Letture:
Is 61,1-3.6.8b-9
Sal 88
Ap 1,5-8
Lc 4,16-21

 

Cari fratelli presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, santo popolo di Dio,
la celebrazione della Messa Crismale è un momento tanto atteso e desiderato da tutti noi, mentre insieme condividiamo la speranza che si chiuda il tempo delle restrizioni vissuto negli ultimi due anni a causa del COVID. I tanti incontri virtuali, che pure abbiamo vissuto in questo tempo, ci hanno certo fatto sentire la vicinanza dei fratelli, ma lo stare finalmente insieme, tutti insieme intorno alla stessa mensa, come stasera, è un’altra cosa; ringraziamo il buon Dio innanzitutto di questo. E dunque vorrei iniziare il momento della riflessione rimandandovi le stupende parole del Salmo 133: “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come profumo prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste…”.
E cominciamo allora, carissimi fratelli, col fermarci sulle parole di Gesù, riprese dal testo di Isaia, che il vangelo di Luca oggi ha fatto risuonare per noi: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio”. Sono parole che possiamo e dobbiamo ripetere ogni giorno cari confratelli, quasi come preghiera del mattino! Non dimentichiamo mai che il giorno dell’Ordinazione abbiamo ricevuto lo stesso Spirito di Gesù, e da quel giorno questo Santo Spirito è sceso su di noi e ci ha consacrato con l’unzione!  Lo Spirito del Signore ci ha consacrato per essere configurati a Cristo Signore, sommo ed eterno sacerdote, per essere inviati per la missione, e cioè per portare ai poveri il lieto messaggio di salvezza. Non una fredda dottrina, non un codice etico, non devozioni e tradizioni, ma il Vangelo liberante che è l’annuncio di Cristo morto e risorto per noi!
Facendo riecheggiare allora alcune espressioni dell’indimenticabile San Paolo VI, il Papa che, come sapete, mi ha ordinato presbitero, dico innanzitutto a me stesso e a voi tutti: “solo questo abbiamo da dare e possiamo dare al fratello povero che incontriamo, null’altro se non Cristo! Lui è la via che ogni uomo desidera percorrere; la verità che ogni cuore brama; la vita che sola può riempire di gioia”! Non dobbiamo dimenticare mai, nemmeno per un attimo, che siamo stati consacrati per annunciare Cristo ai poveri con la parola e, direi soprattutto, con la vita.
I poveri di oggi (e sono tanti!) Uomini e donne che fuggono dalla guerra, da tutte le guerre, dalla fame, dalla povertà; fratelli e sorelle, vicini e lontani, prigionieri e oppressi da tante forme di povertà; tanti nostri giovani che vivono senza speranza, senza futuro, incapaci, da soli, di dare un senso vero alla vita…
Cari confratelli – mi piace ricordarlo proprio oggi che stiamo per rinnovare le promesse sacerdotali che abbiamo fatto il giorno della nostra Ordinazione – non ci accada di chiudere il cuore a questi fratelli e, metterci così a rischio di meritare gli stessi severi rimproveri che Gesù rivolgeva ai farisei.
Vorrei con voi ricordare San Gregorio Magno, il quale insegnava che chi non è capace di dare testimonianza di vera carità non dovrebbe ardire di assumersi il ministero sacerdotale. E possiamo anche comprendere il perché: la carità pastorale, centro vitale dell’identità del ministro ordinato, non sopravvive in un cuore incapace di lasciarsi amare teneramente da Cristo, per poter poi condividere e trasmettere questo amore ai fratelli. La carità pastorale che ci identifica deve tradursi in relazioni d’amore, prima ancora che in funzioni legate all’ufficio! Ma chiediamoci subito tutti: come si fa a parlare di carità pastorale se noi per primi non riusciamo sempre ad avere con i confratelli, tra di noi, relazioni belle, schiette, improntate all’autentico amore evangelico? Carissimi, prendiamo sempre più coscienza che la nostra società non sa che farsene di parolai che vendono fumo, ma cerca testimoni innamorati e contagiosi (so bene che questa è una parola pericolosa, ma non esito ad usarla perché di sicuro è efficace). Sì, contagiosi nell’amore.
La tempesta epidemica, che da un paio di anni si è scatenata sul nostro mondo, ci ha segnati profondamente nelle nostre relazioni umane, spirituali, nella società e nell’economia, nella stessa vita di Chiesa, scatenando reazioni anche a lunga gittata, che dovremo essere sempre più capaci di intercettare, interpretare, capire e governare. Per questo noi ministri ordinati dobbiamo essere uniti, fare fronte comune dinanzi a questa situazione, aprire gli occhi del cuore e della mente per leggere in profondità i segni che questo tempo ci sta lasciando. Aprire gli occhi, leggere ed agire di conseguenza, …ma soprattutto: tutti insieme, tutti insieme!
