Letture:
Is 62,11-12
Sal 96
Tt 3,4-7
Lc 2,15-20
Carissimi fratelli e sorelle,
Nel racconto di san Luca che abbiamo ascoltato emerge con chiarezza un contrasto molto vivo, a tinte forti: il contrasto tra i grandi della terra e gli umili e i piccoli. I grandi della terra: in quei giorni – comincia così la pagina che abbiamo letto – un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse un censimento di tutta la terra. Esagerato! Non era tutta la terra, era semplicemente l’impero romano ma a volte i grandi si credono talmente grandi da aumentare le misure per rendersi ancora più grandi. Allora questo modo di raccontare di san Luca vuole quasi prendere in giro, scherzare sulla grandezza apparente di Cesare Augusto che credeva di essere il padrone del mondo intero e quella doveva essere un’era di grande pace, di grande prosperità universale.
Così non era perché la pace stava solo a Roma ma i popoli sottomessi erano angariati, letteralmente spremuti dal potere romano che era eccessivo. E dunque è forte il contrasto tra questo grande potere umano e un bambino che invece viene dal cielo nel silenzio, nel nascondimento di una mangiatoia, nella povertà di un rifugio di fortuna. E questa diversità ancor di più si nota quando poi l’annuncio di questa venuta non viene portato ai grandi del tempo, ai palazzi reali o ai signori della storia, l’annuncio viene portato direttamente dal cielo ai poveri, agli umili, ai pastori.
Perché a loro? perché i pastori rappresentavano all’epoca una categoria di gente esclusa, erano i poveri, gli ultimi, perché per il tipo di lavoro che facevano stavano sempre nei campi con le loro greggi, venivano considerati come gente da scartare, gente che magari, stando sempre in mezzo agli animali ne portano il tanfo addosso, infatti non erano ammessi nel tempio, nelle sinagoghe. Proprio a loro giunge l’annuncio, non agli altri, non ai ricchi, non ai grandi, non alle persone importanti, non ai sapienti, ma ai poveri e le parole degli angeli lo chiariscono subito. Loro stanno lì a vegliare il loro gregge, una notte come tante altre, tutto si potevano immaginare questi pastori e non che quella notte dovesse cambiare il destino dell’umanità e che loro dovevano diventare così importanti da essere scelti per essere i protagonisti di una storia bellissima.
Non sappiamo i loro nomi ma una cosa è certa: quei pastori di Betlemme sono importanti per la nostra storia perché sono i primi testimoni di un mistero e se noi crediamo a tutto è perché loro – come dice il vangelo – dopo aver visto raccontarono quello che avevano visto e tutti si meravigliarono. Rileggiamo le parole degli angeli: “Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo…”, cioè i primi destinatari furono i pastori ma in filigrana leggiamo, quasi sullo sfondo, tutti gli uomini. Quei pastori hanno avuto quest’onore altissimo: rappresentare l’umanità intera e non soltanto di quel tempo ma di tutti i tempi. Che onore che hanno avuto questi poveri pastori: Sono stati veramente grandi. Dio così fa. Dio si diverte. Già la Madonna lo aveva detto nel Magnificat “abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili”. Questo bambino è il Figlio di Dio, è un bambino che viene al mondo come tutti i bambini, certo, ma è il Figlio di Dio. Ecco dunque il contrasto: da una parte Cesare Augusto, questo grande imperatore, vuole contare per vedere quanti sono i suoi sudditi perché dovrà dire: “io sono l’imperatore di milioni di persone”, e si sentiva un padreterno perché aveva sotto di sé tanta gente; e invece il Figlio di Dio, il vero, unico, grande Signore che viene nel mondo in povertà. L’angelo diede un segnale ai pastori. “Troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. La povertà più estrema diventa il segnale da cui riconoscere il Signore del mondo. Si presenta ai nostri occhi nella fragilità, nella povertà di un bambino che “giace” in una mangiatoia. Chi di noi porrebbe un suo bambino a giacere in una mangiatoia? Mai e poi mai! Faremmo sacrifici immensi ma questa cosa mai! Eppure il Figlio di Dio non si è vergognato di giacere in una mangiatoia. Che strana culla che ha avuto questo bambino divino per fare le sue prime belle dormite!
Tutto questo che vuol dire? Il mistero del Natale è racchiuso proprio in queste parole: Dio ci vuol far capire che per accogliere Lui dobbiamo accogliere il povero, per accogliere lui, il forte, dobbiamo accogliere il debole. Dio, venendo in mezzo a noi, capovolge, sconvolge tutti i nostri schemi. Fare Natale non significa volare sulle nuvole con gli angioletti e commuoverci con le canzoncine dei bambini. Fare Natale significa che il Verbo di Dio, la parola di Dio è venuta in mezzo a noi e finché ci sarà un povero, un uomo che soffre per l’ingiustizia, per la povertà, per la cattiveria di altri uomini non sarà ancora, veramente Natale; finché ci saranno bambini che giacciono nelle mangiatoie delle storie di guerra e di povertà, non è pienamente Natale, noi ci illudiamo di fare Natale.
Allora sarà Natale quando scompariranno veramente tutte le mangiatoie da questa terra, quando scomparirà la povertà. E quando verrà? Passeranno secoli, millenni e a volte cominciamo anche a dubitare che questa cosa si verificherà mai, forse solo nei sogni… E invece no! Si realizza perché la parola di Dio non è bugiarda, siamo noi che non ci crediamo abbastanza.
Allora fare natale non significa accontentarci di qualche gesto di solidarietà occasionale, momentanea ma significa cambiare stile di vita e fare della solidarietà la parola magica che cambia tutta la nostra esistenza. Allora, coraggio, cerchiamo veramente di cogliere il senso del Natale: se Dio che è il vero e unico ricco si è fatto povero, l’unico modo per far Natale è accogliere il povero e far scomparire la povertà dalla faccia della terra, non lasciare ancora Maria, Giuseppe e Gesù nel freddo e nel gelo della grotta e della mangiatoia perché – come dice san Luca nel Vangelo – non c’era posto per loro nell’albergo. Ci sarà posto per il Signore? Ci sarà posto per il povero nel nostro cuore, nella nostra casa, nella nostra vita?
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