Carissimi fratelli e sorelle,

buon anno a tutti! 

Saluto con affetto don Domenico Giacovelli, Rettore di questo Santuario, i presbiteri, i diaconi, il Signor Sindaco, le autorità civili e militari, nonché il Presidente e l’Amministrazione della Mater Domini.

Celebriamo oggi, in questo primo giorno del 2025, un anno particolare per la Chiesa intera ed anche per la nostra Diocesi: l’Anno Santo del Giubileo, tempo di grazia che ci invita a riscoprire la speranza e ad accogliere la misericordia di Dio con cuore rinnovato. Lo facciamo in questo luogo a noi particolarmente caro, il Santuario della Mater Domini, da oggi ufficialmente designato come “Chiesa giubilare”.

All’inizio di questa santa Messa, infatti, abbiamo ascoltato il Decreto con cui ho stabilito che, insieme alla Cattedrale di Castellaneta e il Santuario della Madonna della Scala in Massafra, anche questo Santuario sarà – per tutta la durata dell’Anno Santo – uno dei luoghi giubilari della nostra Diocesi, in cui i fedeli potranno accogliere il dono dell’indulgenza alle consuete condizioni.

È un segno di speranza ed un invito a camminare insieme, nella certezza che il Signore accompagna i nostri passi verso la pienezza della vita.

La Chiesa, in questa giornata, celebra il mistero di Maria, la Madre di Dio, la Mater Domini, il titolo più antico e più caro al popolo cristiano: la “Theotòkos”; espressione che ci ricorda che la Vergine di Nazaret, accogliendo l’annuncio dell’angelo, ha dato al mondo il Redentore.

Contempliamo dunque la Madre che tiene in braccio il Figlio, Colui che è la nostra Pace. Non è un caso che il primo giorno dell’anno – dal 1968 per desiderio di San Paolo VI – nel ricordo di Maria sia dedicato alla preghiera per la Pace, che quest’anno il Santo Padre Francesco, ha voluto dedicare, ad un tema dai risvolti giubilari: «Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace».

Consapevoli di queste coordinate siamo invitati a leggere i testi biblici che la liturgia ci propone con due chiavi di interpretazione: la prima, la benedizione di Dio, che dona speranza e gioia; la seconda, la maternità di Maria, che genera il Principe della Pace.

Nella prima Lettura (Nm 6,22-27), il Signore insegna a Mosè e ad Aronne la formula della benedizione:

«Ti benedica il Signore e ti custodisca… Ti conceda pace».

È un augurio concreto, che non rimane solo a livello di parole, ma diventa impegno: noi siamo chiamati a benedirci gli uni gli altri, a custodire con amore reciproco la vita dei fratelli, a portare luce e pace nei nostri ambienti quotidiani. Benedire è l’invito ad invocare una forza che accresca la vita e la faccia risorgere; nel senso di alzarsi, cercare, trovare e riconoscere il bene che c’è in ogni fratello e sorella, per una vita felice, per una vita di pace. La benedizione non è salute, denaro, fortuna, prestigio, come erroneamente si potrebbe credere, ma è piuttosto il dono della Luce di Dio che ci benedice ponendoci accanto persone dal volto e dal cuore luminoso.

Anche il salmista ribadisce, lasciandolo riecheggiare, lo stesso desiderio: «Dio abbia pietà di noi e ci benedica… su di noi faccia splendere il suo volto», proclamando così che Dio non si stanca di amarci, anche se talvolta noi ci allontaniamo da Lui.

San Paolo, poi, scrivendo alla Comunità dei Galati (Gal 4,4-7), ci offre una stupenda visione della nostra identità di figli. Cristo è nato nella storia (e da una donna) ed è venuto nella nostra condizione umana, per liberarci da ogni forma di schiavitù e renderci tutti figli ed eredi, non più servi, né sudditi di un Dio lontano.

Avere, dunque, la “libertà dei figli” significa poterlo chiamare con fiducia: «Abbà! Padre!». È l’inizio di un rapporto di particolare intimità che trasforma la vita e ci permette di sperimentare la vera pace interiore.

E, poi, ancora una volta, anche oggi – come nel giorno di Natale -, incontriamo i pastori, questi uomini semplici, come ci ricorda l’evangelista Luca (Lc 2,16-21), che accorrono alla grotta, trovando il Bambino con Maria e Giuseppe e riferiscono ciò che l’angelo aveva annunciato loro.

E Maria, da parte sua, «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore».

Inizia così, in un silenzio contemplativo, l’itinerario della fede di questa Madre che un giorno soffrirà ai piedi della croce, ma che ora può stringere tra le braccia la “speranza” fatta carne.

Gesù, all’ottavo giorno, viene circonciso e gli viene dato il nome annunziato dall’angelo: «Gesù», cioè «Dio salva». Questo nome ci ricorda che la pace, il perdono, la remissione dei debiti spirituali e materiali non sono un’utopia, ma la concretezza del “Dio per noi”, “Dio con noi” e, soprattutto del “Dio in mezzo a noi”: nostra unica speranza!

Nel Messaggio per la 58ª Giornata Mondiale della Pace, Papa Francesco richiama l’antica usanza biblica del Giubileo – descritta nel Libro del Levitico (cfr Lv 25): tempo di grazia in cui gli schiavi venivano liberati, i debiti condonati, le proprietà restituite, perché nessuna persona nascesse e vivesse per essere oppressa.

Quel “suono di corno”, che annunciava la grande liberazione per il popolo d’Israele, risuona ancora oggi come l’invito a riconoscere il grido di tante situazioni di violenza e ingiustizia, di conflitti armati e crisi sociali che affliggono l’umanità, noi compresi.

Se Maria, Madre di Dio, ha generato il Salvatore, noi possiamo generare spazi di speranza laddove l’esperienza comune della fraternità prenda il posto dell’oppressione, la giustizia soppianti l’ingiustizia e la libertà sostituisca la schiavitù.

Il Santo Padre ci ricorda che siamo tutti debitori di fronte a Dio, perché nessuno di noi è padrone assoluto di ciò che possiede. Non dimentichiamolo mai: tutto è dono della creazione di Dio, tutto è espressione di una bontà che abbiamo ricevuto in eredità e a Lui, il Signore, siamo obbligati a restituire.

Nella logica evangelica, riconoscersi “debitori perdonati” ci stimola a costruire rapporti ispirati non alla prevaricazione, ma alla solidarietà.

Quando Gesù ci insegna a pregare dicendo «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12), ci sollecita a quell’atteggiamento di cuore che libera i rapporti umani da logiche di sfruttamento e dominazione. Situazioni che si potranno superare solo attraverso un nuovo modo di intendere la finanza, l’economia e la politica: non più strumenti per arricchirsi a scapito dei deboli, ma percorsi di sviluppo sostenibile e equo, partecipativo.

Si tratta di un impegno concreto, che richiede coraggio, ma anche la fiducia che il bene comune è possibile.

L’anno giubilare, infatti, è un “Anno di Grazia” non per compiere qualche sporadico gesto di filantropia (o carità isolata), ma l’occasione per avviare un vero cambiamento strutturale e culturale, che ci renda capaci di spezzare le “strutture di peccato” e generare un mondo più fraterno.

Oggi, più che mai, se vogliamo crescere nelle relazioni comunitarie (a tutti i livelli: dalla famiglia alla società civile) necessitiamo di un autentico “disarmo del cuore”: che abbandoni la logica del sospetto, del calcolo meschino, della vendetta, per riscoprirci figli dello stesso Padre e fratelli tra noi, in cammino verso una vera cultura della pace, della condivisione e della corresponsabilità.

Con questa solennità mariana, inizia il percorso giubilare di questo Santuario diocesano della Mater Domini. Qui, per tutto l’anno, si potrà ricevere il dono dell’indulgenza giubilare, segno concreto della misericordia che Dio non fa mai mancare ai suoi figli. L’indulgenza è infatti la manifestazione concreta del perdono di Dio, che non solo cancella il peccato, ma ne risana le ferite e ci rende capaci di amare di più. È un invito a riscoprire il sacramento della Riconciliazione, fonte inesauribile di serenità, fiducia e pace.

Carissimi fratelli e sorelle,

contempliamo Maria, Madre di Dio e Madre nostra, che oggi ci presenta il suo Figlio Gesù, il Principe della Pace.

Facciamoci eco della benedizione di Aronne: «Ti benedica il Signore… e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). E, come i pastori, riconosciamo nel Bambino adagiato nella mangiatoia il vero segno di Dio, nostra speranza e volto della misericordia divina.

Sostenuti dalla grazia di essere “debitori perdonati” e chiamati a perdonare, incamminiamoci in questo anno nuovo come pellegrini che generano segni di speranza e costruiscono la pace, quella autentica, che Dio ha pensato per ogni popolo.

Invochiamo dunque il Signore, usando le stesse parole che Papa Francesco ci suggerisce nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace:

«Rimetti a noi i nostri debiti, Signore, come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e in questo circolo di perdono concedici la tua pace,
quella pace che solo Tu puoi donare a chi si lascia disarmare il cuore,
a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli,
a chi senza timore confessa di essere tuo debitore,
a chi non resta sordo al grido dei più poveri».

Con questa fiducia nel cuore, avviamoci nel nuovo anno, affidandoci alla materna intercessione di Maria, Madre di Dio e Regina della Pace. Chiediamo per ciascuno di noi la grazia di sperimentare il perdono che libera e la pace che riconcilia, rendendoci tutti fratelli nel nome di Gesù, che vive e regna nei secoli dei secoli.

Amen!

 

+ Sabino Iannuzzi

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