Ecc.za Rev.ma, mons. Marcello Bartolucci, 
Rev. da Madre Generale, suor Ilaria Nicolardi, 
Care suore “Figlie di S. Maria di Leuca”,
Rev. di sacerdoti,
Cari fratelli e sorelle,

dopo la beatificazione di Madre Elisa, celebriamo, sullo stesso piazzale di questa Basilica, la Messa di ringraziamento per la venerabilità di Madre Teresa Lanfranco. Non poteva essere altrimenti dato il profondo legame personale e spirituale che le ha unite durante la vita.

Made Teresa, custode del carisma di Madre Elisa

Il carisma di Madre Elisa è stato accolto e condiviso da Madre Teresa fin dalla sua giovinezza. A 17 anni, infatti, lungo la riva del mare di Gallipoli, incontra la giovane Elisa Martinez. Quel giorno segnerà per sempre tutta la sua vita. Il card. Gilberto Agustoni ricordò questo avvenimento il giorno del suo funerale: «La sua presenza fisica, gioviale, quasi irrequieta come l’acqua degli scogli del suo mare di Gallipoli, dove la Madre fondatrice personalmente la catturò, non ancora ventenne, come una preda preziosissima […]. Non ha vissuto per sé stessa, ma ha vissuto e morta per il Signore»[1].

Le parole del cardinale non solo richiamano il loro incontro, ma suggeriscono anche la spiritualità che ha animato Madre Teresa in tutta la sua esistenza, seguendo le orme di Madre Elisa: vivere non per sé, ma per il Signore. Il riferimento implicito è alle parole di san Paolo il quale afferma: «Nessuno di noi vive per sé stesso e nessuno muore per sé stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore (Rm 14,7-8). Cristo è, dunque, l’unica ragione per vivere e per morire. Madre Teresa era consapevole di questa verità e si riteneva una serva inutile (cfr. Lc 17,10), un vaso di creta (cfr. 2Cor 4,7), in cui Dio aveva posto la ricchezza e la potenza della sua grazia. Dalla beata Elisa Martinez, aveva appreso che la strada nuova e sicura per incontrare il Signore era la strada dell’umiltà, del bene che non fa rumore e rimane fedele in tutti i giorni della vita. 

Nascosta con Cristo in Dio

L’umiltà è il riconoscimento che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre» (Gc 1,17). Umile è chi assegna il primato a Dio, vivendo nel nascondimento e nell’operosità. Non senza ragione, il postulatore della causa, mons. Amedeo Sabino Lattanzio, ha intitolato la biografia di Madre Teresa con una frase suggestiva: «Nascosta in Dio». Il riferimento implicito è all’apostolo Paolo il quale afferma: «La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). Il nascondimento rimanda alla considerazione della grandezza del mistero di Dio. La distanza che ci separa da lui è come quella tra il cielo e la terra. Non conosciamo i suoi progetti, non possiamo capire le sue azioni e le sue intenzioni. I suoi disegni sono imperscrutabili e inaccessibili i suoi pensieri. Le sue vie sono diverse dalle nostre (cfr.  Is 55, 8-9) e i suoi pensieri sono più alti e più sublimi dei nostri. Il progetto che egli ha su di noi trascende la nostra comprensione.

Certo, ogni uomo coltiva segretamente il desiderio di vedere Dio. Assomiglia però a quell’amico che percepisce la presenza dell’altro solo attraverso una tenda pesante. Avverte quello che l’altro fa, ma non lo vede (Rainer Maria Rilke). Bisognerebbe sollevare il drappo della tenda. Ma questo è un gesto che solo Dio può compiere. Quando egli alza il velo del suo nascondimento, diventa possibile conoscere e comprendere qualcosa del suo mistero ineffabile. Significativo, al tal proposito, è un passo del libro dell’Esodo: «Quando passerà la mia Gloria, – dice il Signore a Mosè – ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato.  Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere» (Es 33, 22-23).

Il Dio che incontra Mosè è un Dio che passa, che si muove e parla! Mosè potrà vedere solo le sue spalle perché l’Eterno cammina davanti per guidare Israele nel deserto verso la terra promessa. 

Mosè, il profeta più grande, l’amico di Dio, colui che può parlargli “bocca a bocca” (cfr. Nm 18,2), quando riceve il dono straordinario di vedere Dio può farlo solo guardando le spalle. Il volto rimane nascosto. Chi vuol vedere Dio deve seguirlo, stargli dietro, camminare dietro a lui. 

Anche noi, con lo sguardo della fede, possiamo riconoscere il passaggio di Dio in alcuni frangenti della nostra esistenza. Dio però rimane sempre nascosto. Non possiamo vederlo in modo immediato. Il suo volto è abbagliante come la luce del sole. Essa ci consente di vedere, ma non di fissare lo sguardo sul sole. La sua luminosità supera la possibilità dei nostri occhi. La sua luce ci abbaglia e ci impedisce di vedere la sorgente da cui promana. Solo chi si contenta di vedere le sue spalle, potrà conoscere qualcosa del suo mistero. 

Qualcosa di completamente nuovo avviene con l’Incarnazione del Verbo eterno: il Dio invisibile si rende visibile in Cristo. La ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile: ora il volto di Dio si può vedere riflesso sul volto di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo. Egli è la pienezza della rivelazione[2]. I Padri della Chiesa interpretavano la frase del libro dell’Esodo, «puoi solo vedere le mie spalle», nel senso che seguendo Cristo si vede qualcosa del mistero di Dio. 

Pertanto, essere nascosti in Dio significa entrare in Cristo e con lui prendere parte al mistero del Padre. Cristo è la porta per avere accesso all’intimità di Dio, la fonte della luce che ci consente di vedere che siamo figli e abbiamo Dio come Padre! È questa la nuova vita che Gesù ci ha conquistato. Con la sua morte e risurrezione ci ha strappati dalla prigionia dell’egoismo e ci ha introdotti nella vita di figli di Dio. Quando guardiamo e seguiamo le orme di Cristo, ci apriamo al mistero assoluto. La sua sequela produce l’epifania del mistero e l’epifania invita all’affidamento nelle braccia della divina misericordia. 

Così è vissuta Madre Teresa Lanfranco. La sua esperienza di vita nascosta in Dio non si è realizzata nell’inattività, ma ha sprigionato un’energia interiore e ha generato un grande movimento. Si comprende allora l’importanza che ha avuto l’opera di Madre Teresa Lanfranco nella Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca, soprattutto in alcuni momenti difficili del suo percorso. Per questo di lei si dice che «dove metteva mano tutto rifioriva».

La devozione alla “Madonna dei fiori”

Questa caratteristica svela la natura profonda della sua intima e filiale relazione con la Madonna e testimonia il suo legame con la devozione del popolo gallipolino alla “Madonna dei fiori”. La tradizionale preghiera che il popolo di Dio rivolge a lei fa riferimento ai fiori freschi, alle rose, ai gelsomini, ai gigli, alle viole, ai giacinti, alle palme, agli ulivi, alle gemme. Le qualità di questi fiori sono condensate nella preghiera dell’Ave Maria.

Non si tratta solo di una preghiera devozionale. Fin dall’antichità, i fiori sono stati ampiamente usati nelle celebrazioni per indicare le qualità spirituali della Vergine Maria e dei santi. Anche la Sacra Scrittura utilizza il linguaggio floreale. Il Cantico dei Cantici è l’espressione più alta della mistica e della poetica biblica. La Sposa è definita in molti modi, spesso con metafore vegetali e floreali. Innumerevoli sono anche i riferimenti alla Vergine Maria: è venerata come hortus conclusus; è collocata vicina ad una fonte d’acqua, circondata di rose o seduta su un prato punteggiato di fiori primaverili. Nelle Laudi e nella litania lauretana si trovano, come simboli delle sue virtù, i titoli di Vas spiritualeVas honorabileVas insigne devotionisRosa mystica Regina sacratissimi rosari

Il piccolo trattato attribuito al vescovo Ildefonso di Toledo (VII sec.), De corona virginis, prende in esame un insieme di piante, immaginandole quali ornamento della Vergine Maria, definita “amabilis velut rosa”. Tra i fiori, Ildefonso richiama il giglio, la rosa e la viola. Soprattutto la rosa è il fiore, simbolo mariano e mistico per eccellenza. Maria è cantata in tutte le forme e i colori della rosa: «bianca e senza spine, perché senza macchia del peccato; rosa, per il mistero dell’Incarnazione; rossa, per l’amore e la carità con cui ha acconsentito alla chiamata del Padre e per il dolore sofferto nel vedere il Figlio sulla croce». La rosa d’oro, infine, indica la gloria dell’Assunzione e descrive le beatitudini paradisiache. Per questo Dante immaginò i beati nell’Empireo composti come una rosa attorno a Dio.