È nostra precisa responsabilità quella di interpretare, di capire ciò che è avvenuto, per aiutare poi tutti i nostri fedeli a fare le necessarie scelte ecclesiali che i tempi ci impongono.  Usciamo, per favore, dalle banalità e dalle frasi fatte, come ne abbiamo ascoltate e forse dette tante in questo periodo. Molti di noi abbiamo raccolto sofferenze di ogni tipo da tante famiglie che hanno vissuto lutti, crisi relazionali ed economiche. Noi, Chiesa di Andria, che risposte stiamo dando alla nostra gente? Una delle frasi che si son sentite e che sicuramente abbiamo detto anche noi, è stata questa: “Dopo questa pandemia, nulla sarà più come prima”. Ce l’ha rimandata perfino il Papa in più di una occasione! Qualcun altro magari pensa invece, anche se non sempre lo dice: “Speriamo che finalmente tutto ritorni come prima”.
Vien voglia di chiederci innanzitutto: “Noi Chiesa di Andria, soprattutto noi preti, noi laici impegnati che diciamo? Che cosa speriamo”? Ecco dunque il nostro impegno: cercare risposte guidati dallo Spirito, risposte che non abbiano la facile pretesa di risolvere tutti i problemi, ma certo che ci aiutano ad avviare un cammino incarnato nella reale situazione della nostra gente, con tutte le sfide che ci interpellano. E il cammino sinodale, indicatoci da Papa Francesco, è davvero una grande opportunità di rinascita.
Ricordiamoci, in questo contesto, innanzitutto quello che ci ha detto il Concilio su questo punto. Vi ricordo due passaggi dei testi conciliari, della Presbyterorum Ordinis, il primo: “Tutti i presbiteri costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio Vescovo… Pertanto, ciascuno è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità” (PO, 8); e della Lumen Gentium il secondo: “In virtù della comunità di ordinazione e missione, tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un’intima fraternità che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità” (LG 28).
Non dobbiamo mai dimenticarci, cari confratelli, che ciò che ci unisce è la medesima vocazione, la medesima ordinazione, la medesima missione. Tutto parte da queste tre parole: vocazione, ordinazione, missione. E tutto ad esse conduce, in definitiva conduce a Lui, al Signore Gesù benedetto. Non è scontato ripeterci allora che l’amore per il Signore è ciò che ci fa essere come “veri” preti. Innamorati di Lui, amanti di Lui e dei fratelli. Torno perciò a ricordarvi: dal tempo che sapremo dedicare a Lui nella preghiera, nella meditazione della Parola, in una vita di relazione e di intimità con il Maestro, troverà fecondità il nostro ministero, non dalle nostre capacità e abilità, non dalle tecniche pastorali più o meno avanzate. Non dobbiamo dimenticare, nemmeno per un attimo, che è proprio l’amore che sperimentiamo e che ci unisce a Cristo che ci spinge a fare della nostra vita quel pane spezzato e quel vino versato che è dono d’amore per la salvezza della nostra gente. Lui e solo Lui è la perla preziosa per cui vale la pena lasciare le piccole bigiotterie delle suggestioni del mondo, del successo, dell’esteriorità, degli affetti e del potere che possono ammaliarci e distogliere il nostro sguardo da ciò che vale e conta veramente.
Perciò, carissimi confratelli, lasciate che vi dica: amiamo la nostra Chiesa, quella Chiesa al servizio della quale siamo stati chiamati e consacrati. Amiamola quando tutto va bene, quando si è nella luce. Ma amiamola anche quando è segnata dal peccato e dalle nostre fragilità. È la nostra Sposa che ci è affidata e che, con grande passione, dobbiamo rendere ogni giorno più bella con la nostra testimonianza e il nostro amore. Altrimenti, lasciatemi dire, che senso avrebbe il nostro celibato?
Ed è lo stesso invito che ora rivolgo a tutti voi, cari fratelli e sorelle dell’amata Chiesa di Andria: non smettiamo mai, nemmeno per un attimo, di amare la nostra Chiesa, di pregare perché sia sempre più bella, fedele alla sua missione, che è quella di servire gli uomini e le donne del nostro tempo, di servirli con tutte le nostre forze, senza mai risparmiarci in niente, ma donandoci come Cristo, fino alla fine, fino alla fine, che equivale a dire: “senza fine”!
Ci accompagna, in questo giorno così significativo per il nostro ministero sacro, un pensiero del Venerabile, il vescovo mons. Tonino Bello, un vescovo della nostra terra, che certo tutti speriamo presto di vedere agli onori degli altari:
Lo Spirito Santo irrompa dentro di voi e vi dia soprattutto il dono del sogno.
Se il mondo oggi va male è perché si sogna poco.
Una Chiesa che non sogna non è Chiesa. È solo apparato.
Quando preghiamo chiediamo anche tanta capacità di sogno,
di sognare in grande!
Amen!


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