Omelia nella Messa per l’immissione canonica di don Flavio Ferraro
Parrocchia san Giovanni Bosco, 5 novembre 2023.

Caro don Flavio,
cari sacerdoti,
cari fedeli,
l’avvicendamento della guida pastorale da don Stefano Ancora a don Flavio Ferraro è un altro tassello della storia di questa comunità; un tassello che, da una parte si ricollega al cammino già compiuto e, dall’altra, si apre a nuove prospettive. 

È giusto in questo momento ringraziare don Stefano del preziosissimo lavoro pastorale compiuto in questi anni. Gli sono particolarmente riconoscente. Con lui, ringrazio tutti i sacerdoti e i laici che hanno collaborato per fare di questa comunità un segno luminoso di vita cristiana in Ugento, in stretta collaborazione con le altre comunità parrocchiali. 

Ringrazio anche per la ristrutturazione della Chiesa e degli ambienti pastorali. Non è stato un compito facile. Ma la tenacia e la pazienza hanno reso possibili il superamento di molteplici difficoltà. Ora la parrocchia è vestita a festa. E ad animare questa festa ci sarà con voi anche don Flavio.    

La storia e l’ispirazione salesiana dell’Oratorio e della parrocchia

La programmazione della futura azione pastorale deve fondarsi sull’ispirazione che ha dato origine al progetto di questa parrocchia e sulla memoria di coloro che sono stati i protagonisti. Per questo vi propongo tre testimonianze che sono particolarmente significative. 

La prima è di don Leopoldo De Giorgi. Il 18 settembre 1960, in occasione della celebrazione del 25mo anniversario di sacerdozio del parroco della Cattedrale, mons. Cosimo Ponzetta, venne inaugurata la “Casa del Giovane – mons. Giuseppe Ruotolo”. A ricordo di quella circostanza, don Leopoldo, Direttore della Casa, scrisse: «Da tempo il popolo ugentino attendeva con ansia il completamento e il funzionamento della grandiosa Opera, iniziata circa 5 anni or sono, e che oggi, a distanza di poco tempo dall’inaugurazione, già ospita oltre 200 ragazzi e giovani.  La “Casa del Giovane”, sbocciata dal cuore del nostro amato Vescovo e sorta su di un vasto campo, offerto dal parroco, oltre che una centrale di spiritualità giovanile, sarà palestra di educazione e fucina degli uomini di domani. La pietà, lo studio, lo sport saranno le discipline che formeranno i giovani di Ugento, lanciandoli nella società con gli ideali più grandi e più veri della vita»[1].

La seconda testimonianza è di Pippi Cucci. Nel discorso, pronunciato nel 40° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Leopoldo, egli affermò: «Dire “don Leopoldo” e dire “Oratorio” è la stessa cosa, in quanto l’opera è la concretizzazione di una vita consumata per gli altri, in particolare per i ragazzi e i giovani; ma l’opera, con le sue responsabilità, le sue molteplici attività, il suo cammino non sempre agevole, i suoi momenti critici, i suoi traguardi, ha anche condizionato la tua esistenza. Perciò gli amici tuoi sono gli amici dell’Oratorio; e gli amici dell’Oratorio sono amici tuoi. […] E gli amici sono tanti, don Leopoldo; perciò non vogliamo fare nomi: sarebbe impossibile» Tuttavia, tra di essi, egli ricordò mons. Ruotolo, mons. Mario Miglietta e soprattutto don Tonino. Queste le sue parole: «Il più vicino al tuo cuore e il più affezionato all’Oratorio è stato certamente don Tonino Bello. Per anni e anni ha quasi quotidianamente frequentato questi posti, interessandosi a tante iniziative e, con i suoi seminaristi, ha macinato allegro chilometri e chilometri dietro un pallone»[2].

La terza testimonianza è di Gabriele Congedi, allora Sindaco di Ugento. Al termine della Messa esequiale di don Leopoldo, tracciando una sintesi della sua ultra quarantennale azione pastorale, tra l’altro richiamò alcuni tratti della sua vita e della storia di questa comunità: «Don Leopoldo – egli disse – ha cominciato il suo apostolato nell’allora unica parrocchia di Ugento e nel Seminario nel lontano 1956 quando cominciò la sua opera con gli scout e, nel momento in cui si andava formando l’idea dell’Oratorio, s. e. mons. Giuseppe Ruotolo individuò nel giovane sacerdote colui che doveva realizzare materialmente l’opera che ora sta sotto i nostri occhi. Siamo nel 1958. La scelta fu quella giusta perché l’intraprendenza, la capacità e la facilità con la quale si avvicinava ai giovani ha creato un’opera più grande di quella che era l’idea progettuale […]. Intorno alla sua figura cominciarono a nascere tutte le attività che riguardavano i giovani […]. È nata in questo Oratorio la squadra di calcio degli anni settanta; nata in questo Oratorio la squadra di pallavolo Adovos-Falchi”; è nato in questo Oratorio il cineforum con le attività culturali che scaturivano dalla sua organizzazione; è nato nell’Oratorio il primo giornale cittadino, “Vita Nostra” […]. Quando, nel 1972, l’Oratorio diventò parrocchia san Giovanni Bosco, vi fu, per così dire, un passaggio naturale perché le attività parrocchiali già di fatto esistevano, mancava solo l’organizzazione burocratica».

