Riflessione alla veglia di preghiera per il giubileo dei fidanzati
Chiesa Cattedrale, Ugento 14 febbraio 2025.
Cari fidanzati,
la festa di san Valentino è considerata la festa dei fidanzati, ossia la festa in cui si impara ad amare, a capire cosa vuol dire “vivere insieme e per sempre”. Vivere l’amore è un’arte che si impara con il tempo. Èun cammino arduo, bello e affascinante. Non si esaurisce con la scoperta dell’altro. L’incontro è un inizio aperto al futuro! Tutto il cammino è posto sotto la protezione di san Valentino.
La vita di san Valentino
La leggenda vuole che la festa di san Vantino, a metà febbraio, si riallacci agli antichi festeggiamenti di greci, italici e romani che si tenevano il 15 febbraio in onore del dio Pane, Fauno e Luperco. Questi festeggiamenti erano legati alla purificazione dei campi e ai riti di fecondità. Divenuti troppo licenziosi, furono proibiti da Augusto e poi soppressi da Gelasio nel 494. La Chiesa cristianizzò quel rito pagano della fecondità anticipando la festa al 14 febbraio attribuendo a san Valentino, martire di Terni, la capacità di proteggere i fidanzati e gli innamorati e di indirizzarli al matrimonio e ad un’unione allietata dai figli. Oggi la festa di san Valentino è celebrata in tutto il mondo come “santo dell’amore”.
Le notizie storiche su di lui cominciano nel secolo VIII quando un documento narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio. Altri testi del secolo VI, raccontano che san Valentino, cittadino e vescovo di Terni dal 197, divenuto famoso per la santità della sua vita, per la carità ed umiltà, venne invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco e latino, perché gli guarisse il figlio infermo. Guarito il giovane, Cratone si convertì al cristianesimo insieme alla famiglia ed ai greci studiosi di lettere latine Proculo, Efebo e Apollonio, insieme al figlio del Prefetto della città. Imprigionato sotto l’imperatore Aureliano fu decollato a Roma. Era il 14 febbraio 273, aveva 97 anni. Il suo corpo si trova nella basilica di Terni e la sua tomba è, ancora oggi, meta di pellegrinaggio da parte di migliaia di fedeli desiderosi di protezione. Sin dal Medioevo, nella Mitteleuropa (in particolare Francia, Belgio, Germania e Austria), la festa di san Valentino è diffusa al pari di quelle di san Nicola e san Martino.
Il tempo del fidanzamento
Cari fidanzati, l’amore si esprime con parole e gesti che segnano le tappe più significative della vita. Una di queste tappe è il tempo del fidanzamento. Questa parola viene dal verbo latino fidere che vuol dire aver fede, fidarsi, confidare. Fidanzare deriva dalla parola fidanza, fiducia, garanzia, rifacimento del francese antico fiance ‘promessa’ che originariamente significava “assumere un impegno”. Si tratta di un accordo fra due persone che decidono di scambiarsi il reciproco amore in vista di sposarsi e contrarre il matrimonio.
Di solito le parole sono accompagnate da un gesto rituale. Nel fidanzamento il gesto si esprime con l’offerta di un anello, la cui forma circolare, senza inizio e senza fine, è simbolo universale dell’eternità, della fedeltà e della perfezione dell’amore. La parola amore, poi, raccoglie una quantità di suggestioni che caratterizzano tutta la persona: emozioni, sentimenti, progetti, paure, speranze. L’amore ha dimensioni di infinito e apre ad una conoscenza sempre più profonda e mai completa.
L’amore vero deve crescere e diventare adulto nella totale libertà di ciascuno e deve aprirsi alla piena accoglienza dei reciproci sentimenti. Il dono totale di sé e la piena dedizione all’altro realizzano il segno della propria libertà e del “noi” di coppia, come una realtà unica e irrepetibile. Darsi e accogliere l’altro nell’unico dono realizza una vera comunione di vita. Condividere la vita dell’altro è dire “ti voglio bene anche se non sei perfetto”. L’amore è come il fuoco: se non si allarga si spegne. Pertanto, cari fidanzati, il vostro rapporto sarà più vero e fecondo se ricorderete sempre che vivere d’amore e nell’amore significa far risplendere l’immagine di Dio in noi. Dio, infatti, è amore (1Gv 4, 16).
