Omelia nella Messa di ordinazione sacerdotale del diacono Aurelio Sanapo
Chiesa Natività – Tricase, 31 marzo 2022

Caro don Aurelio,

siamo riuniti come Chiesa ugentina per celebrare la liturgia della tua ordinazione sacerdotale. Accanto a te ci sono i sacerdoti, i tuoi amici, i tuoi familiari, tuo fratello e, in modo particolare, i tuoi genitori. È un fatto provvidenziale che la data della tua ordinazione coincide con l’anniversario di nascita di tua madre.

Potremmo quasi dire che la maternità della Chiesa si rispecchia nel volto di tua madre. Ella ti ha generato alla vita e ti ha accompagnato nella tua esistenza con il suo affetto, la sua tenerezza e la sua sofferenza. Ora, insieme con tutta la Chiesa, prega per te e ti affida alla Madonna, che la tua parrocchia venera sotto il titolo di Madonna di Fatima, perché sia lei ad accompagnarti e a proteggerti. Tua madre, come ti ha portato e cullato nelle sue braccia, ora ti consegna nelle braccia della Vergine Maria perché ti sia di guida e di modello per la tua vita sacerdotale. Maria, Madre della Chiesa è anche, in modo speciale, Madre dei sacerdoti.

Maria, Madre dei sacerdoti

Parlando del nesso che c’è tra la Madonna e il sacerdozio, papa Benedetto XVI afferma che «è un nesso profondamente radicato nel mistero dell’Incarnazione […]. Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell’Incarnazione, della nostra salvezza. E l’Incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall’inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella Croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e Incarnazione vanno insieme e Maria sta al centro di questo mistero»[1].

San Bonaventura da Bagnoregio, nel suo Breviloquio affermando che «il modo dell’Incarnazione è mariano», intende dire che «non esiste sacerdote divino né vittima divina senza la Madre del sacerdote, e la Madre del sacerdote non esiste senza essere personalmente ed attivamente coinvolta nell’offerta e nell’offrirsi del Figlio. […]. Il materno ed il sacerdotale, pur senza confondersi, si compenetrano a vicenda, precisamente a causa di quella unica relazione di maternità-figliolanza, che, una volta instauratasi, non può mai venir meno»[2].

L’unione che c’è tra Cristo e la Madre viene partecipata ai sacerdoti, in virtù del fatto che il sacerdozio in sé, ontologicamente ed intrinsecamente, è inseparabile dalla Vergine Madre. Questa unione tra Maria e ogni sacerdote fu stabilita da Cristo stesso sulla croce quando affidò la Madre a Giovanni, discepolo prediletto e primizia verginale del sacerdozio. Se è vero che in tale affidamento Giovanni rappresenta tutto il genere umano, è anche vero che egli rappresenta innanzitutto i sacerdoti; possiamo pensare che nell’intenzione di Gesù c’è quella di affidare in modo speciale ogni sacerdote a sua Madre. 

Benedetto XVI afferma: «Gesù, prima di morire, vede sotto la croce la Madre; e vede il figlio diletto e questo figlio diletto certamente è una persona, un individuo molto importante, ma è di più: è un esempio, una prefigurazione di tutti i discepoli amati, di tutte le persone chiamate dal Signore per essere “discepolo amato” e, di conseguenza, in modo particolare anche dei sacerdoti. […]. Il Vangelo ci dice che san Giovanni, il figlio prediletto, prese la madre Maria “nella sua propria casa” […]. Prendere con sé Maria significa introdurla nel dinamismo dell’intera propria esistenza – non è una cosa esteriore – e in tutto ciò che costituisce l’orizzonte del proprio apostolato. Mi sembra si comprenda, pertanto, come il peculiare rapporto di maternità esistente tra Maria e i presbiteri costituisca la fonte primaria, il motivo fondamentale della predilezione che nutre per ciascuno di loro. Maria infatti li predilige per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch’essi, come lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo. Per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre»[3].

Con cuore di figlio, a servizio degli uomini 

Sorretto da queste tre madri (tua madre, la Chiesa e la Madonna) ti disponi ora, con cuore di figlio, a servire Cristo nei tuoi fratelli. In questo ultimo periodo, hai compreso ancora più profondamente ed esistenzialmente cosa significa abbandonarsi nelle mani di Dio. Lo hai fatto come segno di fiducia nella sua paternità, ma anche come accettazione della misteriosità della vita. Non possiamo programmare ogni cosa, calcolare con precisione gli eventi, desiderare che tutto si svolga secondo i nostri progetti. C’è una parte dell’esistenza che si manifesta nel tempo con un ritmo che non possiamo prevedere anticipatamente. 

