Omelia nella Messa esequiale di Biagio Raona
chiesa san Biagio, Corsano, 18 ottobre 2024
Caro Biagio,
ci hai lasciato così: all’improvviso, di notte, in modo inatteso e furtivo. La tua morte è giunta come un fulmine a ciel sereno e ha ingenerato sgomento e incredulità.
Il dolore della famiglia e di un intero paese
Un dolore lancinante ha riempito i cuori di tua moglie Dora, dei tuoi figli, Pierluigi, Angela, Edoardo, dei tuoi familiari. Eri il loro punto di riferimento in quanto sposo amabile e padre affettuoso. Dopo la laurea all’Università La Sapienza di Roma, ti sei preso cura della tua famiglia e hai esercitato con passione la tua attività a Corsano e a Gagliano del Capo, riconosciuto da tutti come un valente professionista.
La triste notizia è apparsa quasi inverosimile anche agli amministratori comunali di Corsano, ai sacerdoti e ai cittadini. Io stesso, sono stato preso da un moto di incredulità. All’inizio di settembre, in occasione della presentazione di un mio libro in piazza santa Teresa, nonostante i tuoi impegni non avevi mancato di essere presente e di portare il tuo saluto non solo in quanto Sindaco, ma come sincero amico per il nostro legame di reciproca stima.
Per tanti anni, caro Biagio, ti sei preso cura della cosa pubblica. Il tuo impegno politico è cominciato nel 1997. Tra maggioranza e opposizione sei stato in amministrazione dal 2001. Da allora, hai sempre continuato a sedere in Consiglio Comunale, ricoprendo per ben tre volte la fascia tricolore, segnatamente dal 2004 al 2009, dal 2019 allo scorso giugno, quando sei stato riconfermato con un largo consenso.
Apprezzato da tutti per il tuo carattere deciso e il tuo stile chiaro e trasparente, sei stato capace di interloquire trasversalmente, guidando con frutto il Consiglio Comunale grazie alla tua lealtà nelle relazioni interpersonali, alla tua provata capacità amministrativa e al tuo indiscutibile carisma personale. Lasci una ricca serie di progetti realizzati e attività sociali da promuovere. Il tuo ultimo obiettivo amministrativo è stato quello di valorizzare il centro storico corsanese e il Palazzo Baronale che hai acquisito al patrimonio pubblico, dopo un complesso iter amministrativo.
Penso che in questo momento vorresti fare tue le parole di Sammy Basso e confessare pubblicamente davanti a tutti: «Ogni volta che pensavo a come sarebbe stato il mio funerale, ci sono sempre state due cose che non sopportavo: il non poter esserci e dire le ultime cose, e il fatto di non poter consolare chi mi è caro […]. Se c’è una cosa di cui non mi sono mai pentito, è quello di avere amato tante persone nella mia vita, e tanto».
Lo dico, in modo particolare, a voi miei familiari: «Non mi pento di aver amato te, cara Dora e voi cari figli, Pierluigi, Angela, Edoardo. Non mi pento di aver amato te, caro piccolo Filippo, e voi nipoti ancora in arrivo. Mi dispiace solo di non potervi ancora abbracciare. Mi dispiace, cari nipoti, che non potrete vedere e conoscere il nonno. Grazie per il vostro amore. Grazie, cari concittadini di Corsano. Vi aspetto tutti in paradiso».
La consolazione e l’ammonimento della Parola di Dio
Caro Biagio, mentre ti diamo l’estremo saluto, vogliamo riflettere sulle parole di consolazione, di esortazione e di ammonimento risuonate in questa liturgia esequiale.
La prima lettura esprime la certezza che «le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà» (Sap 3,1). Siamo tutti nelle mani di Dio. Il profeta Isaia, con una felice espressione di rara bellezza, afferma che siamo disegnati, scolpiti, incisi come una semplice lineetta sul palmo della mano di Dio Padre (Is 49,16); un Dio paterno e materno, che conosce tenerezza e usa misericordia, che ci tiene sempre sotto gli occhi e si prende personalmente cura di noi.
Sono mani piagate per amore che ci toccano e ci accarezzano come quelle di un padre e di una madre. Sono come le mani di un esperto artigiano da cui siamo stati modellati e di un maestro che ci guida sulla strada della vita, non della morte. Sono mani sicure che sostengono la nostra costitutiva fragilità, ci sostengono durante i rischi e i pericoli e ci aprono la porta dell’amore.
Cari fratelli e sorelle, affidiamoci alla forza di queste mani divine e consegniamo il nostro fratello Biagio, sicuri che troverà protezione, conforto e benevolenza. Quelle mani divine apriranno la porta del cielo perché egli entri nella casa dei santi, dimora di luce e di gioia. Nessuna notte è così lunga da far dimenticare la gioia dell’aurora. Anzi, quanto più oscura è la notte, tanto più vicina è l’aurora.
La certezza della «speranza piena di immortalità» (Sap 3,4) si salda con l’accorato appello del Vangelo: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24,42-44).
Il brano evangelico propone un’esortazione con tre imperativi: “vegliate”, “cercate di capire” (lett.: “sappiate”), “siate pronti”. Non c’è scampo alla nostra ignoranza. Non conosciamo l’ora della venuta del Signore e della nostra morte. È segno di sapienza tenere gli occhi ben aperti, essere svegli, non distrarsi. E soprattutto mantenere vigile l’attenzione e cercare di essere pronti. Il Figlio dell’uomo, infatti, verrà di notte, come un ladro (cfr. Mt 24,43; 1Ts 5,2; Ap 3,3; 16,15).
La notte è simbolo dei nostri momenti bui, di tenebre interiori e storiche, personali e comunitarie, civili ed ecclesiali. È il tempo in cui occorre tenere gli occhi ben aperti, senza lasciarsi sopraffare dal sonno o dalla pesantezza del corpo e dell’anima. Occorre abitare la notte, vigilare con lo sguardo spirituale, lottando contro ogni forma di pigrizia. Se l’ora è incerta, la venuta del Signore è sicura.
Vegliare è, dunque, l’atteggiamento giusto da tenere. Vigilare è lo spazio vitale per l’esercizio della fede, della speranza e della carità; la tensione interiore per discernere la presenza del Signore, l’apertura radicale alla sua venuta; la luce che giudica e orienta il nostro modo di vivere il tempo. I fatti quotidiani, le consuete abitudini e i gesti ripetuti necessitano di essere illuminati e vivificati per non divenire la tomba del nostro vivere, facendoci cadere nell’inerzia e nell’insignificanza.
La vigilanza è la matrice di ogni virtù cristiana, il fondamento che dà unità alla fede. Un padre del deserto afferma: «Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante» (abba Poemen). E Basilio di Cesarea conferma: «È proprio del cristiano vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che all’ora che non pensiamo il Signore viene». Allora l’attesa della morte non sarà disperata, ma sarà vissuta alla luce del Signore che viene.
Tenersi pronti vuol dire cercare di ravvivare ogni giorno il desiderio della venuta del Signore. Egli viene sempre. È «colui che è, che era e che viene» (Ap 1,8), “il Veniente” per antonomasia. Viene nella quotidianità per convertire il nostro cuore, illuminarlo e colmarlo di speranza. Viene alla fine della nostra vita per avvolgerci nel suo amorevole abbraccio. Verrà nella pienezza dei tempi per esprimere un giudizio d’amore su tutto ciò che esiste.
Esortazione alla vigilanza
Vigiliamo, dunque, cari fratelli e sorelle! Noi che siamo travolti dal quotidiano, dall’abitudine, dalle cose da fare. Noi che siamo stressati, inquieti, iperattivi e frenetici, connessi con i social, ma smarriti e soli: vigiliamo! Certo, la vigilanza richiede sforzo, esige una scelta, pretende un cambiamento, seppur minimo. Ma è una virtù necessaria perché quando Dio busserà alla nostra porta ci trovi pronti ad accoglierlo e a seguirlo.
Cerchiamo di essere come le sentinelle nella notte, con gli occhi vigili in mezzo alle tenebre del mondo. Rimaniamo in attesa del Signore che viene e verrà. Fermiamoci sulla soglia della nostra casa e rimaniamo in attesa come quando si aspetta una persona cara che dovrebbe arrivare entro poco tempo. L’attesa prepara il futuro intervenendo nel presente e trasforma il presente in un mondo d’amore. La vita non è altro se non l’attesa dell’amato, come la sposa desiderosa di abbracciare lo sposo. Così scrive san Giovanni della Croce: «L’Amato… / come notte calma / molto vicino al sorger dell’aurora, / musica silenziosa, / solitudine sonora, / cena che ristora e che innamora»[1].
Riposa per sempre, caro Biagio, tra le braccia di Cristo Signore, tuo e nostro divino Amore.
[1] Giovanni della Croce, Cantico spirituale, strofa 15.
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