Omelia nella festa di san Vito, martire – Patrono della città di Tricase
chiesa Natività B.V.M., Tricase, 15 giugno 2024.
Cari fratelli e sorelle,
la festa di san Vito, patrono di Tricase, giunge con un suo benefico effetto: coinvolgere l’intera comunità ecclesiale e civile in un tempo e in un avvenimento che riunisce tutti come una sola famiglia. La festa, infatti, risponde al desiderio e alla necessità vitale dell’uomo di dare spazio alla spiritualità e alla socialità, attraverso manifestazioni di gioia e di giubilo, interrompendo la monotonia ripetizione delle occupazioni quotidiane e superando, almeno per un po’, la preoccupazione di lavorare per ottenere un guadagno. Prevale il senso della fraternità e della gratuità. Si fa strada, nel flusso della storia, l’orientamento verso l’ultimo orizzonte. Si apre il cielo e si intravede l’ultima a dimora. Il tempo si arrotola e si squarcia il velo che copre l’eternità. Non senza ragione il Direttorio su pietà popolare e liturgia afferma: «La festa è partecipazione dell’uomo alla signoria di Dio sulla creazione e al suo “riposo” attivo, non ozio sterile; è manifestazione di gioia semplice e comunicabile, non sete smisurata di piacere egoistico; è espressione di vera libertà, non ricerca di forme di divertimento ambiguo, che creano nuove e sottili forme di schiavitù»[1].
Il valore della rappresentazione iconografica
La memoria liturgica di san Vito mette in evidenza tre aspetti: il martirio, la giovinezza, la forza risanatrice. Si tratta di tre valori che coinvolgono tutti, ma che acquistano un significato particolare in riferimento ai giovani. San Vito è un santo giovane per i giovani. Egli mette in primo piano il valore e la bellezza della giovinezza. Non per nulla l’immagine iconografica di san Vito lo rappresenta sempre come un giovane, o come un ragazzo, o addirittura come un bambino. Mai come adulto. Si tratta, dunque, di un santo giovane non solo perché morto in età giovanile, ma soprattutto perché presenta la vita cristiana nella sua dimensione giovanile. Ciò che conta non è l’aspetto cronologico, ma la disposizione a imitare Cristo. San Vito, fedele esempio di ogni discepolo di Cristo, rimane giovane perché Cristo è l’emblema della vera giovinezza. Così scrive papa Francesco: «Cristo è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita»[2]. Cristo è, dunque, la perfetta rappresentazione della giovinezza. La sua forma si riproduce in colui che si mette alla sua sequela e diventa suo discepolo.
Inoltre, la raffigurazione iconografica sottolinea che l’adesione a Cristo di san Vito è stata totale fino al dono della vita. Per questo viene raffigurato come soldato romano con la palma del martirio, simbolo di gloria, e la croce, simbolo della sua fede incrollabile. Si evidenza così la perfetta corrispondenza tra il maestro e il discepolo. San Vito è la copia perfetta dell’umanità di Cristo e il modello di santità giovanile a cui i giovani dovrebbero ispirarsi.
Più controversa è la spiegazione riguardante la presenza di uno o due cani, un elemento esclusivo dell’iconografia italiana. Secondo una tradizione, Diocleziano avrebbe inviato contro un cane arrabbiato. San Vito, quando lo ebbe davanti, lo addomesticò. Per qualche altro studioso, invece, questa spiegazione sarebbe riduttiva e non coglierebbe la reale e più complessa relazione simbolica tra il cane e la figura del martire lucano. La sua origine sarebbe da ricercare in alcuni elementi tipici della cultura del mondo italico e mediterraneo in genere con riferimento a usi e credenze legate al mondo agricolo.
La spiegazione si fonda sul significato del dies natalis di san Vito: il 15 giugno. Questa data precede immediatamente l’estate il cui arrivo era segnato, nel mondo mediterraneo, dal sorgere delle stelle di Sirio e della costellazione del cane di cui essa fa parte. Soprattutto si riferisce al cane maggiore, la cui comparsa rappresentava un momento pericoloso e pieno d’insidie per l’esistenza. Ad essa si connettevano prodigi e portenti di varia natura. Siccome la canicola, con tutti i suoi atavici significati, arrivava minacciosa per l’estate e il “guardiano” dell’estate era san Vito, festeggiato il 15 giugno, il pensiero medievale non trovò difficoltà a stabilire una correlazione tra questi due fatti, e così il cane divenne simbolo del santo il quale tiene l’animale saldamente al guinzaglio e diventa garante dell’abbondanza del raccolto.
Infine, c’è chi spiega la presenza dei cani per il valore della fedeltà che essi rappresentano. In tal modo, essi raffigurano la fedeltà del giovane Vito a Cristo e ai suoi due compagni, Modesto e Crescenza, che lo avevano introdotto nella conoscenza del messaggio evangelico.