Hai imparato ad apprendere che la “sapienza del tempo” spesso è differente dalla nostra sapienza. Già Sesto Empirico (II sec.) diceva che «i mulini degli dei macinano tardi, ma macinano molto fine». Sullo stesso tema, lo scrittore Erri De Luca scrive: «Anche quando la vita sembra una lotta contro i mulini a vento, eroe è colui che non si arrende, che ogni volta si rimette in piedi e prosegue il suo viaggio, incurante degli ostacoli, incurante della sconfitta. Invincibili sono tutti coloro che hanno ereditato l’ostinazione di don Chisciotte».Riassumendo questi pensieri con le parole di Gesù possiamo dire: chi, nonostante le difficoltà della vita, «avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mc 13,13).

Gli avvenimenti imprevisti e le sofferenze della vita aiutano a purificare lo sguardo e a vedere più in profondità. Ci spronano a considerare la realtà con umiltà e da un altro punto di vista. Ci invitano ad accogliere le vicende della vita così come sono, con i loro aspetti oscuri e difficili da accettare, ma che forse nascondono una nuova rivelazione, un nuovo modo di considerare l’esistenza, una nuova possibilità di apprezzare i doni che riceviamo, aprendoci a nostra volta a una nuova forma di donazione. Il travaglio della vita porta con sé una sofferenza che tocca le corde più personali e più intime, influisce sugli affetti e le relazioni più care e ci chiede un nuovo salto della fede, una nuova prova di fedeltà, un nuovo modo di considerare Dio, gli uomini e il mondo che ci circonda. 

Con questi sentimenti ricevi il sacramento dell’ordine nel suo secondo grado che ti configura a Cristo sacerdote. Sarai «una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore»Mediante l’unzione sacramentale, lo Spirito Santo ti configurerà a Cristo a «un titolo nuovo e specifico» e con la sua carità pastorale animerà la tua persona perché tu divenga servo dell’annuncio del Vangelo per la «pienezza della vita cristiana di tutti i battezzati»[4].

In modo misterioso e reale, Cristo si appropria della tua persona per poter comunicare agli uomini la sua vita divina. Agere in persona Christi, vuol dire che non agirai per tua virtù, ma come strumento nelle mani di Cristo. San Tommaso d’Aquino scrive che «è lui il vero sacerdote che offrì se stesso sull’altare della croce e per la cui virtù si consacra ogni giorno sull’altare il suo corpo»[5]. I sacerdoti sono tali solo in lui per la forza che viene da lui. Per questo egli dice: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). La frase va presa nella sua assolutezza. Sant’Agostino infatti commenta: «Il Signore, dopo aver detto che chi rimane in lui produce molto frutto, non dice: perché senza di me potete far poco, ma: senza di me non potete far nulla. Sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui, poiché senza di lui non si può far nulla»[6].  

Cammina, stando seduto sulle spalle di Cristo

A me piace pensare che in fondo essere sacerdote significa “camminare, stando sulle spalle di Cristo” secondo il celebre aforisma medievale, comunemente attribuito a Bernardo di Chartres, ma già presente alcuni secoli prima. Giovanni di Salisbury, citando il detto, scrive: «Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere un maggior numero di cose e più lontano di loro, tuttavia non per l’acutezza della vista o la possanza del corpo, ma perché sediamo più in alto e ci eleviamo proprio grazie alla grandezza dei giganti»[7]

L’immagine è fortemente suggestiva ed evocativa sul piano antropologico e cristologico. Nel primo caso, allude a un bambino afferrato dalle forti braccia del padre o della madre e posto sulle proprie spalle in una sorta di gioco che è anche un simbolo. È, infatti, un gesto di affetto e di tenerezza da parte del genitore, mentre nel bambino è fonte di sicurezza e di gioia. Il genitore conferma al figlio la sua volontà di proteggerlo, custodirlo e farlo crescere; il figlio comprende che non è solo, non è abbandonato a se stesso e che la sua vita poggia sulle spalle forti e sicure di una persona che gli vuole bene, di cui può fidarsi e a cui può affidare il suo futuro.

Il gesto è anche un valore dal forte significato simbolico. Esprime la forza della relazione parentale e l’intreccio tra la stabilità della presenza genitoriale che dà la sicurezza all’intero sviluppo della personalità del figlio e la consapevolezza di questi che, senza quella rocciosa presenza, l’intera esistenza correrebbe il rischio di trovarsi in un mare in tempesta, sballottolata tra i flutti di onde impetuose, sospinte da venti che soffiano con furia e veemenza. Il figlio avverte e interiorizza che la presenza del genitore è fondamentale anche nel corso della vita adulta per imparare a diventare genitore a sua volta. 

