Omelia nella Messa per l’immissione canonica di don Ippazio Nuccio
Supersano, Parrocchia san Michele Arcangelo, 15 ottobre 2023.
Caro don Ippazio,
cari fratelli e sorelle,
siamo tutti molto carichi di emozione e di vera gioia per il passaggio della guida di questa comunità da don Oronzo Cosi a don Ippazio Nuccio. Questo importante momento ecclesiale ha il sapore di una festa nuziale. La liturgia odierna, infatti, richiama la dimensione sponsale della vita ecclesiale.
La vita cristiana è una festa di nozze
Sì, cari fedeli, la vita cristiana è una festa di nozze: le nozze di Cristo con la Chiesa, stabilite una volta per tutte nei giorni del compimento del suo mistero pasquale e rinnovate, ogni volta, quando si celebra il rito liturgico. Cristo ama la Chiesa, sua sposa, desidera che si prepari alle nozze con lui e si adorni di tutta la sua bellezza. Per questo la purifica, togliendo da lei ogni ruga e ogni macchia[1]. Sant’Agostino scrive: «Il Verbo, infatti, è lo sposo e la carne umana è la sposa; e tutti e due sono un solo Figlio di Dio, che è al tempo stesso figlio dell’uomo. Il seno della vergine Maria è il talamo dove egli divenne capo della Chiesa, e donde avanzò come sposo che esce dal talamo, secondo la profezia della Scrittura: Egli è come sposo che procede dal suo talamo, esultante come campione nella sua corsa (Sal 18, 6). Esce come sposo dalla camera nuziale e, invitato, si reca alle nozze»[2].
Per entrare e crescere nel rapporto sponsale con il Signore risorto è necessario far morire le aspirazioni della carne: fornicazioni, impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizia, discordie, gelosie, collera, divisioni, invidia (cf. Gal 5, 19-21). Il Signore desidera per noi una vita santa, esente dal peccato e dal male, un’esistenza che cresce nella speranza della gloria futura. Il fine ultimo della storia, infatti, è il ritorno glorioso del Signore, manifestazione senza veli dello splendore di Dio, evento verso il quale si muovono tutti i percorsi delle vicende umane.
Ora la Chiesa, fidanzata e sposa dell’Agnello, deve attendere lo Sposo con desiderio e vigilare su se stessa per essere trovata pronta per le nozze[3]. Nessuno sa quando il Signore verrà, però la Sposa deve vivere nella continua vigilanza e sobrietà di cuore, rivolto continuamente a lui. Ciò è possibile perché il Signore ci ha donato il suo Spirito. Ed è lo Spirito Santo a mantenerci spiritualmente svegli.
La notte è passata e un nuovo giorno è apparso. Non è più tempo di dormire all’ombra della morte, procurata dal peccato, anche se il giorno della luce del Signore è ancora attraversato dalle tenebre. È giorno e notte nello stesso tempo, perché già risplende la luce di Gesù e tuttavia ancora regnano le tenebre, il male.
A volte, assaliti dalla tentazione di non vedere che già è giorno, continuiamo a sonnecchiare spiritualmente, supponendo che sia ancora notte. Dobbiamo, invece rimanere desti e attendere con cuore ardente e vigilante il Signore che viene. Egli verrà “presto”, compirà tutti i nostri desideri e farà esplodere la parusìa, la celebrazione delle nozze eterne dell’Agnello con la sua sposa.
Il tempo presente è la preparazione e l’anticipazione di questa festa. È il tempo della purificazione, del desiderio e della fedeltà, in cui occorre vigilare per riconoscere il passaggio dello Sposo, ascoltare la sua voce e seguirlo. È il tempo in cui togliamo l’abito vecchio e ci disponiamo a rivestire l’abito nuziale. Lo Sposo è già presente sacramentalmente e misteriosamente. Parla al cuore e desidera una risposta di amore fedele.
Nell’Apocalisse, l’angelo dice a Giovanni: «Vieni ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello» (Ap 21,9). La comunità cristiana assomiglia ad una la fidanzata che sta confezionando l’abito da sposa. Attraverso la sua perseveranza, perfezionerà la sua capacità di amare e così compirà il passaggio dal tempo del fidanzamento a quello della vita sponsale. La comunità pellegrina nel tempo si prepara a incontrare Cristo risorto nella comunità celeste verso la quale è diretta. E quando la Gerusalemme celeste discenderà sulla terra, anche la città terrena sarà trasfigurata nella città promessa da Dio. E sarà la realizzazione del sogno creativo di Dio e di tutto ciò a cui aspira il cuore dell’uomo. Sarà superata ogni barriera. Dio e gli uomini potranno convivere insieme: amare ed essere amati con il soffio e il tocco che spira dall’infinito amore dello Spirito Santo.
Il sacerdote, architriclino e amico dello sposo
L’immagine sponsale della comunità cristiana assegna a ciascuno il suo compito specifico: Cristo è lo sposo, la Chiesa è la sposa, i sacerdoti sono i maestri di tavola e gli amici dello sposo.
