La Liturgia della Parola ci presenta oggi tre bellissimi inni che insieme ci dicono una verità teologica profonda: Gesù Cristo è la Sapienza di Dio, la Verità di Dio, la Parola di Dio che si fa carne. La realtà divina della Sapienza attraverso la quale Dio ha creato il mondo, trova un’abitazione in mezzo agli uomini e vi pone la sua tenda.
Nella Prima Lettura Ben Sirach, mentre descrive l’azione creatrice della Sapienza, riporta l’ordine di Dio alla Sapienza: “Fissa la tenda in Giacobbe. Anche nella pagina evangelica troviamo un verbo simile, quando Giovanni descrive il mistero dell’Incarnazione del Verbo con il termine eskēnōsen, che letteralmente significa “mise la tenda, attendarsi”. Così scrive il Cardinale Ravasi: “Si ha qui un ammiccamento sia simbolico sia lessicale all’ebraico biblico. Nell’Antico Testamento, infatti, si parlava della ‘tenda dell’incontro’ fra Dio e Israele, che era sia il santuario mobile del deserto sia il tempio fisso di Gerusalemme. C’è, però, una differenza radicale tra le due ‘tende-presenze’. In Cristo non si ha più un tempio di teli o di pietre, ma di ‘carne’. Il corpo di Cristo è il nuovo tempio, come dirà lo stesso Gesù…” (Ravasi, G., La tenda del Verbo, in Famiglia Cristiana, 20 giugno 2013).
L’identificazione tra Gesù e la Sapienza viene spontanea. La Sapienza, che esce dalla bocca dell’Altissimo diviene “Parola” avvicinandosi all’uomo, poi questa “Parola” entra nella condizione umana diventando carne. È la realtà storico-salvifica del mistero dell’Incarnazione del Signore. Egli è Colui che, venuto da Dio, ha condiviso le debolezze della natura umana operando la redenzione nel suo sangue, come ci ricorda l’apostolo Paolo nella Seconda Lettura. Il dono di Dio si realizza in un modo umanamente inatteso: l’uomo peccatore, per entrare in rapporto con Dio ha bisogno della remissione dei peccati. Essa si attua storicamente mediante la morte di Cristo in croce, che viene qui presentata, in sintonia con il linguaggio paolino, come “redenzione mediante il suo sangue”. Il sangue, come la carne, di cui parla il Prologo nel v.14, quello centrale di questo poema, è indice della concretezza del mistero del Natale.
Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico