Omelia nella Messa esequiale di don Donato Bleve
Chiesa sant’Antonio, Tricase, 31 dicembre 2024. 

Caro don Donato,

ci hai sorpreso ancora una volta. E lo hai fatto secondo lo stile che ha caratterizzato la tua vita: in silenzio e con determinazione[1]. Te ne sei andato in un momento speciale anche per la nostra Chiesa diocesana. Mentre eravamo in pellegrinaggio verso la Cattedrale per entrare, attraverso la porta, nella casa del Signore, hai compiuto il tuo pellegrinaggio e hai varcato la porta del paradiso e sei entrato nella dimora dei santi. Noi ci siamo fermati alla Gerusalemme terrestre, tu sei stato ammesso nella Gerusalemme celeste. Ci hai sopravanzato, sei andato oltre il nostro pellegrinaggio terreno. Hai compiuto il passo decisivo, mentre noi siamo ancora pellegrini sulla terra. 

E lo hai fatto non senza la sofferenza del corpo e dell’anima. L’ultima volta che ci siamo sentiti mi hai raccontato i tuoi problemi fisici che hai portato avanti, in tutti questi anni, con spirito cristiano e sacerdotale e con grande pazienza e capacità di sopportazione; con la capacità cioè di sostenere con tenacia la tua sofferenza senza mai arrenderti, facendoti carico della tua persona e sorreggendola con perseveranza. 

La sofferenza ti ha accompagnato fino all’ultima dimora. Hai così ripetuto il tuo “sì” a Cristo crocifisso e risorto. Lo avevi pronunciato tante volte durante questi ultimi anni. Ora lo hai confermato in un impeto di spasimo e di dolore. Ti sei consegnato totalmente nelle sue mani, senza trattenere nulla. E hai rinnovato a Cristo tutto il tuo amore e il tuo desiderio di rassomigliargli. Ti abbiamo sempre ammirato per questo grande esempio di vita umana, cristiana e sacerdotale.

Ma non è l’unico motivo che giustifica la nostra ammirazione. Quasi sfogliando l’album della tua vita, mi piace soffermarmi a ragionare con te sui grandi amori che ti hanno accompagnato lungo il tuo percorso esistenziale. Innanzitutto la città di Tricase che, con il tempo, hai imparato a conoscere, ad amare e a servire con instancabile dedizione. In una sintetica rivisitazione della tua vita hai confessato: «Il mio ministero ordinario è stato svolto tutto a Tricase, a parte gli incarichi in diocesi. Sono stato uno dei pochi ad avere questo privilegio. Ci tengo però a dichiarare che nessun vescovo, di tutti quelli che hanno guidato la diocesi nei miei 50 di sacerdozio, mi ha mai fatto la proposta di servire altra comunità: la mia conoscenza di Tricase ha diverse gradazioni. Da una prima conoscenza molto approssimativa, nei primissimi anni, ad una più chiara, percepita con il passare degli anni e, in particolare, da quando mi è stato affidato il compito di parroco con l’istituzione della parrocchia di sant’Antonio […]. Una migliore conoscenza l’ho avuta dal contatto con tutte le famiglie della parrocchia. Per conoscerle le ho visitate tutte per due anni, scrivendo di mio pugno nomi, date di nascita, lavoro, sacramenti ricevuti e facendo un primo schedario di tutte le famiglie della comunità»[2].

Tra le passioni più struggenti della tua vita c’è da annoverare il tuo amore per la musica. È stata una passione travolgente. L’hai assecondata con tutto il trasporto della tua anima, superando le inziali difficoltà che i superiori avevano frapposto e l’hai coltivata con estrema diligenza in tutto l’arco della tua esistenza. Hai donato (in sintonia con il tuo nome!) alla nostra Chiesa diocesana un enorme patrimonio di canti liturgici per le più diverse circostanze. Di volta in volta, mi hai fatto dono dei tuoi fascicoli musicali. Per te, la finalità di questo straordinario impegno era assolutamente chiara. In una lettera di accompagnamento, mi hai scritto: «Credo di aver in questo modo lodato il Signore e offerto alla Chiesa, per le comunità che vorranno farne uso, l’opportunità di pregare con il “sapore” del canto in modo da esprimere il proprio “amore verso il Diletto”. “Cantare amantis est”, come abbiamo imparato da Agostino».

Tra tutti i canti, c’è uno che tenevi molto a cuore, quello composto per l’ordinazione episcopale di don Tonino Bello: “Fratello va’”. Lo confermano queste tue parole: «Non credo di peccare di presunzione se lo considero un canto pregnante di profezia. Lo considerò così il vescovo Mincuzzi allora e anche in occasione delle esequie ad Alessano. Rileggendolo oggi alla luce del tuo breve, ma intenso cammino, posso dire che costituisce anche un’ottima sintesi di tutto il tuo esercizio spirituale»[3].