Il maestro di tavola (architriclino) era l’uomo incaricato di procurare le provviste per le nozze e di prendersi cura del buon andamento della festa. L’amico dello sposo (paranymphus in latino, παράνυμϕος o παρανύμϕιος in greco), invece, era l’incaricato di tutti i preliminari del matrimonio ed aveva una funzione tecnico-giuridica: domandava la mano della sposa, stringeva il contratto di matrimonio stabilendo la sua dote, preparava e presiedeva la festa nuziale. Si trattava di un incarico delicato che richiedeva una fiducia assoluta e un’amicizia intima con lo sposo.
In queste due figure è delineato il ministero del sacerdote. Egli deve organizzare la festa, predisponendo ogni cosa per il pranzo di nozze e preparando la sposa all’incontro con lo sposo. La sua è un’attività propedeutica per favorire il clima festoso e facilitare il rapporto d’amore tra lo sposo e la sposa. Non è lui lo sposo, ma Cristo. Il vangelo di Giovanni lo attesta in modo inconfondibile: «La sposa appartiene allo sposo, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo» (Gv 3, 29).
Sant’Agostino, commentando questo brano evangelico, mette sulla bocca di Giovanni Battista queste parole: «È lo sposo che ha la sposa. Cioè, la sposa non è mia. E non partecipi alla gioia delle nozze? Certo che vi partecipo: L’amico dello sposo, che gli sta accanto e l’ascolta, è felice alla voce dello sposo (Gv 3, 29). Sono felice, non per la mia voce, ma per la voce dello sposo. Io sono felice di ascoltare, è lui che deve parlare: io devo essere illuminato, e lui è la luce; io son tutto orecchi, lui è il Verbo»[4].
Sono parole che il sacerdote dovrebbe meditare e ripetere. In quanto amico dello sposo, egli è chiamato a mantenere un rapporto di intimità con Cristo e ad assolvere uno specifico servizio. Sempre sant’Agostino precisa: «Giovanni è amico, non un geloso rivale; e non cerca la propria gloria, ma quella dello sposo. Tale compito è proprio degli amici dello sposo; nelle nozze umane è tradizionale un rito solenne, per cui, oltre tutti gli altri amici, è presente anche il paraninfo, amico più intimo, che conosce la casa dello sposo. Ma costui è importante, veramente molto importante. Quel che nelle nozze umane, uomo a uomo è il paraninfo, questo è Giovanni in rapporto a Cristo»[5].
Caro don Ippazio, anche tu sarai il paraninfo rispetto a questa comunità cristiana. Gesù te la affida perché tu la custodisca e faccia brillare il suo volto di una luce sfolgorante. Il tuo ministero è definito a partire dalla tua relazione in Cristo e nella Chiesa (in persona Christi, in persona Ecclesiae). L’ordine sacerdotale, infatti, è al servizio del nuovo ordo amoris istituito da Gesù e cantato magistralmente da sant’Efrem il Siro: «O uomo vergine, che sei diventato sposo, / fatti un po’ geloso di fronte alla tua donna… / Nella tua persona possa essa corteggiare e amare / Cristo, il vero Sposo!»[6].
Bisogna però precisare che l’immagine sponsale del sacerdote non si applica a una persona concreta, ma all’intera Chiesa. Vedere la Chiesa sposa significa capire la relazionalità delle persone, la loro dipendenza da Dio come origine e fine del cammino ecclesiale, la loro unità. Significa anche vedere il mistero ultimo di santità in cui vivono e a cui tutti sono chiamati, malgrado i peccati e le miserie del loro cammino.
Il rapporto sponsale, poi, implica la duplice necessità di donare e ricevere. Cristo ama la Chiesa, non solo generandola a nuova vita, ma anche accettandola come sposa. Davanti alla Chiesa-sposa il sacerdote, in primo luogo, è colui che riceve, che è accolto, che trova il posto in cui fiorire e poter donare vita ad altri. Grato di questo dono, il sacerdote è uomo di Chiesa che ormai non può separarsi da essa, se ne prende cura e la edifica nella missione e nel compito di evangelizzare. In questo clima gioioso, anch’io mi sento emotivamente coinvolto, in quanto segno della paternità ecclesiale.
La festa della comunità
Di solito, il cambio del parroco è un evento che suscita sempre grande trepidazione e rappresenta un momento particolarmente delicato per la vita di una comunità. In questo caso, si tratta di passaggio naturale. Tra noi è spiritualmente presente don Oronzo Cosi che saluto e ringrazio a nome di tutti voi per il suo impegno, la forza della sua predicazione, le molteplici iniziative pastorali, il rilancio dell’oratorio per una più efficace educazione delle nuove generazioni. Grazie ai voi per aver collaborato con lui, nella catechesi, nelle azioni di carità, nella visita alle famiglie, nell’attenzione agli anziani e ai malati.
