Omelia nella Messa esequiale di P. Franco D’Agostino
Chiesa s. Rocco, Gagliano, 29 ottobre 2023.
Cari Padri Trinitari,
cari sacerdoti,
cari fratelli e sorelle,
potremmo dire che P. Franco, con la sua sofferenza e la sua morte ha cantato il suo “Nunc dimittis“, come il vecchio Simeone nel tempio di Gerusalemme. Un’antica antifona liturgica della festa della Presentazione di Gesù canta: «Il vecchio portava il Bambino, ma il Bambino dirigeva l’anziano». Durante la sua vita, P. Franco ha preso Gesù nelle sue braccia, così il Bambino ha dato senso alla sua lunga esistenza. Custodendo il Bambino, ha vissuto l’intera esistenza come una lunga attesa dell’incontro con il Signore.
Raccogliendo sinteticamente i suoi dati personali, possiamo ricordare che, nato a sant’Antimo (Napoli) il 23-7-1926, ha compiuto il noviziato a Palestrina (1943) e la prima professione solenne a Roma (26-11-1944). Sempre a Roma ha emesso i voti solenni (2-1-1949) e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale (18-7-1954). Terminati gli studi umanistici (1940-1943), ha frequentato presso la Pontificia Università Gregoria prima i corsi di filosofia (1948-1950) e poi quelli di teologia (1950-1954), conseguendo il baccalaureato in teologia. Dopo primi incarichi pastorali e dopo aver svolto alcuni anni di insegnamento della religione cattolica in alcune scuole, è stato parroco ad Arigliano (1974-1993), ministro della comunità di Gagliano (1984-1987; 2013-2018) e vice parroco della parrocchia di san Rocco (1993-2022).
La sua persona si mostrava sempre sorridente, solare, positiva, piena di ottimismo. Amava la vita comunitaria. Nel ministero pastorale si è mostrato attento agli ammalati e ai poveri. Molto significativo è stato il suo ministero sacerdotale soprattutto nel rendersi disponibile ad ascoltare i penitenti laici e sacerdoti nel sacramento della Riconciliazione.
Cristo, luce che fa vedere la luce della Trinità.
Il senso della sua vita e del suo ministero si può sintetizzare con le parole del salmista: «Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! / Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, / si saziano dell’abbondanza della tua casa: / tu li disseti al torrente delle tue delizie. / È in te la sorgente della vita, /alla tua luce vediamo la luce»(Sal 36, 8-11).
Facendo sua questa seconda parte del salmo, egli ha celebrato l’immenso orizzonte dell’amore di Dio. Come una sorta di litania, ha richiamato i lineamenti fondamentali dell’amore di Dio: grazia, fedeltà, giustizia, giudizio, salvezza, ombra protettrice, abbondanza, delizia, vita, luce. In particolare, ha evidenziato i quattro tratti divini, che se intesi nell’originale significato dei termini ebraici, esprimono un’intensità nascosta alle traduzioni nelle lingue moderne.
Innanzitutto il termine ‘hèsed‘, ‘grazia’, che è insieme fedeltà, amore, lealtà, tenerezza. È uno dei termini specifici per esaltare l’alleanza tra il Signore e il suo popolo. C’è, poi, la ‘emunáh’ che deriva dalla stessa radice dell’‘amen‘, e significa stabilità, sicurezza, fedeltà indiscussa. Segue la ‘sedaqáh‘, la ‘giustizia’, che esprime l’atteggiamento santo e provvidente di Dio che libera il suo fedele dal male e dall’ingiustizia. Infine, la ‘mishpat‘, il ‘giudizio’, con cui Dio governa le sue creature, curvandosi sui poveri e sugli oppressi e piegando gli arroganti e i prepotenti.
Queste parole sono racchiuse in due suggestive immagini. Da un lato, l’immagine dell’abbondanza di cibo, che fa pensare al banchetto eucaristico, unitamente all’immagine della fonte e del torrente, le cui acque dissetano soprattutto l’anima (cf. vv. 9-10; Sal41,2-3; 62,2-6). Dall’altra l’immagine della luce: «Alla tua luce vediamo la luce» (v. 10). Si tratta di una luminosità che irradia ogni cosa e manifesta lo svelamento di Dio agli occhi del suo fedele.
Con la sua morte, pertanto, P. Franco ha ripetuto il cantico del vecchio Simeone: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola; / perché i miei occhi han visto la tua salvezza / preparata da te davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 29-32).
Sì, alla luce di Cristo tutto diventa luminoso! Cristo, infatti, è la «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9); luce penetrante che consente ai nostri deboli occhi di vedere il mistero ineffabile della Trinità. Senza la luce di Cristo, risvegliata e alimentata dalla sua grazia, l’uomo rimane nella sua cecità.
Cristo-luce, però, non solo fa vedere, ma scalda il cuore, rafforza la volontà indebolita e sostiene l’affettività dissipata; guarisce e sana tutte le malattie spirituali, suscitando la nostalgia della casa del Padre. Allo splendore della sua luce, la ragione si illumina, la volontà si rafforza, le ferite si rimarginano, l’uomo diventa più uomo, il cristiano un vero discepolo, il sacerdote ministro della grazia. Dove permea questa luce ogni cosa si rischiara perché la luce di Cristo è carità e grazia senza confini. Allora, tutta la vita diventa uno «stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno» [1].
Caro P. Franco, ora «questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio»[2]. “Vedere la sua luce” significa “vivere nella sua luce”. «Dove infatti vi è la luce, – afferma sant’Atanasio – là vi è anche lo splendore; e dove vi è lo splendore, ivi c’è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia»[3].”Vivere nella luce” vuol dire incontrare la luce intramontabile di Cristo. Essa splende nel tempio celeste, dove si celebra l’amore eterno della Trinità e consente agli eletti di fissare il mistero ineffabile dell’amore trinitario.
Secondo Giovanni Damasceno, infatti, la Trinità è un mistero luminoso: «Come tre soli, – egli dice – ciascuno è contenuto nell’altro, così che c’è una sola luce, data l’intima compenetrazione». A queste parole fa eco sant’Atanasio quando afferma che la Trinità, «era, ed era, ed era: ma era uno solo. Luce e luce e luce: ma una sola luce. Questo è quello che David si immaginò quando disse: ‘Nella tua luce noi vedremo la luce’ (Sal36,10). E ora noi l’abbiamo contemplata e la annunciamo, dalla luce che è il Padre comprendendo la luce che è il Figlio nella luce dello Spirito: ecco la breve e concisa teologia della Trinità»[4]. Proprio quella teologia che è alla base di tutta la spiritualità della famiglia dei Padri Trinitari.
Caro P. Franco, la contemplazione della Trinità è quanto è accaduto nella tua vita di sacerdote trinitario. Questo è ciò che accade, ancora di più, ora nella tua morte. Ora, appartieni alla numerosa schiera di coloro che, secondo la profezia dell’Apocalisse, «vedranno la faccia (di Cristo) e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,4-5).
Caro P. Franco, alla luce di Cristo, vedi la luce della Trinità. Godi con tutti i santi la gioia che non ha fine, illuminato dalla beatissima luce di Cristo che apre i tuoi occhi alla contemplazione del luminoso ed eterno amore della Trinità!
[1] Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 10, 121.
[2] Cipriano di Cartagine, Epistula 58, 1.
[3] Atanasio Lettera 1 a Serapione, 30.
[4] Gregorio Nazianzeno, Oratio 31, 3.14.
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