Jacopone da Todi, ne Il Pianto della Madonna de la passione del figliolo Jesù Cristo, mette queste parole sulla bocca della Vergine «O figlio, figlio, figlio! / Figlio, amoroso giglio, / figlio, chi da consiglio / al cor mio angustiato?». Il riferimento mariano diventa anche un simbolo ecclesiale. Tommaso da Kempis, nel suo Vallis Liliorum, cita una frase del Cantico dei Cantici: «Io sono il fiore ed il giglio delle convalli» (Ct 2,1) e spiega: «È questa la parola con cui Cristo si volge alla santa sua Chiesa in generale, e più specialmente a ciascuna anima pietosa. Cristo infatti è il bellissimo sposo della cattolica Chiesa […], il fiore di tutte le virtù, il giglio delle convalli. […] chi dunque voglia servire a Cristo e piacere al celeste sposo, procuri di spogliarsi de’ suoi vizi, di raccogliere i gigli di virtù». 

La spiegazione spirituale di questo linguaggio floreale è proposta da santa Teresa del Bambin Gesù nella sua Autobiografia: «Gesù si è degnato di istruirmi in questo mistero. Egli ha messo davanti ai miei occhi il libro della natura ed io ho compreso che tutti i fiori che egli ha creato sono belli, che lo splendore della rosa e il candore del giglio non tolgono in nulla il profumo della violetta o la semplicità incantevole della margherita …. Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere delle rose, la natura perderebbe il suo manto primaverile, i campi non sarebbero più smaltati di fiorellini…Questa è la situazione anche nel mondo delle anime che è il giardino di Gesù. Egli ha voluto creare i grandi santi che possono essere paragonati al giglio e alle rose, ma ne ha creati anche di piccoli, e questi devono accontentarsi di essere margherite o violette, destinate a rallegrare lo sguardo del Buon Dio quando lo abbassa verso suoi piedi; la perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere quello che lui vuole che siamo…Ho capito anche che l’amore di nostro Signore si rivela tanto all’anima più semplice, che non oppone alcuna resistenza alla sua grazia, quanto all’anima più sublime»[3].

Madre Teresa ci insegna l’ecologia del cuore

La devozione di Madre Teresa alla Madonna dei fiori ci esorta a custodire il giardino del nostro cuore, da dove provengono tutte le impurità, e a curare il suo terreno per far nascere fiori di santità di rara bellezza. Se il cuore è inquinato, i desideri, i pensieri, le parole e le azioni risulteranno contaminati. Nel brano del Vangelo proclamato in questa liturgia domenicale, Gesù elenca dodici atteggiamenti negativi (cfr. Mc 7, 23), cifra simbolica per indicare la totalità. 

Nel nostro tempo, particolarmente sensibile all’inquinamento dell’ambiente e del pianeta, dovremmo avere una particolare attenzione anche al nostro “pianeta” interiore. L’ecologia del cuore richiede una cura speciale per evitare idee ed emozioni tossiche come l’orgoglio, la rabbia, l’invidia, la gelosia, che possono inquinare la nostra mente e il nostro animo. Senza questo discernimento, il cuore può diventare una “discarica di impurità”, nostre ed altrui. Il ricorso regolare al sacramento della penitenza ci aiuta a liberarci da queste impurità. Ma non basta sgomberare il cuore dalle erbacce. Bisogna renderlo un giardino fiorito e affidarlo alla cura dello Spirito Santo, il “Giardiniere dell’anima”. Egli dissoda il terreno con la croce di Cristo, sparge a piene mani il seme della Parola e fa germogliare una molteplicità di virtù.

Chiediamo alla venerabile Teresa Lanfranco di continuare a coltivare, insieme a Madre Elisa, il bel giardino della Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca, come ha fatto durante la sua esistenza terrena. Questo nobile giardino produca fiori e frutti di santità, differenti nella forma, ma splendenti dello stesso carisma spirituale.      


[1] La citazione è in S. A. Lattanzio, Nascosta in Dio, dietro le orme di Maria. Biografia di Madre Teresa Lanfranco, Editrice Rotas, Barletta, 2018, p. 16. 

[2] Cfr. Dei Verbum, 2.

[3] Teresa di Lisieux, Manoscritto A, gennaio 1985, in G. Gennari (a cura di), Teresa di Lisieux. Il fascino della santità. I segreti di una “dottrina” rivelata, Lindau, Torino 2012, p. 133.

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