A tutti chiedo di continuare a collaborare con don Ippazio. Già lo avete fatto in questi mesi e sono certo che continuerete a farlo in futuro con disponibilità, gratuità e stile missionario. Sono anche certo che non mancherà la vostra preghiera e un rinnovato impegno al dialogo, alla stima reciproca, all’apertura alle nuove dinamiche pastorali, in una logica di fede e di intensa comunione fraterna.
In fondo, alla festa nuziale di cui parla il Vangelo sono tutti invitati e tutti inviati. Tutti, senza nessuna eccezione e senza badare a meriti o a formalità secondo quanto afferma la Colletta dell’anno A: «O Padre, che inviti tutti gli uomini alle nozze del tuo Figlio, rivestici dell’abito nuziale
e donaci di accogliere sempre le sorprese del tuo amore». Il padrone delle nozze non chiede niente e dona tutto. E anche quando è rifiutato, anziché abbassare le attese, le innalza: chiamate tutti! Lui apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano. Così la sala si riempie. Certo occorre indossare l’abito nuziale, il “vestito di festa”. Occorre cioè un cuore non spento, ma acceso d’amore; un cuore che desidera credere, amare e sperare. In questo consiste la festa cristiana: essere mendicanti del cielo, disponibile a sognare la festa della vita.
Questo è il significato dei riti e dei gesti di questa liturgica eucaristica: l’invocazione dello Spirito Santo, l’aspersione del popolo di Dio, l’incensazione dell’altare, la rinnovazione delle promesse sacerdotali. Prendere posto sulla sedia del celebrante indica l’arte del presiedere la celebrazione dei divini misteri (At 6,4; Mt28,19s), il munus gubernandi che il parroco deve esercitare secondo lo stile pastorale di Gesù: accogliere tutti senza distinzione, ascoltare le domande e le richieste delle persone, guidare sapientemente la comunità e camminare insieme al popolo di Dio.
Caro don Ippazio, tuo speciale impegno sarà quello di rimanere fedele a Cristo (cf. Mt 24,45; 25,21; Ap2,10), “il testimone fedele” (cf. Ap 1,5; 3,14). Il segreto della tua fedeltà risiede unicamente nell’unione conformante al Signore e Maestro (cf. Gv 13,14; Mc 3,13ss). Lui stesso rivolge a te una parola che continua a ripetere a tutta l’umanità: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5; cf. Lc 11,23).
In questa sua parola c’è la spiegazione di tutti i tuoi successi e di tutti i tuoi fallimenti. Se sarai vitalmente unito a lui, potrai superare tutte le crisi e risolvere tutti i problemi della tua vita e della tua azione pastorale. È la sua promessa, testimoniata dalle parole di san Paolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13; cf. Mc 9,23). Anche l’apostolo, da solo, si sente debole e impotente. Ma in e con Gesù può tutto, anche i “miracoli” (cf. 2Cor 12,12) e il martirio (cf. At 21,13). Il Maestro infatti non si lascia vincere in generosità, non delude mai e sorprende sempre per l’infinita grandezza del suo amore (cf. Lc 18,29s; 22,27-30.35; Gv 13,6ss).
Imita il suo stile. La gratuità della tua azione pastorale sarà il fattore che scatenerà il coinvolgimento della comunità. Quando le persone si sentono amate sono più disponibili a mettersi a servizio del bene comune. Sia questa la linea pastorale del tuo ministero sacerdotale. Ama tutti. Cerca tutti. Chiama tutti, come del resto hai fatto in precedenza. Entra con gioia nelle case dei tuoi parrocchiani. Punta molto sul coinvolgimento delle famiglie. Incontra, invita, insisti. Apri nuovi orizzonti di luce ai laici e alla Confraternita. Crea una nuova circolazione di idee e di dialoghi innovativi. Fai brulicare la piazza del paese di nuove aspettative. Collabora con le altre parrocchie della forania e, in sinergia con il servizio della pastorale giovanile diocesana, accresci l’attività dell’oratorio. Entra nelle scuole, crea interessi, promuovi spazi nuovi. Non accontentarti mai. E non dimenticare la caritas, perché i poveri sono sempre con noi. Vivi un’intensa devozione alla Madonna, valorizzando quel gioiello di bellezza e di arte che è il santuario della Madonna di Coelimanna. Con le parole della Colletta dell’anno A, invoco su di te e su tutti i fedeli di questa comunità la benedizione del Signore: «Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, o Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai d
[1] Cf. F. Pilloni, Conversazioni sulle nozze. Introduzione al mistero nuziale, Torino 2009, 11-25; G. Mazzanti, Il sacerdozio di Cristo sposo, in M. Marcheselli – E. Castellucci – et al., Cristo sommo sacerdote dei beni futuri, Cuneo 2001, pp. 54-55.
[2] Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 8, 4.
[3] Cf. L. Alonso Schökel, I nomi dell’amore. Simboli matrimoniali nella Bibbia, Casale Monferrato 1983, pp. 111-122.
[4] Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 13,12.
[5] Id., Discorso, 293, 6-7.
[6] Efrem, Carmina nisibena, 20, 1; cf. 19,13.
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