Anche a me hai fatto un regalo del tutto inatteso. Un giorno sei venuto in episcopio e mi hai consegnato lo spartito dove avevi musicato la preghiera alla Vergine de finibus terrae che avevo posto a conclusione del quadro di riferimento pastorale, Educare a una forma di vita meravigliosa [4]. La melodia, molto elegante musicalmente, non si sovrappone alle parole, ma le sostiene e le valorizza in un movimento armonico semplice, efficace e di nobile fattura. Te ne sono grato. Non c’è un modo migliore per parlare della Madonna, se non con la poesia e il canto. E in questo caso, mi sembra che ci siamo riusciti. 

Per certi versi, caro don Donato, si potrebbe dire che tutta la tua vita è stata una bella composizione musicale nella quale hai sviluppato i differenti temi melodici attraverso il richiamo costante al tema dominante. Da esperto musicista, hai fatto del tuo ministero una sorta di sinfonia, intrecciando i differenti temi pastorali in una sapiente armonia. Hai studiato in modo approfondito le leggi musicali e ti sei lasciato guidare non solo nella tua numerosa produzione di canti liturgici, ma anche nella tua azione pastorale. 

Grande è stato il tuo amore per questa comunità parrocchiale. Non è possibile sintetizzare l’impegno profuso per la costruzione della nuova Chiesa di sant’Antonio e per l’animazione della vita comunitaria. Promuovendo il coinvolgimento dei laici, hai fatto della comunità una voce profetica all’interno della società civile[5]. La data di inizio del tuo ministero è particolarmente significativa. Il 2 ottobre 1966, fosti inviato come viceparroco alla parrocchia della Natività. Il 17 novembre 1971, mons. Riezzo istituì la nuova parrocchia di sant’Antonio. Per 25 anni la Chiesa dei Cappuccini è stata la sede della comunità parrocchiale. Il 22 dicembre 1996, è stata inaugurata la nuova Chiesa. 

Nel gennaio 1973, cominciarono le pubblicazioni della rivista “Siamo la Chiesa”. Era un tempo di cambiamenti e di radicali trasformazioni sociali e culturali, un periodo caratterizzato dalla ricezione e dall’attuazione delle riforme conciliari. Per Tricase, è stato un momento molto fecondo, anche perché animato da alcuni sacerdoti e da una schiera di laici carichi di generosa disponibilità e di forti idealità. Intervenendo il 23 gennaio dell’anno scorso alla presentazione dei primi due volumi della raccolta delle lettere ai parrocchiani, curati egregiamente da Rodolfo Fracasso, ho definito “Siamo la Chiesa” «una lungimirante impresa editoriale»per la durata del tempo, la molteplicità dei temi, la profondità dei contenuti, la lettura condivisa dei segni dei tempi. 

Mi sono soffermato soprattutto a evidenziare il riferimento al Concilio Vaticano II. Nel corso del tempo, le grandi idee conciliari sono state discusse, interiorizzate e assunte come linee ispiratrici della prassi pastorale, dell’attività sociale e dell’azione politica. Si comprende così che “Siamo la Chiesa” non era solo il titolo del giornale parrocchiale, ma l’idea madre che hai continuamente ripetuto in quasi tutti i tuoi interventi, come fosse la nota fondamentale e il fine principale di tutto il tuo impegno pastorale. È avvenuto così che, mentre eri impegnato a costruire la chiesa fatta di pietre, hai cercato di edificare la Chiesa fatta di persone. 

Hai cercato di instaurare una sintonia con gli altri parroci. Una particolare amicizia ti ha legato a don Tonino Bello. Lascio a te la parola per dare spazio ai tanti ricordi dei tuoi rapporti con lui: «Il mio primo incontro con don Tonino risale a un paio d’anni dopo la sua ordinazione sacerdotale, mentre frequentavo il liceo nel seminario regionale di Molfetta e durante il periodo estivo a Tricase Porto. Subito un rapporto di amicizia, via via cresciuto soprattutto per la sua spontaneità che vinse gradualmente la mia riservatezza. In comune avevamo la passione per la musica e il canto nella quale, come in tutti gli ambiti, egli manifestava tanto interesse, come anch’io, che allora cominciavo, nonostante le difficoltà che mi venivano frapposte, uno studio più serio della musica. Il reciproco interesse ci portò a realizzare insieme, dopo il concilio, un libro di spartiti, in modo “artigianale” di cento canti per la liturgia, che insieme scrivemmo a mano su matrici cerate, avendo io anche gli attrezzi per impostare su di esse i pentagrammi (già dai tempi del seminario regionale). Una volta ultimato il lavoro di scrittura manuale, si provvide a stampare al ciclostile i canti da noi scelti e a offrire un volume di spartiti musicali per ogni parrocchia della diocesi, insieme con i libretti contenenti i vari testi per il popolo».

