Articolo del Vescovo apparso su “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”
mercoledì 26 aprile 2023, pp. 1 e 27

Abbiamo celebrato da poco il trentesimo anniversario della morte di don Tonino Bello. Si è subito elevato un coro di voci osannanti per esaltarne la memoria. Molti hanno sottolineato il suo amore per gli ultimi e il suo impegno in favore della pace. Nessuno, però, ha ricordato la sua battaglia contro l’aborto. Sottolineo “battaglia” e non semplice opinione. Per don Tonino, poveri e ultimi sono le persone private dei diritti sociali, ma anche coloro che sono offesi nel loro diritto a vivere, privati ingiustamente del dono della vita. Il riferimento chiaro è ai bambini non nati. 

Egli parlava in favore degli uni e degli altri, senza soluzione di continuità. Era questa la sua grande battaglia culturale. Sì, bisogna sottolinearlo “culturale”. Scindere questo legame indissolubile tra temi sociali e questioni antropologiche riguardanti il diritto alla vita, dall’inizio fino alla sua naturale conclusione, significa non comprendere e soprattutto utilizzare don Tonino a proprio uso e consumo. Qualcuno penserà che si tratta di una battaglia culturale di retroguardia? Ognuno ha diritto di pensare come meglio crede. Certo, egli l’ha portata avanti con coraggio e controcorrente per tutto il tempo della sua vita, da sacerdote e da Vescovo, senza mai venire meno a questo suo proposito e senza modificare in nulla la sua prospettiva, anche quando si sono realizzati profondi cambiamenti culturali nella società, nel costume e nella legislazione italiana.

Bisognerebbe conoscere meglio don Tonino e leggere tutti i suoi scritti, e non scegliere, fior da fiore, secondo una selezione di comodo e unilaterale. Per lui era chiaro che il criterio della denuncia e dell’annuncio, su cui si doveva muovere la sua azione di pastore, doveva coniugare insieme l’etica sociale e l’etica personale, senza alcuna divisione o separazione. Egli, infatti, riteneva che fosse «importante giocare la partita a tutto campo, e naturalmente in tutto questo discorso c’entra anche il problema dell’aborto. È chiaro, tutte le violenze nei confronti dell’uomo vanno combattute, ostacolate […]. Il fenomeno della violenza va visto nella sua globalità non solo in qualche sua parte: non bisogna sottrarsi a questi compiti!»[1]

Da sacerdote, in un intervento pronunciato in pubblico nel dicembre 1977 mentre si compiva l’iter parlamentare di approvazione della legge sull’aborto, egli ammoniva: «Può lo Stato depenalizzare l’aborto? Rifiutarsi di offrire tutela giuridica alla vita del nascituro? La risposta è anche qui: no!»[2]. Ed ancora: «È lecito l’aborto? La risposta è scontata. L’aborto procurato, cioè l’espulsione volontaria dall’utero materno di un feto vivo ma non vitale, è sempre un crimine. La ragione è semplice: l’aborto è la soppressione di un essere umano. Non è la soppressione di un parassita, non di un’escrescenza carnosa dell’utero materno. Per cui non hanno senso le espressioni “il nostro ventre ci appartiene”, “vogliamo gestire noi la nostra maternità”»[3]

Continuando la sua riflessione affermava: «Tutto questo, naturalmente, esige che la legge riconosca l’aborto come reato. Lo Stato non può far sì che l’aborto non abbia carattere di criminalità»[4]. In altri termini, secondo don Tonino, «o il nascituro ha diritto alla vita, e allora la volontaria soppressione di essa va punita sempre, o non ha quel diritto, e allora si deve consentire alla donna di abortire se, quando e come e dove vuole. È veramente strano e paradossale che oggi la nostra società si batta con tanto calore per il rispetto della vita al punto da abolire la pena di morte … sia in pieno svolgimento la campagna contro l’ergastolo … e si sostenga poi la soppressione in massa di vite umane. Mi sembra veramente giusto concludere dicendo che legalizzare l’aborto significa legittimare il principio secondo cui i più forti possono risolvere i loro problemi rivalendosi sui più deboli. Cioè, “per il bene di alcuni o dell’intera società, alcuni membri di questa società, sia pur non ancora pienamente formati, possono essere uccisi”. È assurdo e ingiusto!»[5].

Divenuto Vescovo, nella famosa preghiera, “Dammi, Signore, un’ala di riserva”, rincarò la dose: «L’aborto è un oltraggio grave alla tua (di Dio) fantasia. È un crimine contro il tuo genio. È un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano. È l’antigenesi più delittuosa. È la “decreazione” più desolante. È l’antipasqua »[6].

A trent’anni dalla sua morte è venuta l’ora di parlare del don Tonino storico. Di quello realmente vissuto in questo mondo, non nella fantasia dei suoi ammiratori e dei suoi interpreti.  Occorre inoltre conoscere non solo il don Tonino Vescovo, con le sue parole e i suoi gesti divenuti per molti punto di riferimento, ma anche il don Tonino sacerdote vissuto nel Salento, soprattutto nel Seminario Vescovile di Ugento come educatore dei seminaristi. Si tratta del periodo più lungo della sua vita, circa diciotto anni, vissuti nel nascondimento e al riparo dalla successiva “bolla mediatica”.  

È giunta l’ora di analizzare e scrivere la storia e non solo di trastullarsi con la poesia e con la reiterazione di parole e concetti di cui spesso si comprende il senso in modo approssimativo e superficiale. La storia si fa con i fatti realmente accaduti, con le parole realmente pronunciate, la visione culturale realmente condivisa. Non con le emozioni e i sentimentalismi. Cerchiamo allora di aderire al patrimonio dei valori che egli ha testimoniato. Ma integralmente! Non secondo il nostro gusto personale. Don Tonino si ama rispettando la verità di quello che ha detto e ha fatto realmente! Non sovrapponendo le nostre personali visioni al suo pensiero. Un po’ di rispetto e… di maggiore conoscenza, per favore!


[1] A. Bello, Obiezione di coscienza e società, in Scritti 4, pp. 141-143.

[2] Id., difesa della vita umana, in Id., La terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini, a cura di V. Angiuli e R. Brucoli, Ed Insieme, Terlizzi (BA) 2014, p. 121.

[3] Ivi, p. 327.

[4] Ivi, p. 326.

[5] Ivi.

[6] Id., Dammi, Signore, un’ala di riserva, in Scritti 3, p. 316.

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