L’amore è mistero che può trasformarsi in un dramma
L’amore è un mistero, ma può trasformarsi in un dramma. Infatti, «non esiste nulla che più dell’amore occupi sulla superficie della vita umana più spazio, e non esiste nulla che più dell’amore sia sconosciuto e misterioso. Divergenza tra quello che si trova sulla superficie e quello che è il mistero dell’amore — ecco la fonte del dramma. Questo è uno dei più grandi drammi dell’esistenza umana. La superficie dell’amore ha una sua corrente, corrente rapida, sfavillante, facile al mutamento. Caleidoscopio di onde e di situazioni così piene di fascino. Questa corrente diventa spesso tanto vorticosa da travolgere la gente, donne e uomini. Convinti che hanno toccato il settimo cielo dell’amore — non lo hanno sfiorato nemmeno. Sono felici un istante, quando credono di aver raggiunto i confini dell’esistenza, e di aver strappato tutti i veli, senza residui. Sì, infatti: sull’altra sponda non è rimasto niente, dopo il rapimento non rimane nulla, non c’è più nulla. Non può, non può finire così! Ascoltate, non può. L’uomo è un continuum, una integrità e continuità — dunque non può rimanere un niente»[1].
L’amore è una cosa meravigliosa, non un’avventura
Un famoso film e una altrettanto famosa canzone portano questo titolo: l’amore è una cosa meravigliosa. La canzone recita: «Si questo amore è splendido /è la cosa più preziosa che possa esistere / vive d’ombra e dalla luce tormento / e pure pace inferno e paradiso d’ogni cuor. / Si questo amore è splendido / come il sole più del sole tutti ci illumina / è qualcosa di reale che incatena i nostri cuor / amore meraviglioso amor».
L’amore, pertanto, afferma un testo di san Giovanni Paolo II «non è un’avventura. Prende sapore da un uomo intero. Ha il suo peso specifico. È il peso di tutto il tuo destino. Non può durare un solo momento. L’eternità dell’uomo passa attraverso l’amore. Ecco perché si ritrova nella dimensione di Dio — solo lui è Eternità. L’uomo si tuffa nel tempo. Dimenticare, dimenticare. Esistere solo un attimo, solo adesso — e recidersi dall’eternità. Prendere tutto in un momento e tutto subito perdere. Ah, maledizione dell’attimo che arriva dopo e di tutti gli attimi che lo seguono, nei quali cercherai sempre la strada per ritornare a quello già trascorso, per averlo di nuovo e, attraverso quell’attimo, tutto»[2].
Anche una canzone di Lucio Battisti, intitolata Un’avventura, contiene questi versi: «Non sarà un’avventura / non può essere soltanto una primavera, / questo amore non è una stella / che al mattino se ne va / Oh no no no no no no. / Non sarà un’avventura / questo amore è fatto solo di poesia / tu sei mia, tu sei mia / fino a quando gli occhi miei / avran luce per guardare gli occhi tuoi. / Innamorato sempre di più / in fondo all’anima per sempre tu, / perché non è una promessa / ma è quel che sarà / domani e sempre, sempre vivrà, / sempre vivrà, sempre vivrà, sempre vivrà. / No! Non sarà un’avventura, / un’avventura / non è un fuoco che col vento può morire / ma vivrà quanto il mondo / fino a quando gli occhi miei / avran luce per guardare gli occhi tuoi. / Innamorato sempre di più / in fondo all’anima per sempre tu, / perché non è una promessa / ma è quel che sarà, domani e sempre / sempre vivrà»[3].
L’amore è un prezioso ricamo!
Allora cos’è l’amore? A me piace pensare che sia un “prezioso ricamo”. La parola ricamo deriva dall’arabo raqm (racam) e significa “segno, disegno”. La caratteristica di questa raffinatissima arte sta nel fatto che i punti fondamentali (come il punto catenella, il punto erba, il punto asola, il punto rammento), siano rimasti invariati nel tempo e restano tutt’ora i punti essenziali del ricamo a mano. Il ricamo è un’arte creativa praticata sin dalla notte dei tempi, fino a qualche anno fa sembrava essere in declino, fortunatamente oggi sembra in ripresa. L’amore è disegnare un prezioso ricamo.
