Intervista a Luana Prontera pubblicata su “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”,
domenica, 15 settembre 2024, p. 16.

L’alcol sembra essere diventato un bene rifugio. Da cosa scappano i ragazzi? 

Appare sempre più evidente, e non da oggi o dagli ultimi avvenimenti di cronaca legati all’uso e abuso dell’alcol, che i giovani avvertono una sorta di vuoto esistenziale. Già alcuni anni or sono Umberto Galimberti, nel suo libro L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, aveva stigmatizzato il nostro tempo come il momento dell’avverarsi della profezia di Nietzsche che prediceva la negazione di ogni valore. I più contagiati da questa tempesta culturale sono propri i giovani, attanagliati da una progressiva e sempre più profonda insicurezza, condannati a una deriva dell’esistere che coincide con il loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. Nel mondo moderno, fondato su un unico valore, ovvero il denaro, i giovani appaiono demotivati, sfiduciati e disincantati. Si sentono pervasi da un senso di nulla e avvertono di essere incapaci di esprimere ciò che sentiamo, colpiti da quello che Galimberti definisce “analfabetismo emotivo”. La confessione di Riccardo, il diciasettenne che ha ucciso a Paderno Dugnano il fratellino e i suoi genitori, sembra confermare questa analisi.

I social hanno aperto le porte della comunità globale. Che responsabilità hanno in ciò che accade?

Tutti i mezzi di comunicazione sociale sono per sé neutri.  Molto dipende dall’uso che se ne fa. Certamente i social hanno creato un “mondo virtuale” che può alienare dal “mondo reale”. Soprattutto poi se utilizzati dai personaggi definiti influencer che non si propongono certo finalità educative. Con la loro capacità attrattiva, riescono in molti casi a catturare l’attenzione dei più giovani e a proporre sfide estreme dagli esiti non scontati. Spesso queste “prove di forza” sono presentate come manifestazioni di coraggio e di creatività, ma nascondono pericoli, rischi e azzardi personali. Il loro influsso sugli adolescenti è pervasivo. Intanto sarebbe opportuno un “controllo sociale” su alcune regole di comportamento. Bisognerebbe, ad esempio, rispettare la regola che non consente la vendita di alcolici ai minori. Ma ciò che più conta, bisognerebbe aiutare i ragazzi e le ragazze a comprendere che la spavalderia è cattiva consigliera e che la gioia non deriva dall’attimo fuggente, ma dal portare avanti un progetto di vita. Bisognerebbe far tesoro della testimonianza di Steve Jobs, il fondatore di Apple e Pixar, morto il 6 ottobre 2011, all’età di 56 anni, il quale era convinto «gli anni più belli e più brillanti sono davanti a noi, non alle nostre spalle»! Stava morendo, eppure guardava avanti.

Leggiamo spesso di professori assediati e aggrediti verbalmente. Si moltiplicano anche le mamme tiktoker che si filmano mentre rimproverano i docenti di inadeguatezza o incapacità. 

Gli episodi riportati dalla cronaca quotidiana evidenziano una sorta di “degrado sociale” che è anche di natura culturale e affettiva. In un mondo, come il nostro, senza radici, sembrano dileguarsi le regole più ovvie e fondamentali: il rispetto delle persone e dei ruoli, il riconoscimento e il ringraziamento per la professione e il lavoro educativo proposto dalla scuola, la collaborazione da parte della famiglia e dei genitori con la comunità educante, la consapevolezza che l’educazione dei figli è un’opera sinergica che deve essere portata avanti da diverse istituzioni, ognuna con il suo proprio specifico compito. Tuttavia, anche in questa situazione di grande incertezza e confusione non bisogna scoraggiarsi, È evidente però che bisogna cambiare registro se si vuole raggiungere il bene arduo della felicità delle nuove generazioni.

Le famiglie hanno delle responsabilità? 

Nessuno può sentirsi giustificato. Tutti devono accollarsi la propria parte di responsabilità. Pertanto è giusto ammettere che anche la famiglia ha le sue colpe. A mio parere, pero, più che insistere sull’analisi dei “cahiers de doléances”, i genitori, che sono i primi e fondamentali educatori dei loro figli, dovrebbero riconoscere che l’adolescenza è una età di passaggio: bella, ma misteriosa e difficile. Dovrebbero anche comprendere che non basta mettere al mondo i figli, ma che bisogna generarli alla vita con una paziente opera educativa. Questa non consiste solo nell’arginare gli usi e gli abusi di alcol e sostanze stupefacenti, ma soprattutto nell’insegnare che la vita non è un gioco, e nemmeno un fatto scontato, banale e insignificante; un caso o addirittura uno sbaglio della natura, ma come diceva il poeta russo A. A. Tarkovskij: «La vita è la meraviglia delle meraviglie». 

Dirigenti e insegnanti insistono sulla necessità di non permettere, ai bambini, l’uso dei cellulari. 

Penso che sia cosa saggia ascoltare i consigli degli esperti secondo i quali un uso indiscriminato e anticipato dei social non facilita la crescita armonica dei ragazzi, anzi crea in loro qualche disturbo. Bisogna, invece, aiutarli guardare la realtà, a contemplare la natura, a confrontarsi e dialogare con gli altri. Più che con il mondo virtuale è bene che i ragazzi si confrontino con il mondo reale dove imparano a stupirsi per la bellezza del creato, a riconoscere i propri limiti, a scoprire le proprie qualità e i propri doni. Soprattutto bisogna aiutarli a vivere il silenzio, ad ascoltare le voci esterne, a entrare più profondamente nella propria intimità. 

Quale messaggio darebbe a questi ragazzi? 

Parafrasando il titolo di un famoso film di Roberto Benigni, ai ragazzi direi che la “vita è bella”, ma che è diversa ed è altra cosa rispetto alla “bella vita”. Quest’ultima è sinonimo di disimpegno e di ricerca di soddisfazioni immediate e passeggere; desiderio di provare le sensazioni e le emozioni che si presentano ogni giorno; voglia di “cogliere l’attimo fuggente” senza preoccuparsi del domani; smania di vivere “alla giornata” scrollandosi di dosso ogni responsabilità. La vita bella, invece, è il desiderio di un sapere che spinge alla conoscenza approfondita delle cose; il bisogno di coltivare rapporti sinceri, intensi e duraturi con gli altri; la capacità di affrontare con coraggio i sacrifici necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati; l’attitudine a coltivare il desiderio di percorrere sentieri impervi e inesplorati; l’aspirazione a nutrire grandi sogni, a non sprecare le proprie energie fisiche, intellettuali e spirituali, a vivere con saggezza la propria libertà. Li inviterei ad ascoltare il suggerimento di don Tonino Bello, per il quale «vivere non è trascinare la vita, non è strapparla, non è rosicchiarla: vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebbrezza del vento; vivere è assaporare l’avventura della libertà».

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