Omelia nella Messa della festa di sant’Antonio
chiesa parrocchiale sant’Antonio, Tricase, 12 giugno 2024. 

Cari fratelli e sorelle, 
sono molteplici gli aspetti della santità di sant’Antonio. La ricorrenza liturgica invita a una riflessione più approfondita per comprendere le modalità con cui si è espressa la sua vita santa e soprattutto perché si crei in noi e in tutto il popolo di Dio il desiderio di imitare le sue virtù. 

Certamente nella pietà popolare emerge la dimensione taumaturgica di sant’Antonio. Il famoso canto “si quaeris miracula” che spesso il popolo innalza a lui esprime questa verità. Naturalmente anche questo aspetto è in sintonia con la parola di Dio. Nel brano del vangelo di Marco Gesù invia nel mondo i suoi apostoli con queste parole: «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18).

Tuttavia nella figura di sant’Antonio ci sono altri aspetti da tenere presenti. Innanzitutto la sua dimensione ascetica. La vita santa si realizza con il desiderio di purificazione del cuore. Sant’Antonio ha desiderato lasciare cadere tutte le ombre di male e si è adornato di virtù. Si comprende così la sua decisione di far parte nei canonici regolari e poi, attratto dall’esempio di san Francesco, di seguire il suo esempio di vita, entrando a far parte dei frati francescani.

Accanto alla dimensione ascetica, in sant’Antonio brillava anche il desiderio della missione. Coltivava il desiderio di andare, come san Francesco, in Marocco a predicare il vangelo incurante dei pericoli e delle difficoltà. Era pronto anche al martirio. 

Vi è poi altro aspetto molto significativo e non sempre adeguatamente sottolineato e cioè la conoscenza approfondita della parola di Dio e del pensiero teologico. Nella preghiera della colletta, ho invocato sant’Antonio come «insigne predicatore». Tra le reliquie, molta venerazione riveste la sua lingua a testimoniare la sua capacità di annunciare il vangelo sulla base di un’esperienza personale, ma anche di una conoscenza approfondita della parola di Dio.  

Credo che, negli anni scorsi, vi ho invitato, e continuo a farlo anche quest’anno, a leggere i suoi sermoni. Sono un tesoro spirituale, ricco di una grande conoscenza della Scrittura, dei Padri della Chiesa, del pensiero teologico. Prima di san Bonaventura e con la benedizione di san Francesco, sant’Antonio è stato il primo teologo francescano. Ieri come oggi, la fede non si basa soltanto sulla devozione, ha bisogno di approfondimento della parola di Dio, degli insegnamenti del magistero e della grande tradizione teologica.

Per questo, cari fratelli e sorelle, non possiamo solo richiamare l’aspetto taumaturgico e dimenticare le altre dimensioni: ascetica, missionaria, martiriale e teologica. Altrimenti la nostra devozione sarebbe superficiale, interessata a risolvere i nostri problemi. I santi, però, non vengono solo incontro alle nostre necessità, ci spingono soprattutto a seguire e a imitare Cristo.

C’è un ultimo aspetto sul quale io vorrei soffermarmi brevemente. Sant’Antonio a Padova è stato un grande pacificatore della società. Ha messo pace, ha fatto fare la pace. È entrato nelle dinamiche del tempo ed è riuscito a pacificare la società. Ha tentato di smorzare gli odii e i contrasti che c’erano nella società patavina del tempo.  

Il tema della pace è di grandissima attualità. La pace, però, non va non soltanto proclamata, va anche vissuta. Occorrono non soltanto le parole della pace, ma anche i gesti di pace. In questi giorni, qui in Puglia, tra Brindisi e Bari, si sta celebrando un avvenimento mondiale: il raduno del G7. Il Papa andrà a questo incontro e, oltre a parlare dell’intelligenza artificiale, ribadirà e richiamerà il tema della pace in Ucraina, in Palestina e negli altri Paesi dove vi sono conflitti in corso. 

E sant’Antonio cosa dice su questo tema? Sottolinea innanzitutto la dimensione trinitaria della pace. In un suo Sermone afferma: «Nella parola pace – pax – ci sono tre lettere che formano una sola sillaba: in questo viene raffigurata l’unità e la Trinità di Dio. Nella “p” è indicato il Padre; nella “a”, che è la prima delle vocali, è indicato il Figlio, che è la voce del Padre; nella “x”, che è un consonante doppia, è indicato lo Spirito Santo che procede da entrambi. Quando dunque (Gesù) disse: “Pace a voi”, ci raccomandò la fede nell’unità e nella trinità»[1]. La Trinità è, dunque, il modello, l’origine e l’approdo della pace: La pace viene da Dio e ci porta a Dio. Pax è dunque il nome della Trinità, indica la relazione che intercorre tra le tre persone divine.

Richiamando poi il brano giovanneo nel quale Cristo risorto incontra i suoi discepoli, spiega: «Nel brano evangelico (cfr. Gv 20,19-21) per tre volte è detto “Pace a voi”, a motivo della triplice pace che il Signore ha ristabilito: tra Dio e l’uomo, riconciliando quest’ultimo al Padre per mezzo del suo sangue; tra l’angelo e l’uomo, assumendo la natura umana ed elevandola al di sopra dei cori degli angeli; tra uomo e uomo, riunendo in sé stesso, pietra angolare, il popolo dei giudei e quello dei gentili»[2]. Cristo risorto, insomma, mette pace tra uomo e Dio, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’intera creazione.

Riprendendo poi una frase di Cicerone, sant’Antonio afferma che la «pace è la libertà nella tranquillità dell’anima» e sottolinea che «pace viene da patto: prima si stabiliscono i patti e poi si consegue la pace»[3]. “Pacta sunt servanda” esprime il principio fondamentale e universalmente riconosciuto del diritto internazionale, ovverosia il diritto che si applica a tutti gli Stati e sul quale si basano le relazioni internazionali.  

Infine, sant’Antonio esorta coltivare «Pace del tempo e pace del cuore». Anche se molte «volte viene turbata! Invece la pace dell’eternità sarà meravigliosa nei secoli dei secoli, e perfettamente sicura»[4]. La pace, infatti, è un dono che bisogna chiedere che si realizzi nella storia. Anche se sarà stabile solo nell’eternità.  Solo allora vi sarà una pace piena e duratura. Sarà il riposo ricco che vivremo nell’eternità. Esso consiste nel conseguimento della duplice stola di gloria: la glorificazione dell’anima e del corpo. 

In definitiva, cari fratelli e sorelle, chiediamo a sant’Antonio il miracolo della pace. Che si realizzi in tutti questi sensi e significati. Soprattutto chiediamo non soltanto la pace sociale, ma anche la pace nel cuore per vivere in eterno la pace con Dio. 


[1] Sant’Antonio di Padova, I sermoni, traduzione di p. Giordano Tollardo, ofm. conv. Edizioni Messaggero, Padova 1994, Ottava di Pasqua, p. 229.

[2] Ivi.

[3] Ivi, Domenica IX dopo Pentecoste, p. 568.

[4] Ivi.

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