Mi è gradito farvi giungere i miei più sinceri e cari auguri di Natale, che, tra noi, non possono essere semplice esercizio formale, bensì devono avere un tono cordiale e familiare, al fine di introdurci nel mistero dell’Incarnazione e contemplare nuovamente l’incanto della grotta di Betlemme.

 

 

 

Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (Is 9,5). In quella notte si è compiuta la grande profezia di Isaia con questo annuncio che ascolteremo domenica prossima.

La nascita di Gesù, come ben sappiamo, non ci fa semplicemente volgere lo sguardo a un accadimento del passato, ma è un evento salvifico che ci permette ogni anno di rinascere interiormente, per trovare in Lui la forza che ci consente di affrontare ogni prova e difficoltà della vita. La sua nascita, infatti, è per noi, pro nobis: per me, per te, per tutti. Per è la parola che ritroviamo spesso nella liturgia della Notte Santa: «Oggi è nato per noi il Salvatore» ripeteremo nel salmo responsoriale; ed è questa l’esperienza che noi desideriamo vivere riscoprendo l’importanza della donazione del Dio fatto uomo per la nostra salvezza.

Gesù «ha dato sé stesso per noi» (Tt 2,14), proclama San Paolo, e l’angelo nel Vangelo annuncia: «Oggi è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Per me, per noi.

Il Figlio di Dio, colui che viene, non si è risparmiato per nulla nelle fatiche quotidiane e, prima di tutto, dona sé stesso per noi che crediamo in Lui. Infatti, nella messa del giorno di Natale, leggendo il prologo di Giovanni, ci viene annunciato che proprio il Bimbo nato a Betlemme ci rende, mediante la fede, figli di Dio: «A quanti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13).

Insieme ai pastori, anche noi allora ci rechiamo a Betlemme per adorare il Signore. Come vedremo in tutto questo tempo di Natale, si avverte subito lo scontro tra la luce e le tenebre, la misericordia e l’odio, la bontà di Dio e la freddezza della risposta dell’uomo. Gesù, infatti, è il “segno di contraddizione” di cui parlò il vegliardo Simeone, annunciando alla Vergine, che una spada avrebbe trafitto la sua anima. Gesù, dunque, è il “segno”: mentre gli angeli ne cantano le lodi e i pastori lo adorano, i cittadini di Betlemme non sono in grado di offrirgli una degna dimora; i magi partono dal lontano Oriente portando i loro più preziosi doni, ma il re Erode tinge di sangue innocente la nascita di quel Bimbo. Allo stesso modo, siamo chiamati a “vedere” quel segno che ci è stato donato e a deciderci per Lui, accogliendo la sua vita divina che è donata per noi.

Il suo dono è una benedizione per l’intera umanità che è abbracciata a tal punto dal Signore che Lui si è fatto uomo per essere non solo il Dio per noi, ma anche il Dio con noi, l’Emmanuele.

Da qui, scaturisce la gioia e la speranza cristiana. Il Signore ha promesso che sarà sempre con noi fino alla fine dei tempi e ha manifestato questa vicinanza proprio nel suo Natale, quando, assumendo la nostra condizione umana, in certo modo, si è unito a ognuno di noi, per sempre.

Questa vicinanza, questa unità con il suo popolo, intendo testimoniare e portare in ogni casa e comunità. Perciò, ancora una volta, vi chiedo di pregare per il buon esito della visita pastorale che inizierò nella prossima Quaresima.

Lo sappiamo bene: credere non è un privilegio che ci dispensi dalla comune fatica del vivere. Il volto del Verbo fatto carne va ricercato nel quotidiano, intessuto di gioia e di pena, di luce e di tenebra, di peccato e di misericordia, di morte e di risurrezione. Questo è il mondo, questa è la carne assunta dal Verbo di Dio.

Con questi sentimenti viviamo la festa del Natale, seguendo la stella che è sorta dall’alto, il vero Sole di giustizia che ci visita per liberarci dalle ombre della morte e aprirci il cammino della salvezza.

Augurandovi un Santo Natale, vi chiedo di pregare per me e vi assicuro la mia vicinanza e preghiera.

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