Nell’inno paolino alla carità, ritroviamo i fili per ricamare il vero amore: «La carità è paziente, / benevola è la carità; / non è invidiosa, / non si vanta, / non si gonfia d’orgoglio, / non manca di rispetto, / non cerca il proprio interesse, / non si adira, / non tiene conto del male ricevuto, / non gode dell’ingiustizia / ma si rallegra della verità. / Tutto scusa, / tutto crede, / tutto spera, / tutto sopporta. / L’amore non avrà mai fine» (1Cor 13,4-8)[4].
I fili del ricamo
Ci son alcuni fili che impediscono di realizzare un vero ricamo. L’amore rifiuta l’invidia (zelos) che ci porta a centrarci sul nostro io e ci impedisce di uscire da noi stessi. Il vero amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse e cerca di scoprire la propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro. Prova un sincero apprezzamento per gli altri, riconoscendo il diritto di tutti alla felicità.
Rifiuta la vanagloria (perpereuetai). Scaccia da sé l’ansia di mostrarsi superiore, evita di parlare troppo di sé stesso. Non è arrogante. Non si “gonfia d’orgoglio” (cfr. 1 Cor 4,18), ma si rende amabile (aschemonei) cioè non si sofferma a considerare i limiti dell’altro. Genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce una solida trama sociale, dice parole di incoraggiamento, che confortano, danno forza, consolano e stimolano. Non cerca il proprio interesse, ma quello degli altri (cfr. Fil 2,4).
Vi son altri fili che rendono possibile il ricamo. Innanzitutto il filo che rifiuta la violenza interiore (paroxynetai). Smorza l’aggressività. Guarda la trave nel proprio occhio, più che la pagliuzza che è nell’occhio dell’altro (cfr. Mt 7,5). Non tiene conto del male (logizetai to kakon). Non è rancoroso. Rende possibile il perdono, partendo dal presupposto che noi per primi siamo stati perdonati.
Soprattutto poi bisogna ricamare con il filo della pazienza (macrothymei), virtù che non si lascia guidare dagli impulsi ed evita di aggredire. Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Vuol dire, invece, non pretendere che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette. Quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà, allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere. Diventeremo antisociali, incapaci di dominare gli impulsi, e la vita famigliare si trasformerà in un campo di battaglia.
L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato. Un altro prezioso filo è la benevolenza (chresteuetai). Questa parola mette in chiaro che la “pazienza” non è un atteggiamento passivo, ma indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Benevolenza significa sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire. In questa prospettiva l’amore si rallegra con gli altri (chairei epi te adikia) e si compiace della verità (synchairei te aletheia). Tutto scusa (panta stegei), tutto crede (panta pisteuei), tutto spera (panta elpizei), tutto sopporta (panta hypomenei).
Cari fidanzati, buona festa di san Valentino. Ricamate con arte e sapienza il vostro progetto d’amore.
[1] A. Jawień (pseudonimo di Karol Wojtyła), La bottega dell’orefice, II. Lo Sposo, 3, I (ADAMO), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1979.
[2] Ivi, 3, IV (ADAMO).
[3] Il brano parla di due ragazzi che s’innamorano e sono sicuri che non sarà un sentimento passeggero, ma la storia della loro vita. La portò anche sul palco di Sanremo nel 1969, per la sua prima e unica apparizione al festival. La canzone è un inno all’amore infinito. Il testo del brano è costituito dalla risposta del protagonista ad un suo amico, che si immagina fuori campo. L’amico, pietosamente, gli ha riferito il comportamento della sua ragazza, che lo ha tradito con un altro uomo, ma nonostante indizi gravi e concordanti, il protagonista si ostina a voler credere alla fedeltà della sua Francesca.
[4] Riassumo le riflessioni contenute in Francesco, Amoris laetitia, 90-119.
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