La dimensione antropologica si arricchisce anche del valore cristologico in quanto richiama l’immagine di Cristo, buon pastore, che porta sulle sue spalle la pecorella smarrita. Per i cristiani – scrive Benedetto XVI – «questa figura diventava con tutta naturalezza l’immagine di Colui che si è incamminato per cercare la pecora smarrita: l’umanità; l’immagine di Colui che ci segue fin nei nostri deserti e nelle nostre confusioni; l’immagine di Colui che ha preso sulle sue spalle la pecora smarrita, che è l’umanità, e la porta a casa»[8].

Amare, seguire e annunciare Cristo

Ecco, caro don Aurelio, il gesto e il simbolo che devono accompagnare il tuo ministero sacerdotale: essere come un bambino che cammina stando saldamente seduto sulle spalle di Cristo per diventare come un genitore che pone sulle sue spalle i fedeli che ti saranno affidati; essere nello stesso tempo discepolo e icona di Cristo, manifestando l’immagine del buon pastore che va in cerca di chi si è smarrito per riportarlo a vivere la gioia della fraternità nella comunità di fede, speranza e carità. Dovrai pertanto amare, seguire e annunciare Cristo, e coniugare questi verbi in forma passiva e attiva. Prima come dono che ricevi e poi come ministero che eserciti.  

Amato da Cristo, ama Cristo come il tuo speciale amore[9]. «È cosa veramente dolcissima volgere verso di lui gli occhi spirituali e contemplare e considerare la sua semplice e divina bellezza, essere illuminati e innalzati da questa stessa partecipazione e comunicazione, essere ricolmati di spirituale dolcezza, rivestirsi di santità, acquistare intelligenza, e infine essere ripieni di divina esultanza e sperimentarla tutti i giorni della vita presente»[10]

Amerai Cristo se seguirai le sue orme (cfr. 1Pt 2,21). Per questo non devi innanzitutto distogliere lo sguardo da lui in modo da non incorrere nel pericolo di seguire orme che possono rivelarsi sbagliate. Dovrai anche conoscere accuratamente Gesù e i suoi insegnamenti per identificare le sue orme e camminare con la stessa andatura. Potresti non stare al passo di Cristo andando più in fretta o rimanendo indietro, allungando troppo il passo e attardandoti eccessivamente, essendo impaziente o indugiando troppo. Occorre evitare entrambi gli atteggiamenti, per non passare dall’eccessiva sicurezza allo scoraggiamento

Dovrai invece perseverare nel seguire le orme di Cristo. L’imitazione costante e la prolungata sequela di lui ti faciliterà l’acquisizione del suo modo di camminare, e ti eviterà di diventare eccessivamente sicuro di te stesso e di appoggiarti incautamente sulle tue forze.

Dovrai intraprendere la sequela di Cristo come fosse una maratona, una gara di resistenza, non una gara di velocità. Per un velocista, infatti, il minimo passo falso può costargli con tutta probabilità la riuscita nella corsa. Il maratoneta, invece, anche se inciampa, ha tempo di ricuperare e ritrovare il passo giusto per giungere alla meta, senza né disperarsi, né arrendersi! 

Seguendo le orme di Cristo, diventerai il suo araldo e l’annunciatore del suo Vangelo. «Chi riecheggia i suoi discorsi e medita le sue parole, le diffonde. Parliamo sempre di lui. Quando parliamo della sapienza, è lui colui di cui parliamo, così quando parliamo della virtù, quando parliamo della giustizia, quando parliamo della pace, quando parliamo della verità, della vita, della redenzione, è di lui che parliamo.  Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla»[11].

Sostenuto dalla preghiera di tua madre, accompagnato dalla preghiera della Chiesa, protetto dalla Vergine Maria, rimani seduto saldamente sulle spalle di Cristo, e cammina nel mondo con il suo passo sicuro e spedito per portare a tutta la gioia del Vangelo. 


[1] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.09.

[2] P. D. Fehlner, Il mistero della corredenzione secondo il Dottore serafico san Bonaventura, in Maria corredentrice. Storia e teologia, vol. II, Casa Mariana Editrice, Frigento 1999, pp. 32-33.

[3] Benedetto xvi, Udienza, 12. 08.09.

[4] Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 15.

[5] Tommaso d’Aquino, Somma contro i gentili, IV, 76.

[6] Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 81, 3.

[7] Giovanni di Salisbury, Metalogicon, III, 4.

[8] Benedetto XVI, Omelia per l’ordinazione presbiteriale di 15 diaconi della diocesi di Roma, 7 maggio 2006.

[9] Cfr. Ambrogio, Commento sui salmi, Sal 36, 65-66; CSEL 64, 123-125.

[10] Gregorio di Agrigento, Spiegazione dell’Ecclesiaste, 10, 2.

[11] Ambrogio, Commento sui salmi, Sal 36, 65-66; CSEL 64, 123-125.

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