Letture:
At 2,1-11
Sal 103
1Cor 12,3b-7;12-13
Gv 20, 9-23

Carissimi fratelli e sorelle,
Pentecoste è la festa che ci fa rivivere nella liturgia il dono dello Spirito Santo. La prima effusione dello Spirito la troviamo nel momento in cui Gesù moriva sulla croce. Se leggiamo con attenzione il vangelo, quando Gesù muore sulla croce, il testo dice esattamente così: “… e reclinato il capo, rese lo Spirito”.  Nell’intenzione dei testi evangelici c’è il desiderio di far capire che è proprio in quel momento in cui Gesù muore sulla croce, in quel supremo atto di amore che ci viene consegnato questo dono altissimo, lo Spirito Santo come alito, come soffio di vita. Gesù muore ma da quel momento in poi quella vita è già la nostra vita.

Poi abbiamo la sera di Pasqua, il vangelo che abbiamo ascoltato: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano, venne Gesù a porta chiuse…”. Erano tutti contenti e felici, Gesù mostrò loro le mani e il costato e poi alitò su di loro e disse: “Ricevete lo spirito Santo. Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Andate e fate miei discepoli tutti gli uomini”. Dunque già dalla risurrezione Gesù dona lo Spirito, però dalla prima lettura abbiamo ascoltato il racconto di una effusione solenne, grandiosa dello Spirito Santo a Pentecoste a Gerusalemme, cinquanta giorni dopo la Pasqua.  A Pentecoste gli ebrei facevano una grande festa con la quale ricordavano il dono della Legge.  Questi, per gli ebrei erano un dono, una grazia, un segno di attenzione di Dio verso il Suo popolo. Dunque a Gerusalemme per questa festa c’era tanta gente proveniente da tante nazioni.

Gli apostoli erano dunque riuniti nel cenacolo, erano passati cinquanta giorni, forse e senza forse le porte erano ancora chiuse e allora lo Spirito Santo questa volta non viene più dall’alito di un morente sulla croce e non viene più dall’alito di un risorto apparso misteriosamente, ma stavolta viene con tanto rumore, con tanto fragore in modo che veramente nessuno possa dire di non essersene accorto. Questa volta lo Spirito Santo si rende presente con alcuni segni: prima un rumore, come un tuono e poi un vento che si abbatte gagliardo. Perché il vento? Proviamo a riflettere insieme. Quando c’è il vento nessuno lo vede, si avverte quel qualcosa di indescrivibile che non si riesce a percepire ma si dice che c’è il vento e si vedono sbattere le porte o agitarsi gli alberi e le foglie volare ma non vediamo il vento. Così è lo Spirito, noi non vediamo lo Spirito però vediamo questi segni misteriosi e forti della sua presenza, della sua azione. Prendiamo per esempio tanti secoli di storia della Chiesa, tanti santi, tanti uomini eccezionali, grandi, non perché hanno fatto i miracoli o guarito qualche malato, ma grandi perché con la testimonianza della loro vita hanno fatto vedere quanto è grande, quanto è luminoso Dio. E questo fino ai nostri giorni. “Ma chi li manda? Chi li muove?” perché in fondo sono uomini, donne, non sono superuomini o superman scesi da chissà quale pianeta. Il vento non lo prendi, non lo catturi ma sei costretto a prendere atto che il vento c’è, non puoi dire: “Il vento non esiste perché non l’ho mai visto”. Così è lo Spirito Santo.

L’altro segno attraverso cui appare lo Spirito a Pentecoste a Gerusalemme: apparvero lingue come di fuoco. Vien da chiedersi: perché proprio le lingue? La lingua è l’organo, direi, più sacro dell’uomo perché con la lingua comunichiamo, con la lingua esprimiamo emozioni, sentimenti, pensieri, riflessioni; la lingua ci serve per elaborare pensieri. Allora lo Spirito Santo si presenta come lingua per dire che una fede che non è detta, non è proclamata, non è annunciata non è fede; una fede senza lingua non è fede, è vaga devozione che non ci porta da nessuna parte.

Il testo poi dice lingue “di fuoco” che si posano sulla testa di ciascuno degli apostoli. Diceva santa Caterina da Siena: “Se voi vi lascerete toccare dalla potenza dello Spirito, voi metterete fuoco al mondo, voi incendierete il mondo”. Il vero cristiano è un incendiario e molto spesso noi cristiani siamo pompieri, cioè li spegniamo i fuochi, siamo gente senza cuore, senza anima, senza vitalità, siamo spenti, non annunciamo un bel niente.

Il vento, le lingue, il fuoco: ecco lo Spirito Santo. E perché tutto questo proprio nel giorno di Pentecoste e non in un altro giorno? È soltanto una pura coincidenza? No. È proprio per far risaltare la novità dello Spirito, che è la nuova Legge. Se l’antica Legge era scritta su pietra e veniva insegnata, la nuova Legge non è fuori di noi, ma è nel nostro cuore, non è scritta su pietra la legge dell’amore, ma è scritta dentro e noi fin dal giorno del nostro battesimo e poi della cresima.  Sì, il dono dello Spirito ce l’abbiamo ma spesso ce ne dimentichiamo e viviamo come se non l’avessimo.

Allora questa liturgia della Pentecoste viene per noi proprio come uno scossone, come un vento violento che ci scuote e dice: “Il mondo ha bisogno di cristiani autentici che fanno funzionare la lingua e che ce l’hanno di fuoco, che devono mettere fuoco al meno perché ce n’è bisogno!”. Non vedete in che mondo viviamo? C’è la legge del taglione, la legge del più forte, la legge dell’interesse, ci sono altre leggi che guidano la nostra vita, mentre abbiamo nel cuore la legge di Dio e non la mettiamo fuori, non la facciamo funzionare.

Allora, carissimi, non spegniamo lo Spirito; proviamo a immaginarci un po’ come quelle foglie che volano quando sono spinte dal vento; anche noi, sì, foglie che non fanno resistenza ma che si lasciano portare dove il vento le porta; proviamo ad essere un po’ più spregiudicati nella fede, proviamo a lasciarci un po’ più andare, a smettere con il nostro cristianesimo troppo misurato, troppo programmato, troppo minimo. Lo Spirito c’è ma noi non ci crediamo abbastanza e allora ci chiudiamo, ci blocchiamo e viviamo una vita piatta senza essere testimoni di niente.

Preghiamo allora perché, partecipando a questa santa cena oggi, possiamo recuperare entusiasmo che metta un po’ di fuoco nella nostra vita di fede.


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