Brano evangelico della celebrazione

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?”. 39Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” – che significa Pietro. (Gv 1,35-42)

 

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Ci ritroviamo in preghiera, come Chiesa di Bari-Bitonto, alla vigilia delle esequie del Papa Emerito, Benedetto XVI. Desideriamo rendere grazie a Dio per il dono della sua persona e del suo ministero, ricco di apertura al trascendente e attento alle sfide del tempo. Siamo qui con il cuore riconoscente e orante, per essergli accanto in questo viaggio verso l’eternità.

Nella liturgia odierna, colpisce il racconto con cui l’evangelista Giovanni orienta il primo capitolo della sua riflessione teologica sul mistero del Verbo incarnato.

Egli ci mostra i tratti fondamentali della sequela e della vocazione cristiana. Innanzitutto il desiderio di ricerca e una disponibilità a dimorare fuori dai recinti delle proprie convinzioni. Quella ascoltata è una pagina che profuma di libertà e di coraggio.

Per comprendere quale orizzonte si nasconde dentro il mistero della nostra chiamata è necessario solcare una via, avventurarsi, per scoprire dove il Signore ama dimorare e imparare a comprendere che in questo luogo dimora anche il nostro desiderio.

Qual è questa dimora? È la volontà del Padre.

Interessante è cogliere come Gesù pone i suoi interlocutori dinanzi a se stessi, con una domanda lapidaria: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38).

È la domanda con cui anche noi veniamo posti dinanzi ai desideri, ai sogni che ci abitano, per imparare a esplorare la nostra interiorità e riformulare quella domanda di senso e di vita che ci portiamo dentro e che i discepoli del Battista esprimono bene nel chiedere a Gesù: “dove dimori?” (Gv 1, 38).

Egli rispondendo loro non indica un luogo, ma invita a camminare con lui: “venite e vedrete” (Gv 1,39).

Quanto ci addita l’Evangelista è, in definitiva, il processo di maturazione di una comunione di vita che, gradualmente, diviene comunione di cuore e di volontà.

L’inizio di questo itinerario di trasformazione è un momento che i discepoli non dimenticheranno, che immortala le lancette dell’orologio della loro esistenza, come si evince dal racconto:

“Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv 1,40).

Il brano ascoltato rischiara quanto stiamo contemplando nella celebrazione, ovvero il mistero di una persona, quella di papa Benedetto, che ha cercato il Signore e si è lasciato raggiungere dal mistero di Dio.

Un uomo da sempre in ricerca che, sino alla fine dei suoi giorni, non ha smesso di vivere e di camminare con il Signore, in una comunione di cuore e di volontà.

Quello di Benedetto XVI è stato un ministero sostenuto e irradiato da un grande amore per il Signore.

La profondità del suo spirito di teologo e di pastore è attestata dalla ricchezza del suo magistero, maturato nella preghiera e nella quotidiana ricerca di Dio.

Lo stile, semplice e cristallino, lasciava intravedere la bellezza del suo cuore e al tempo stesso un animo schivo e riservato.

È in questo camminare accanto al suo Signore che  Joseph Ratzinger, prima come sacerdote, poi da vescovo e infine da Pontefice, ha amato la Chiesa sino a giungere all’estremo gesto di uscire di scena, in punta di piedi.

Pastore dal tratto gentile e dallo sguardo profondamente umano, ha illuminato col suo breve pontificato un periodo storico non semplice. Le fatiche della Chiesa facevano ormai capolino tra le fatiche del mondo, delineando un periodo difficile, inquieto, che ancora oggi segna i nostri vissuti.

Nello scegliere il nome di Benedetto fece proprio l’impegno dell’omonimo predecessore Benedetto XV, che aveva accompagnato con coraggio gli inizi di un secolo travagliato dalla guerra, il ‘900, e quello di San Benedetto da Norcia, giungendo ad affermare che avrebbe posto ”il suo ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli” (Prima udienza del pontificato, 27 aprile 2005).

Nell’umiltà vissuta e testimoniata, frutto della sua intimità con il Signore, egli ha offerto il punto di sintesi e di saldatura tra fede e ragione, aprendo alla consapevolezza del limite, vero e proprio criterio ermeneutico con cui affrontare ogni ricerca, ogni dialogo, ogni confronto.

Chiare e significative le sue parole all’inizio del pontificato:    “Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II i signori Cardinali hanno eletto me pontefice, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore mi ha chiamato a lavorare e ad agire anche con strumenti insufficienti. E soprattutto mi affido alle vostre preghiere”.

Inequivocabili anche quelle al termine del suo ministero di pontefice:

Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino” (dalla DECLARATIO, 10 febbraio 2013).

Parole sofferte e coraggiose che lasceranno spazio solo al servizio della preghiera, alla quale ha voluto dedicarsi con tutto il cuore sino alla fine.

Errato considerarlo un papa di transizione. Da pontefice, Benedetto ha operato una grande apertura del papato stesso alla consapevolezza di una coscienza, mai sopita e mai sottomessa alle ragioni del ruolo.

Incoraggianti le sue parole in quel lontano maggio 2005, rivolte all’assemblea radunata sulla spianata di Marisabella, qui a Bari, in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale:

Neppure per noi è facile vivere da cristiani … la strada che Dio ci indica nella sua Parola va nella direzione iscritta nell’essenza stessa dell’uomo. La Parola di Dio e la ragione vanno insieme. Seguire la Parola di Dio, andare con Cristo significa per l’uomo realizzare se stesso; smarrirla equivale a smarrire se stesso. Il Signore non ci lascia soli in questo cammino. Egli è con noi; anzi, Egli desidera condividere la nostra sorte fino ad immedesimarsi con noi”.

Mentre eleviamo la nostra preghiera di suffragio, poniamoci in cammino: come i due discepoli del Battista, come papa Benedetto. Da loro impariamo a divenire cercatori del Signore che chiama, per giungere, al termine dei giorni, in una piena comunione di cuore e di volontà, esclamando:

“Signore, ti amo!”

Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto

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