Articolo del Vescovo apparso in “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”,
domenica di Pasqua, 17 aprile 2022, pp.  1 e 27.

Con la sapiente ingenuità del poeta, Gianni Rodari, in “Dopo la pioggia”, scrive questi versi: «Non sarebbe più conveniente / il temporale non farlo per niente? Un arcobaleno senza tempesta / questa sì che sarebbe festa. / Sarebbe una festa per tutta la terra / fare la pace prima della guerra».

Bisogna però fare i conti con la dura realtà della storia: le guerre sembrano una fatalità necessaria, anche se tutti vorrebbero vivere in pace. La cultura romana, fuori da ogni velleitario idealismo, ha riconosciuto che la guerra è inevitabile. Pertanto, se si vuole la pace, occorre preparare la guerra («si vis pacem, para bellum»). 

Questa famosa espressione latina dello scrittore romano Vegezio[1] è ripetuta da Cornelio Nepote[2] e da Cicerone[3] e probabilmente l’idea è presente anche in un passo delle “Leggi” di Platone[4]. Con il rovesciamento dell’assioma, il segretario particolare di Napoleone Bonaparte, nelle sue Memorie, scrive: «Se Bonaparte avesse parlato il latino, ne avrebbe invertito il senso e avrebbe detto: «Si vis bellum para pacem» («Se vuoi la guerra prepara la pace»)[5]. Insomma, la guerra è inevitabile e la pace è solo un intermezzo tra due guerre.

Il mezzo più efficace per assicurare la pace consiste nell’armarsi per essere in grado di difendersi. Questa concezione ha assunto il nome di deterrenza o dell’ossimoro “pace armata”. Si sostiene, infatti, che sono proprio coloro che combattono a comprendere meglio e ad apprezzare maggiormente la pace. D’altra parte, tatticamente, la guerra serve a tenere unito il popolo, perché il «metus hostilis», come lo definiva lo storico romano Sallustio[6], ossia il timore di un nemico vero o presunto, interno o esterno, è una potente leva per governare e mantenere intatto il proprio potere. 

Di tutt’altro segno è l’espressione: «Se vuoi la pace, prepara la pace». Essa innanzitutto mette a nudo la triste realtà della guerra, anche se talvolta viene presentata con un linguaggio ingannevole e menzognero, come attesta lo storico romano Publio Cornelio Tacito, quando mette sulla bocca di Calgaco, la seguente espressione: «Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace»[7].

La pace si fonda su una verità di ragione e di fede. Ragionando laicamente, bisogna dire che la dottrina della deterrenza mostra in modo evidente i suoi limiti, in presenza del pericolo atomico. Conseguentemente occorrerebbe porre fine alle spese militari che solo nel 2020 hanno raggiunto nel mondo la quota monstre di 1.980 miliardi di dollari! Come si può pensare che la corsa agli armamenti, anche atomici, possa impedire che la guerra scoppi in qualche parte nel mondo? O forse si deve ingenuamente ritenere che le armi servano solo per essere tenute in bella mostra in qualche arsenale militare? 

Ragionando cristianamente, si deve mettere in evidenza che pace è la prima parola che Cristo pronuncia dopo la sua risurrezione (cfr. Gv 20,19-20). Questo evento segna l’avvento di un’umanità nuova, liberata dalla morte, dal peccato e dal Maligno, il vero nemico dell’umanità. Guardando la storia con gli occhi di Cristo risorto, si scorge l’inizio di una “eutopia di pace”, un pellegrinaggio della pace che esige un profondo rinnovamento del cuore, frutto della grazia e della responsabilità dell’uomo. 

Mi sembra già di avvertire il sorriso beffardo di chi è pronto a dire: «Belle parole, ma la realtà è diversa!». Sì, la realtà è diversa e non cambierà se non vogliamo. Non bisogna, infatti, dimenticare che accanto ai “guerrieri bellicosi” sempre pronti a giocare alla guerra, per lo più sacrificando persone inermi, donne, vecchi e bambini, ci sono stati, ci sono e ci saranno molti uomini e donne di ogni latitudine, appartenenti a differenti visioni culturali e religiose, che agiscono come veri “angeli di pace”.  

Per questo i Papi, a partire dal 1968 fino ai nostri giorni, hanno proposto un’articolata riflessione, indicando ogni anno un tema particolare per celebrare la giornata mondiale della pace. Siamo così di fronte a vari capitoli di una vera e propria “scienza della pace”, a un “sillabario della pace” dove i vari aspetti del “prisma” sono abbondantemente illustrati, avendo come punto di riferimento concreto i valori della fraternità, della non-violenza e della neutralità attiva. 

Prendendo fior da fiore, nel 1973, Paolo VI affermò che «la pace è possibile», anzi è doverosa. Essa si costruisce attorno a quattro pilastri, indicati da san Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris”: verità, giustizia, amore e libertà. L’osservanza dei patti (pacta sunt servanda) e il rispetto del diritto internazionale sono il fondamento giuridico per dare stabilità alla pace, a meno che non si voglia tornare alla legge della giungla. In questo caso, lo scenario sarebbe molto simile a quanto si va prospettando in questi giorni: allo scempio dei morti e delle devastazioni, si va verso l’instabilità e la mancanza di un ordine mondiale condiviso, con la conseguenza di creare un maggiore impoverimento di molti Paesi poveri e di aumentare la fame nel mondo. 

Pertanto, come proposto da san Giovanni Paolo II (1979) e Benedetto XVI (2021), occorre educare le nuove generazioni all’ideale della pace e, con Papa Francesco, a riscoprire la fraternità come il fondamento e la via per la pace (2014). Il racconto di Caino e Abele (cfr. Gen 4, 1-16) insegna che, nella profondità dell’essere umano, è scritta in modo indelebile la vocazione alla fraternità. Purtroppo c’è anche la drammatica possibilità del suo tradimento. Se, infatti, Caino si fosse considerato non solo “custode” di Abele (cfr. Gen 4, 9), ma anche “fratello di suo fratello” non avrebbe impugnato le armi contro di lui. Quando il volto del fratello si dissolve e si trasforma in quello dell’estraneo o, addirittura, del nemico, allora la pace scompare e la guerra è già dichiarata nel cuore, prima ancora di essere intrapresa con le armi. Con la sua risurrezione, Cristo ha ridonato agli uomini lo “spirito di figliolanza e di fraternità”, quale inizio di una nuova umanità, già presente e operante nel mondo.  


[1] «Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum», (Vegezio, Epitoma rei militaris)

[2] Cfr. Cornelio Nepote, Epaminonda, 5, 4.

[3] «Si pace frui volumus, bellum gerendum est» (Cicerone, Philippicae, VII, 6,19).

[4] Platone, Leggi, 1.628c9–e.1.

[5] Louis Antoine Fauvelet De BourrienneMémoires de M. de Bourrienne, ministre d’état, sur Napoléon, vol. 4, Parigi, Ladvocat, 1830, p. 84.

[6] Sallustio, La guerra di Giugurta, 41, 2.

[7]  «Desertum fecerunt et pacem appellaverunt», (Tacito, Agricola, 30).

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