Continuando la narrazione dei tuoi ricordi, rievochi un fatto molto significativo dal punto di vista pastorale: «Verso i primi di febbraio 1979, ( don Tonino) venne a trovarmi dicendo di avere un problema di natura pastorale. A Tricase c’era la tradizione che il giovedì santo in tutte le tre confraternite si svolgesse la celebrazione della Messa della Cena del Signore e della lavanda dei piedi e dell’altare della reposizione. Don Tonino, giustamente, sottolineava che tale celebrazione doveva essere una e nella chiesa parrocchiale. Voleva trovare il modo per osservare quel principio liturgico senza che le confraternite avessero a esprimere qualche segno di ribellione. Io confidai che quando ero viceparroco nella stessa parrocchia avevo tentato di chiedere al parroco di cambiare quella tradizione, ma che avevo avuto la risposta: “Lasciamo le cose come stanno”.

Ne parlammo per un po’. Mentre però stavamo per salutarci, a me venne in mente un’idea riguardo al suo problema al fine di risolverlo. Gli dissi: “Don Tonino, mi viene un’idea che forse potrebbe risolvere il problema. Potremmo celebrare la Messa della Cena insieme, le nostre due parrocchie. Così, visto che sono due parrocchie e non due confraternite che si uniscono per un’unica celebrazione, credo che le confraternite potrebbero adeguarsi senza alcun segno di contrarietà”.  Ci fermammo ancora a parlare e io aggiunsi: “È importante che cominciamo a parlarne con la gente, sottolineando la bontà dell’iniziativa”. Don Tonino accolse con entusiasmo questa idea. Facemmo catechesi sull’argomento alle due nostre comunità. […]. La celebrazione della Cena del Signore, preceduta dalle nostre catechesi nelle due parrocchie, fu una testimonianza altissima di comunione. La chiesa madre era stracolma di fedeli delle due comunità, che così erano espressione di una vera Chiesa riunita per la celebrazione della emozionante liturgia del “Memoriale”del Signore, come a Gerusalemme, nel cenacolo».

Aggiungi un altro particolare in riferimento all’ordinazione episcopale di don Tonino: «Venne a trovarmi di nuovo e mi confidò: “Sai cosa ho scelto come programma per lo stemma episcopale? Un versetto del Salmo 33: Audiant humiles et laetentur”. Era uno dei salmi che io avevo musicato e che, da tempo, cantavamo nelle nostre due parrocchie. Fui molto felice per quella scelta che poi avrebbe connotato tutto il suo servizio episcopale in continuità con quello parrocchiale […]. Faccio un piccolo passo indietro per dire che in quei giorni chiesi a don Tonino di scrivere qualcosa per il nostro “Siamo La Chiesa”. E scrisse la “Preghiera sul Molo”, che noi pubblicammo e che è contenuta nella rivista […]. Gli anni trascorsi con lui a Tricase e nella sua cara amicizia, per me sono stati gli anni più carichi di frutti, i più significativi della mia vita sacerdotale. Custodisco nel cuore e nel silenzio un periodo così carico di grazia e di autentica testimonianza umana, cristiana e sacerdotale, il suo calvario… in piedi sul monte… fino all’alba radiosa.  Poi mi sono accorto quanto mi mancasse… e quanto ci manca ancora oggi».

Ora non ti manca più. Riprendete a conversare tra di voi, magari anche insieme a don Eugenio. Ci sono ancora molti altri progetti da realizzare. Soprattutto potrete fare un bel concerto di voci davanti all’Agnello e al trono dell’Altissimo e, insieme agli angeli e ai santi, cantare in eterno l’amore del Signore. 


[1] Una sintetica presentazione della persona e dell’opera di don Donato si trova nell’intervista da lui concessa a Vito Cassiano, cfr.D. Bleve, Sensus Ecclesiae: ripartiamo da qui, in R. Fracasso (a cura di), Lettere ai miei parrocchiani. Il futuro è ora nelle vostre mani, giovani! 2001-2017, Amazon 2023, vol. 6, pp. 318-343.

[2] Ivi, p. 322. 

[3] Ivi, vol. 5, p. 41

[4] V. Angiuli, Educare a una forma di vita meravigliosa, Viverein, Monopoli 2014, p. 227.

[5] Su questo aspetto bisognerebbe leggere la benemerita e preziosa raccolta a cura di Rodolfo Fracasso delle Lettere ai miei parrocchiani.

clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca