Omelia nella Messa per il 50° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Nino Santoro,
Ruffano – Chiesa Natività B.V.M., 8 settembre 2024.

Caro don Nino,
celebrando il cinquantesimo di sacerdozio ti poni in un atteggiamento di gratitudine e di gioia: la gratitudine al Signore per il dono incomparabile di essere suo ministro, la gioia per i molteplici frutti che il tuo ministero ha generato in questa comunità. In questa festa della Natività di Maria, patrona della tua comunità parrocchiale, canta con lei le parole del ritornello del salmo responsoriale: «Gioisco pienamente nel Signore». Con l’apostolo Paolo riconosci «che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8, 28). Questi tuoi sentimenti sono anche i nostri. Condividiamo con te il rendimento di grazie al Signore e apprezziamo l’impegno che hai profuso in questi anni. Come non gioire nel constatare i numerosi guadagni che la tua azione pastorale ha prodotto in questa comunità sul piano strutturale, artistico e pastorale? 

Cinquant’anni di sacerdozio: l’ora dei sentimenti contrastanti 

Celebrare i cinquant’anni di sacerdozio significa comprendere che questa è l’ora nella quale si alternano sentimenti contrastanti. Essi possono essere indicati con alcune figure simboliche: tramonto e alba, corsa e traguardo, fatica e ricompensa. Questa è l’ora dell’alternarsi del tramonto e dell’alba. Il tramonto, come l’autunno, ha la sua bellezza pacata e matura. Non ha impeti, né bagliori. È una bellezza serena, pur se non manca di un senso di mestizia. È soprattutto l’ora nella quale il chiudersi della giornata prefigura un altro mattino, il tramonto prelude all’alba e il buio di una notte oscura e misteriosa, si apre alla luce del giorno che viene, a una speranza che non sarà delusa!

È l’ora nella quale si ricompongono fatica e ricompensa. Anche se appesantita dalla stanchezza di un lavoro protrattosi in un lungo arco di tempo, quest’ora è confortata dall’attesa di nuovi frutti. È l’ora della mercede, per chi ha portato il “pondus diei et aestus” e rimane ancora vigile e proteso verso l’avvenire. Raggiungere il traguardo delle nozze d’oro forse, almeno per un attimo, può suscitare un senso di sgomento, pensando al cumulo di responsabilità assunte durante gli anni di ministero. Talvolta potrà anche svegliarsi l’impressione di aver affrontato il gravoso compito con una certa inadeguatezza personale. Forse bisognerà riconoscere che l’ardua missione avrebbe richiesto un maggiore impegno. Questi sentimenti sono nubi che possono offuscare la serenità dell’ora, ma certamente suscitano l’imperioso bisogno di abbandonarsi nelle braccia della divina misericordia. Per questo, pur nella consapevolezza della propria insufficienza, cinquant’anni di sacerdozio riempiono il cuore di letizia! 

Questa è l’ora della corsa che prelude a un traguardo, della prova che esige perseveranza (cfr. Eb 12, 1-5), della lotta in vista della corona che verrà consegnata come riconoscimento per aver «combattuto la bella battaglia» (2Tm 4, 7). Le parole utilizzate da san Paolo (corsa, prova, lotta e perseveranza) indicano precisamente le coordinate della sequela di Cristo. La vita acquista così il valore di una gara sportiva nella quale la corsa non ammette rallentamenti e tentennamenti, la prova richiede una severa disciplina, la lotta domanda un esercizio spirituale, la perseveranza esige la capacità di superare difficoltà e ostacoli di vario genere. 

Secondo l’insegnamento paolino anche in quest’ora occorre continuare a rivestirsi dell’armatura spirituale. L’apostolo, infatti, esorta: «State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio (Ef 6,14-18). 

Cinquant’anni di sacerdozio: l’ora di guardare al passato con una visione d’insieme

Questa ricorrenza giubilare è soprattutto il momento per guardare al passato con una visione d’insieme! Gli anniversari, specie se di ampia portata, come il cinquantesimo di sacerdozio, sono occasioni privilegiate per leggere la propria vita con uno sguardo profondo, adottando approcci globali: si guadagna, così, una prospettiva unitaria e una percezione articolata. I frammenti si ricompongono tra di loro come tessere di un mosaico e delineano i contorni fondamentali della propria personalità e del proprio impegno pastorale. Come una forza attrattiva, la festa giubilare riconsegna un quadro d’insieme, delineando le coordinate fondamentali dei propri sogni e dei propri ideali. Caro don NIno, a me sembra che essi possono racchiudersi in due orientamenti: il primo è consistito nel promuovere la bellezza della Chiesa domestica e della famiglia parrocchiale; il secondo si è espresso nel cercare di trasfigurare la città della domenica nella domenica della città.     

a) La bellezza della Chiesa domestica e della famiglia parrocchiale

Fare della parrocchia una famiglia e della famiglia una Chiesa domestica[1] è stato l’imperativo fondamentale del tuo impegno pastorale. Non si tratta di un tema di poco conto. Al contrario è un obiettivo di grande rilevanza. La concezione della famiglia come “Chiesa domestica”, dal II secolo al Concilio Vaticano Il, ha conosciuto quattro “modelli” fondamentali. Durante il periodo neotestametario fino all’epoca proto-patristica, l’espressione “Chiesa domestica” indicava la comunità cristiana che si incontrava nelle case (domus Ecclesiae). A partire dal IV secolo, con la strutturazione pubblica dei luoghi di culto e l’aumento numerico delle comunità e dei battezzati, si è dato vita agli edifici detti “chiese”, ossia luoghi deputati al culto e all’educazione cristiana. “Chiesa domestica”, allora non ha indicato più la casa messa a disposizione dalla famiglia, ma la “famiglia cristiana” in quanto tale. Con la riforma tridentina, l’ecclesialità della famiglia è stata di fatto assorbita dalla comunità parrocchiale. È stato il Concilio Vaticano II a recuperare la nozione di Ecclesia domestica[2], riportando in grande considerazione la famiglia cristiana fondata sul matrimonio sacramentale e mettendo in luce le caratteristiche che ne fanno una “piccola Chiesa”. Il recupero conciliare è avvenuto nella linea tardo-patristica e medievale più che sul ricupero della visione neotestamentaria e proto-patristica. Non mancano tuttavia spunti che permettono di riattivare, in maniera aggiornata, l’esperienza della “Chiesa che si incontra nelle case”.

La tua azione pastorale, caro don Nino. si è mossa su questa linea. Con gioia, nella lettera che ho inviato alla tua comunità dopo la mia visita pastorale, ho messo in evidenza che «in sintonia con gli insegnamenti magisteriali, desiderate che la parrocchia diventi sempre più “una casa di famiglia, fraterna ed accogliente”[3]. L’immagine della casa e della famiglia è particolarmente significativa perché mette in evidenza che la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio, ma un ambiente dove si intessono relazioni interpersonali fraterne e cordiali; una casa aperta a tutti e al servizio di tutti; un luogo dove si sperimenta giorno per giorno la bellezza di vivere l’unità, la comunione e la concordia»[4].

Nello stesso documento vi ho esortati a continuare a procedere in questa direzione nella convinzione che «il rapporto tra famiglia e comunità cristiana non può essere di estraneità, di delega, o di autosufficienza, ma di circolarità dinamica: la famiglia deve sentirsi strutturalmente legata alla comunità parrocchiale e questa deve necessariamente essere attenta a sviluppare il ministero proprio della famiglia; la parrocchia deve valorizzare la famiglia come l’ambito ecclesiale privilegiato e insostituibile per l’educazione cristiana, la famiglia deve scoprire la sua costitutiva funzione ecclesiale e ministeriale evitando ogni forma di delega e disimpegno»[5].

b) La centralità della domenica nella liturgia e nella vita

Non meno importante è stato il secondo impegno che hai perseguito. Hai inteso infatti trasformare la “città della domenica” in un luogo di unità e di condivisione per tutto il popolo di Ruffano, per aiutare tutti a vivere la domenica come il giorno del Signore, centro della vita personale e comunitaria. Con un felice slogan don Tonino Bello ha tracciato il senso più profondo del tuo impegno pastorale nel suo scritto Città della domenica per la domenica della città. Faccio mie le sue parole con le quali egli vi esortava: «Se la città della domenica si pone come obiettivo, la domenica della città diventerà certamente segno e strumento di festa, luogo dove si alimenta la speranza, e fucina dove si temprano gli strumenti del servizio alla comunità. Se ne avvantaggeranno i giorni degli uomini. E sarà glorificato il Signore dei giorni»[6]

Ti rivolgo, caro don Nino, un’ultima esortazione. Quando giungerà il momento opportuno, come pastore di questa comunità, dovrai anche mettere in conto il passaggio del testimone al tuo successore. Intanto, con l’aiuto di Dio conferma ogni giorno il sì pronunciato al momento dell’ordinazione e continua ad amare e servire la Chiesa. Ciò che conta è accogliere l’invito di Gesù: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,1-17). Soltanto se rimani nel suo amore qualsiasi servizio che svolgerai nella Chiesa assumerà il suo pieno valore e significato. Uniti a Cristo, ogni forma di missione produce frutto, ogni paura è vinta, ogni difficoltà viene superata e la gioia del ministero non scompare, ma aumenta a dismisura.


[1] Cfr. R. Fabis-E. Castellucci (edd.), Chiesa domestica. La Chiesa-famiglia nella dinamica della missione italiana, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009 

[2] Cfr. Lumen gentium, 11; Apostolicam actuositatem, 11.

[3] Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 27.

[4] V. Angiuli, Incamminati sulla via della bellezza, siate sempre più casa e famiglia di Dio, Lettera pastorale alla parrocchia Natività B. V. M., Ruffano, 11 novembre 2917, in Id., Vengo a visitarvi nel nome di Cristo, pastore e custode delle vostre anime. Visita pastorale alla Chiesa di Ugento- S. Maria di Leuca 2016-2019, Edizioni VivereIn, Monopoli, (BA) 2021, p. 143. 

[5] Id., Educare a una forma di vita meravigliosa, Quadro di riferimento teologico-pastorale della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca per il decennio 2010-2020, Edizioni VivereInI, Monopoli (BA), 2014, 102.

[6] A. Bello, Città della domenica per la domenica della città, in Id., Scritti Vari Interviste, Aggiunte, Luce e Vita, Mezzina, Molfetta 2007, p. 347; cfr. anche A. De Bernart- M. Cazzato, La Masseria Mariglia di Ruffano. Il rcupero di un bene ambientale, Congedo Edite, Galatina, 1992, p. 6.

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