In un clima di grande solennità e di orante compostezza si è svolta ieri la processione del Corpus Domini che, dalla chiesa parrocchiale di Sant’Antonio a Fulgenzio, dopo aver percorso alcune vie della città, si è conclusa nella splendida cornice di Piazza Duomo.
A presiederla è stato l’arcivescovo Michele Seccia accompagnato da una nutrita rappresentanza di sacerdoti e diaconi, di religiosi e consacrati oltre che dal popolo santo di Dio, accorso in gran numero.
Ed è dal cuore della Chiesa diocesana che il presule, dinanzi al Santissimo Sacramento, ha elevato a nome di tutta la comunità ecclesiale da lui guidata, la preghiera di adorazione (SCARICA IL TESTO INTEGRALE).
Davanti al Pane della vita il pastore leccese ha chiesto per tutti un passo deciso verso la santità, pari a quello che Oronzo e tanti uomini che prufumavano di Vangelo vissuto in questa terra salentina hanno saputo riempire di contenuti.
Così Seccia: “Signore, se stasera siamo qui a lodarti e ad adorarti, gran parte del merito va a chi ci ha lasciato questa eredità di fede e di grazia. A Oronzo, il primo testimone di questa Chiesa. Che, abbracciando il tuo santo vangelo, ti ha consegnato questa terra baciata dalla creazione e dalla tua provvidenza: in questo Anno Oronziano rinnoviamo davanti a te la nostra profonda devozione al nostro patrono e protettore. Lo dobbiamo alla lunga schiera di santi di questa città e di questa Chiesa che, come Te, hanno scelto la via delle beatitudini per essere felici. Da Irene a Giusto e Fortunato, da Bernardino Realino a Filippo Smaldone, da Luigia Mazzotta a Giuseppe Ghezzi, da Nicola Riezzo fino a Santina De Pascali e al caro don Ugo De Blasi“.
Da qui lo sguardo dell’arcivescovo si è aperto alla dimensione universale della Chiesa nella richiesta di una speciale benedizione a “Papa Francesco affinché la barca di Pietro sia sempre più una ‘barca in uscita’ e resti aperta e accogliente verso ogni uomo e ogni donna di buona volontà. Con lui ci uniamo nell’invocazione perenne: donaci la pace. Tacciano le armi in ogni parte del mondo e torni il dialogo affinché non siano sempre i poveri e i più fragili a pagare il prezzo più alto”.
E nello stile di paternità che da sempre appartiene a Seccia, non poteva certamente mancare l’atto di affidamento al Sommo ed Eterno Sacerdote per ognuno dei suoi presbiteri e diaconi perché possano “essere uomini che pregano senza mai stancarsi, ogni giorno fedeli al legame sacramentale che ci unisce a te, consapevoli sempre del dono che hai messo nelle loro mani e della grazia che ci hai affidato e che ogni giorno attingono nel celebrarti nell’Eucarestia”.
Contemplando l’Amore fatto carne è stato facile per Seccia andare con il cuore e con la mente alla splendida realtà della famiglia, perché “torni ad essere vera scuola di preghiera e di vangelo” e attraverso di essa si edifichi la Chiesa “sola grande famiglia in cui l’amore regni prima di ogni cosa”.
I giovani, gli amministratori della cosa pubblica e gli operatori sanitari hanno avuto nella mente del vescovo un pensiero di riguardo: per i primi ha chiesto che siano intenditori d vita buona, per coloro che governano che possano essere promotori del bene comune, per quanti servono la sofferenza che possano servire Cristo nell’uomo.
Il posto privilegiato nel cuore del Signore è per i poveri, tabernacoli privilegiati nei quali si compiace di abitare e di “provocare” la fede umana: per ognuno di essi il vescovo ha chiesto al Tre volte Santo di “guidarci e aiutarci a non stancarci mai di amarti e servirti nel corpo e nell’anima delle nostre sorelle e dei nostri fratelli disagiati”.
Ecco che per una sera la Chiesa di Lecce insieme al suo pastore si è messa alla scuola dell’Eucaristia per imparare ad essere pane spezzato per la vita del mondo.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli