Luca continua il “discorso della pianura” presentando Gesù come l’espressione massima della misericordia divina. I versetti di oggi chiudono questo discorso di Gesù, indirizzato in maggioranza ai discepoli. Nella comunità ci sono problemi interni: qualcuno si giudica superiore agli altri ed emette giudizi sugli altri come se la religione fosse qualcosa da dire e insegnare “per gli altri”, e non per sé stessi in primo luogo: è un rischio grande quello di pensare che si possa aiutare il prossimo dimenticandosi del costante bisogno di essere aiutati.

La nuova società inizia dentro la comunità se si cominciano a trasformare profondamente le relazioni. Si legge, in Siracide, che quando si scuote il setaccio restano i rifiuti ed è così per l’uomo quando parla e discute. Allora ne appaiono i difetti. Un esempio di come vanno vagliate le persone ci viene dal ceramista che mette a prova il valore della fornace, con la cottura dei vasi. Se essa è buona non rovina il cotto, ma se non è buona brucia il tutto. Così è anche per l’uomo. Altro esempio ci viene dalla coltivazione degli alberi. Se è coltivato bene, dà frutti adeguati, ma se è trascurato non produce nulla. Sia nella prima lettura, come nella pagina del Vangelo, viene data importanza alla parola per riconoscere una persona che sia realmente retta e buona e non copra (con l’ipocrisia) il proprio pensiero e le proprie azioni. In entrambi i testi viene usata l’immagine dell’albero e dei suoi frutti.

A dispetto delle apparenze, molto spesso incantevoli e convincenti, solo il momento della “prova” – quando crollano tutte le inevitabili impalcature – rivela quale sia il vero fondamento di una cosa o di una persona. Per quanto riguarda l’uomo, in particolare, è proprio il suo modo di ragionare più che il suo modo di agire a qualificarne l’esistenza. Sono infatti le intenzioni a esprimere la bontà e l’integrità di un’azione, non semplicemente la sua veste esteriore. L’immagine dell’albero e dei suoi frutti rafforza ancora di più questo invito alla pazienza del discernimento che non si fida di quello che vede, le tante foglie che rendono un albero attraente, ma che sa sedersi in attesa che il frutto ne indichi non solo l’attrattiva, ma la capacità di “dare frutto a suo tempo” (Mt 21,41).

Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico

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