Soffermandosi a tratteggiare la personalità di don Leopoldo, egli disse: «Tutti noi sappiamo che è stato uomo di fede: preparava, organizzava, faceva tutto il possibile per la riuscita dell’iniziativa e poi si affidava e confidava in Dio; era la preghiera il motore delle sue iniziative; era la fiducia in Dio la sua garanzia e la sua forza.  Quindi “uomo di azione”, “uomo di fede”, ma anche uomo pronto a cogliere i bisogni e le problematiche emergenti. Si ricordano in Ugento gli incontri-scontri tra genitori-figli alla fine degli anni sessanta; affrontavamo cosi la contestazione giovanile che ha sconvolto l’Europa. Si ricordano in Ugento le iniziative, le attività, gli incontri e i confronti con tutti i giovani anche su argomenti delicati e “chiusi” allora come quello della droga e della sessualità. Si ricorda l’apertura e l’accoglienza agli extracomunitari con soluzioni dignitose per chi veniva accolto e per chi accoglieva, senza clamore, operando in silenzio nel pieno interesse di chi doveva allora essere aiutato». 

A conclusione del suo discorso fece qualche accenno al rapporto con don Tonino. 
«Può non accostarsi – si domandò – questa figura, sia pure con caratteristiche e forme diverse, a quella di don Tonino Bello? Possiamo dimenticare noi ugentini che don Tonino era frequentatore, fruitore, ispiratore di iniziative che si svolgevano all’interno dell’Oratorio? Certo è che i due avevano molti punti in comune; insieme hanno lavorato, si sono consigliati, hanno affrontato nello stesso modo molti problemi come quello degli extracomunitari»[3].

L’educazione, un segno dei tempi

Come si può evincere da questi brevi richiami, l’ispirazione originaria è di grande attualità. Ai giorni nostri, l’educazione è diventata uno dei “segni dei tempi”[4], una risposta imprescindibile per affrontare i problemi della famiglia e della società. Il compito educativo, infatti, riguarda tutta la società, non solo la famiglia, la scuola e la parrocchia. Oggi permangono le stesse domande che si ponevano i vescovi Ruotolo e Miglietta e con loro don Leopoldo e don Tonino. Per certi versi, si può dire che sono le domande del giovane sacerdote Giovanni Bosco all’inizio del suo ministero: Chi sono i giovani? Che cosa vogliono? A che cosa tendono? Di che cosa hanno bisogno? Questi, allora come oggi, sono interrogativi difficili, ma ineludibili per ogni educatore.

Certo, oggi la situazione giovanile è molto cambiata e presenta condizioni e aspetti multiformi. Il Concilio Vaticano II ha affermato che «l’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia»[5]; ed ha riconosciuto che sono sorte «iniziative atte a promuovere sempre più l’attività educativa»[6]. In un’epoca di trapasso culturale, la Chiesa avverte con preoccupazione l’urgente necessità di superare il dramma della profonda rottura tra Vangelo e cultura[7], che sottovaluta ed emargina il messaggio salvifico di Cristo.

San Giovanni Bosco (1815-1888) appartiene alla schiera dei “santi educatori”, ma anche ai cosiddetti “santi sociali” torinesi[8]. Dall’ispirazione cristiana, essi trassero la forza per dare vita a una vasta e coraggiosa serie di iniziative nell’ambito della promozione dell’istruzione, della salute, dell’assistenza e del lavoro. 

Nel XIX secolo, Torino era lanciata verso l’industrializzazione, ma gran parte della popolazione viveva in condizioni di miseria assoluta. La povertà era uno dei problemi più gravi che bisognava affrontare. Fu proprio in questi ambienti che i santi sociali si adoperarono per aiutare i più bisognosi dedicando la loro esistenza all’educazione dei poveri e degli emarginati. Trasformando i luoghi di crisi in ambienti di evangelizzazione e di santità sono diventati un esempio anche per noi perché impariamo a considerare i momenti difficili come in un’occasione pe promuovere il Vangelo. 

Tra questa schiera di personalità, san Giovanni Bosco rimane «in modo eccelso, l’esemplare di un amore preferenziale per i giovani, specialmente per i più bisognosi, a bene della Chiesa e della società; è il maestro di un’efficace e geniale prassi pedagogica, lasciata come dono prezioso da custodire e sviluppare»[9].

Il metodo educativo di don Bosco

Come è noto, i tre pilastri del “metodo preventivo” di don Bosco coniugano insieme ragione, religione, amorevolezza. Il termine “ragione”, secondo l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, sottolinea il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale. Richiama cioè un vasto quadro di valori considerato come il necessario corredo dell’uomo nella sua vita familiare, civile e politica. L’educatore moderno, pertanto, deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione, la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche.

