C’è chi si è stracciate le vesti. Chi ha alzato barricate. Chi ha provato imbarazzi ideologici… Chi, in Puglia, dove la Regione è guidata da una maggioranza di segno opposto, ha avuto paura di somigliare troppo ad alcune posizioni dell’attuale governo nazionale guidato dal centrodestra.
Insomma, invece di guardare prima di tutto all’obiettivo e in nome della “partecipazione” (come se una giunta regionale non sia di per sé espressione della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica di un territorio), la delibera della giunta regionale pugliese approvata l’altra sera – c’è da dire, con grande coraggio -, e riguardante l’attuazione degli interventi a tutela delle donne in gravidanza in situazioni di difficoltà è stata sospesa al fine di “avviare – sono parole dell’assessora regionale al welfare, Rosa Barone – un confronto con tutte le realtà e ripristinare la corretta informazione per non far diventare un tema così importante oggetto di attacchi strumentali”.
Quali attacchi? La giunta (assente il presidente Emiliano) aveva provato a rendere eque le applicazioni della legge 194/78, la legge che in Italia ha introdotto l’aborto, il cui primo articolo, si apre così: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. È così che il governo regionale è finito sotto assedio. Eppure, la delibera andava semplicemente a completare un aspetto – proprio quello della garanzia delle istituzioni a tutela della maternità -, purtroppo spesso ignorato e che, invece il provvedimento avrebbe, in qualche modo, dovuto attivare.
“Ci auguriamo – è il commento dell’arcivescovo Michele Seccia – che la giunta regionale torni presto sui suoi passi, sia pure modificando il testo del provvedimento, a garanzia del dono della maternità. Non dimentichiamo che la Puglia è tra le regioni italiane con un tasso di interruzione volontaria di gravidanza più alto della media nazionale (6,4% contro il 5,6% della media nazionale, ultimi dati aggiornati al 2020, ndr). Ed è fuori discussione che la gran parte degli aborti volontari siano determinati, specie al Sud e nella nostra regione, dai problemi economici, dalla povertà crescente, dalla precarietà del lavoro dei genitori e, di conseguenza, dalla evidente difficoltà di mettere al mondo e di crescere dei figli”.
“Non metto in dubbio – ha aggiunto Seccia – che la forma del ‘risarcimento economico’ in cambio di una gravidanza portata a termine, possa essere equivocata. È opportuno, pertanto, che la giunta regionale, approfittando di questa pausa di riflessione e nel rispetto delle opinioni di tutti, continui a mettere in atto ogni sforzo e ogni azione che possibilmente non si presti ad ambigue interpretazioni, affinché si ponga un deciso freno al triste fenomeno della denatalità che è causa del terribile calo demografico cui stiamo assistendo”.
La delibera (ora sospesa) della giunta regionale sulle “Linee di Indirizzo per l’attuazione della misura sperimentale e Interventi di tutela della donna in gravidanza in situazione di difficoltà (ex art. 2-5- legge 194/78)” su proposta dell’assessora Barone, si proponeva “di assicurare – è scritto nel provvedimento – un presidio organizzativo funzionale a supporto di donne incinte che a causa di una particolare condizione di vulnerabilità sociale, psicologica o economica, possono vedere condizionate le proprie scelte relative alla volontà di prosecuzione della gravidanza e alla gestione della propria maternità”. Vale a dire che, accanto ai vari supporti specialistici previsti dalla legge e già presenti in Puglia attraverso la rete dei consultori, la giunta regionale aveva deliberato in via sperimentale (18 mesi) che le donne in condizioni di accertata difficoltà economica potessero usufruire oltre che di supporti medici e socio-psicologici, anche di un contributo in denaro se la povertà dovesse essere stata la causa principale dell’eventuale intenzione di abortire.
L’assessora, fra l’altro, al primo montare delle polemiche, aveva precisato ad un quotidiano locale che non si trattava di un’erogazione di denaro “in cambio dell’aborto ma, di un supporto per coloro che si trovano in difficoltà”. Alle donne con Isee sotto i 7.500 euro era previsto un aiuto di 5mila euro; a quelle con Isee sotto i 10mila euro, un aiuto di 3mila euro. “Il diritto ad abortire rimane – aveva ribadito Barone”.
Poi, dopo qualche ora, la retromarcia: “Sospendiamo la delibera”. “Dispiace che ne sia stato strumentalizzato il contenuto, ma nessuno può mettere in dubbio l’orientamento della Regione Puglia e dell’assessorato al welfare, da sempre in prima linea per il diritto delle donne all’autodeterminazione – spiega l’assessora in una nota ufficiale della Regione, contestuale all’annuncio della sospensione -. L’obiettivo della misura è garantire un’adeguata assistenza alla gravidanza e al post partum con l’erogazione di servizi assistenziali integrati e multidisciplinari, che tengano conto della dimensione sia di natura medica che sociale dei bisogni rilevati”.