Il valore dell’esemplarità della vita
Se poi passiamo dalla dimensione iconografica a quella storica occorre ricordare che, secondo la tradizione, Vito era figlio di un senatore romano di nome Hylas e che la sua nutrice, Crescenzia, e il suo tutore, Modesto, lo convertirono al cristianesimo. Quando suo padre scoprì la sua fede, sottopose il figlio a diverse torture. Questi però rimase incrollabile nella sua fede. Miracolosamente sopravvisse a molte prove, aumentando la sua reputazione di santo protettore.
Brillano nella giovane esistenza di san Vito tre virtù: la fortezza, la fiducia e il suo potere di risanare e di rinvigorire. È, infatti, uno dei quattordici santi ausiliatori[3]. È invocato contro le malattie nervose, in particolare l’epilessia, l’insonnia (o l’eccessivo bisogno di sonno), le ossessioni demoniache e la corea, disturbo neurologico che provoca movimenti incontrollabili, detto popolarmente “ballo di san Vito”.
La giovinezza si caratterizza come tempo di sogni e di scelte, ma anche di desideri, ferite e ricerche. Da tempo la condizione delle nuove generazioni è all’attenzione pubblica e continua a suscitare ampio interesse, spesso misto a preoccupazione, Le analisi sociali sottolineano che i giovani oggi vivono in un mondo in crisi. In questo frangente storico, le preoccupazioni maggiori, derivano dal non trovarsi con solide basi su cui costruire le fondamenta del proprio futuro. Le società moderne avanzate sono caratterizzate da un notevole aumento della rapidità del cambiamento e da un elevato grado di complessità e specializzazione. Sempre più complicato è trovare la propria strada. Il percorso di transizione alla vita adulta appare simile a un labirinto nel quale è facile trovarsi disorientati ed è alto il rischio di girare a vuoto.
I giovani appaiono senza radici, spaesati, orfani. Non solo per le crisi esistenziali che caratterizzano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui[4]. Il disagio giovanile più che un’origine psicologa è di natura culturale. La negatività che il nichilismo diffonde non investe la sofferenza che, con gradazioni diverse, accompagna ogni esistenza, ma più radicalmente manifesta la sottile percezione dell’insensatezza del proprio esistere. Molti di loro cercano di trovare sollievo nel divertimento fine a sé stesso, nella fuga dalla propria intimità, per annegare nella droga, soprattutto nel fentanyl, la cosiddetta droga degli zombie, perché trasforma gli assuntori in mostri che camminano.
Le analisi confermano quanto sia importante assumere lo sguardo dei giovani e cercare di vedere la realtà in trasformazione con i loro occhi per capire le sfide che si trovano davanti e per dotarli di strumenti efficaci per vincerle offrendo il meglio di sé. Assolutamente importante è l’accompagnamento da parte degli adulti. «I giovani – afferma Papa Francesco hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, ma hanno bisogno anche di essere accompagnati. La famiglia dovrebbe essere il primo spazio di accompagnamento»[5]. Ma anche la comunità svolge un ruolo molto importante. La comunità intera «deve sentirsi responsabile di accoglierli, motivarli, incoraggiarli e stimolarli. Ciò implica che i giovani siano guardati con comprensione, stima e affetto, e che non li si giudichi continuamente o si esiga da loro una perfezione che non corrisponde alla loro età»[6].
La celebrazione odierna sia l’occasione per rinnovare la responsabilità di tutti a prendersi cura dei giovani e ad aiutarli nel loro cammino di crescita integrale, umana e cristiana, personale e sociale.
[1] Dicastro per il culto divino e la disciplina die sacramenti, Direttorio su pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti, 233.
[2] Francesco, Christus vivit, 1.
[3] Secondo la tradizione essi sono: Acacio (III sec. -304) per l’emicrania e nel momento dell’agonia; Biagio (III sec. -316) per la gola; Ciriaco (IV sec.) per le ossessioni diaboliche; Cristoforo (III sec.) per la peste, gli uragani; Dionigi (III sec.) per i dolori alla testa; Egidio (VII sec. -710) per febbre, panico e pazzia; Erasmo III sec. -303) per le epidemie e i dolori addominali; Giorgio (275-303) per le infezioni della pelle; Pantaleone (275-305) contro l’astenia; Vito (III sec.) contro l’epilessia; Eustachio (I sec. -II sec.) per le ustioni; Barbara (III secolo) contro la morte improvvisa e i fulmini; Caterina (III sec. – IVsec.) per le malattie della lingua; Margherita (o Marina; 275-290) per problemi del parto.
[4] Cfr. U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano, 2008.
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