì che il suo Magnificat sia il nostro Magnificat! Per sempre!

Amen!

+ Sabino Iannuzzi

clic qui per l’articolo sul sito diocesano