Articolo del Vescovo apparso in “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”
martedì 11 ottobre 2022, pp. 1 e 27.

La Chiesa ricorda oggi i sessant’anni dell’apertura del Concilio Vaticano II. La mattina dell’11 ottobre 1962, 2540 padri conciliari, quasi i cinque sesti dell’intero episcopato mondiale di allora, entrarono in processione nella basilica di san Pietro per dare inizio alla grande assise conciliare. Il Concilio durerà tre anni e terminerà i suoi lavori l’8 dicembre 1965. L’evento ebbe una grande risonanza mediatica. Secondo stime approssimative, oltre a cardinali, vescovi, patriarchie e teologi, arrivarono a Roma circa 10 mila persone, tra giornalisti, reporter e commentatori.  Notevole fu anche lo sforzo della RAI per dare conto di quanto avveniva durante il dibattito conciliare. Si calcola che le immagini rilanciate in mondovisione furono raccolte da 41 telecamere, 16 cameramen, 5 studi e 2 registi.

Si tratta di un evento di capitale importanza se si tiene conto che, negli ultimi cinque secoli, la Chiesa aveva celebrato solo due grandi eventi conciliari: quello di Trento, dal 1543 al 1563 con l’intento di rispondere alla Riforma protestante e avviare la Riforma cattolica e il Vaticano I, dal 1868 al 1870, durante il quale fu sancito il dogma dell’infallibilità del magistero del Papa in materia di fede e di morale e il dogma della possibilità della conoscenza di Dio con la sola ragione.

La convocazione del Concilio fu accolta con grande stupore. Ad alcuni sembrò un’idea geniale, ad altri una proposta insolita e improvvista. In realtà, era un’idea maturata nel tempo. Da giovane segretario di mons. Giacomo Radini Tedeschi, san Giovanni XXIII aveva sentito vagheggiare la possibilità di un Concilio come risposta alla crisi modernista da mons. Geremia Bonomelli, grande amico del suo Vescovo. Durante la sua permanenza a Roma a capo dell’organizzazione italiana a sostegno delle missioni, venne a conoscenza delle intenzioni di Benedetto XV e di Pio XI di proseguire e chiudere il Vaticano I, interrotto a causa della presa di Porta Pia.

Anche da nunzio gli erano noti i sogni conciliari di un suo grande amico, il cardinale Celso Benigno Luigi Costantini, e dello stesso cardinale Eugenio Pacelli. Quando ne fece menzione al suo segretario di Stato, il cardinale Domenico Tardini, ricevette una risposta entusiasta. Ne parlò pubblicamente nel radiomessaggio del Natale 1958 e nel 25 gennaio 1959 a un gruppo di cardinali riuniti nella Basilica di san Paolo fuori le mura per la ricorrenza della conversione dell’apostolo Paolo. Finalmente, il 2 febbraio 1962 fissò la data dell’inizio dei lavori per l’11 ottobre dello stesso anno.

Memorabili sono le due immagini che segnarono l’inizio e la fine del Concilio. La prima si riferisce alla scena di san Giovanni XXXIII in quale, parlando a braccio dalla finestra del Palazzo apostolico, disse queste parole: «Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera – osservatela in alto – a guardare. Stamattina è stato uno spettacolo che neppure la basilica di san Pietro che ha quattro secoli di storia, non ha mai potuto contemplare». Poi, non senza un pizzico di commozione, salutò i fedeli presenti in piazza san Pietro con queste parole: «Tornando a casa, troverete i bambini; date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”». La Chiesa mostrò così il suo volto di madre che si prende cura dei suoi figli con amorevole tenerezza.

Non meno significativa fu l’allocuzione conclusiva pronunciata da san Paolo VI al termine del Concilio, mercoledì, 7 dicembre 1965: «La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta […]. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo».  

A sessant’anni dal Concilio, nonostante le critiche e le spinte in senso contrario e i tentativi di camminare in direzioni opposte, appare ancora più evidente il suo grande lascito: l’aver disegnato l’identikit della Chiesa del terzo millennio come comunità di persone che si considerano popolo di Dio attraverso il quale lo stesso suo mistero si rende presente nella storia degli uomini. Continuamente rigenerata dalla Parola di Dio e dalla divina liturgia, la Chiesa si pone in dialogo fraterno con il mondo, ne condivide le gioie e le speranze e collabora con tutti gli uomini del suo tempo per costruire un modo nuovo, fondato sulla giustizia e lo sviluppo integrale dell’uomo, sulla salvaguardia e la cura del creato e sulla promozione della pace. 

Soprattutto nel nostro tempo, giunto quasi alla “fine della storia”, la comunità cristiana è chiamata a guardare con una “simpatia immensa” i suoi contemporanei e, nella assoluta fedeltà al Vangelo, dialogare e confrontarsi con tutti per consegnare a ciascuno il messaggio ricevuto per rivelazione: Cristo, “luce delle genti”. La Chiesa sa che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo»[1]. Cristo, infatti, è «il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni»[2].  


[1] Gaudium et spes, 22.

[2] Ivi, 45.

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