Il secondo termine, “religione”, indica che la pedagogia salesiana è costitutivamente trascendente, in quanto l’obiettivo educativo ultimo è la formazione del credente. Parte integrante dell’azione educativa è l’iniziazione dei giovani alla preghiera, alla liturgia, alla vita sacramentale, alla direzione spirituale, anche in vista della risposta a una vocazione di speciale consacrazione. 

L’“amorevolezza”, infine, richiede una disponibilità nei riguardi dei giovani, caratterizzata da una simpatia profonda e da una capacità di dialogo. Il vero educatore partecipa alla loro vita, si interessa ai loro problemi, si rende sensibile ai loro interessi, prende parte alle loro attività sportive e culturali, è pronto a intervenire per correggere con prudenza e fermezza comportamenti scorretti. In questo clima, l’educatore è considerato come un padre, un fratello e un amico.

La pedagogia di Don Bosco integra tutte le dimensioni della personalità: intellettuale, comunicativa, affettiva e spirituale. Lo scopo da raggiungere rimane quello di fare «dei buoni cristiani e degli onesti cittadini». In questo senso, la “pedagogia della soglia” cioè del massimo rispetto della persona deve coniugarsi con la “pedagogia della speranza” cioè della fiducia nelle potenzialità del giovane. La “pedagogia della speranza” deve poi essere intimamente legata alla “pedagogia dell’amore”. «Senza affetto – soleva dire don Bosco – non c’è fiducia, senza fiducia non c’è educazione». Da qui lo slogan di don Bosco: «L’educazione è cosa di cuore»[10].

A questa visione si deve aggiungere la consapevolezza che la “pedagogia della vita” deve fondarsi sulla “pedagogia della grazia”. Il successo dell’educazione, infatti, non è solo il frutto dell’impegno dell’educatore, ma anche dell’amore gratuito del Signore. All’educatore spetta il compito di sviluppare tutte le dimensioni della persona, attuate in un clima di gioia. Tra le altre cose, essa sviluppa il senso del realismo, il rispetto delle regole, la socializzazione, l’osservanza della disciplina, l’orientamento all’accettazione del sacrificio, il desiderio di incamminarsi sulla via della santità.

Ecco, caro don Flavio, delineato il quadro di riferimento storico e valoriale che deve orientare la tua azione pastorale in questa comunità. Nella guida della comunità della Natività di Tricase, ti sei ispirato a don Tonino, tuo predecessore nel ministero di parroco. Ora aggiungi anche la figura di don Leopoldo. Considerali entrambi tuoi modelli. Sii certo che essi ti assisteranno e ti daranno la giusta intelligenza pastorale per continuare la loro opera a favore soprattutto delle nuove generazioni di giovani presenti in questo territorio. Auguri per una feconda azione pastorale a te e a tutti i parrocchiani.  


[1] L. De Giorgi, L’Oratorio di Ugento, In “Ugento Cattolica”, XXIII, 1960, luglio-ottobre, p. 11.

[2] P. Cucci, Don Leopoldo e don Tonino, due preti amici, apostoli dei giovani, Discorso per il 40° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Leopoldo, Ugento, 15 luglio 1996.

[3] G. Congedi, Saluto del Sindaco al termine della Messa esequiale di don Leopoldo de Giorgi, Chiesa San Giovanni Bosco, Ugento, 14 agosto 1999.

[4] La formula ‘segni dei tempi’ (cf. Mt 16,2-3; Lc 12,56-57) è stata rimessa in circolo nella teologia cattolica dal san Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, esplicitamente in alcuni documenti: Presbyterorum ordinis 9; Apostolicam actuositatem 14; Unitatis redintegratio 4; Gaudium et spes 4,11, 44.

[5] Gaudium et spes, 4.

[6] Gravissimum educationis, proemium.

[7] Cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 20.

[8] I marchesi di Barolo, Giulia (1786-1864) e Tancredi (1782-1838) si dedicano all’assistenza dei bimbi orfani, delle ragazze sole, delle carcerate; Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842) fonda la Piccola Casa della Divina Provvidenza per dare asilo agli ammalati poveri, agli handicappati bisognosi di cure e ai bimbi derelitti; Giuseppe Cafasso (1811-1860) si dedica all’assistenza dei carcerati e dei condannati a morte; Francesco Faà di Bruno (1825-1888) dà asilo alle ragazze provenienti dalla campagna; Leonardo Murialdo (1828-1900) aiuta i giovani a inserirsi nelle attività artigianali e Giuseppe Allamano (1851-1926) fonda i Missionari che invia in aiuto ai popoli più sfruttati nel mondo.

[9] Giovanni Paolo II, Padre e maestro dei giovani, 5.

[10] G. Bosco, Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco, Società Editrice Internazionale, Torino, 1883 vol. 16, p. 447.

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