Omelia nella Messa per l’immissione canonica di don Andrea Agosto
Parrocchia Sant’Andrea Apostolo, Salignano, 16 settembre 2023.
Caro don Andrea,
cari fratelli e sorelle,
al centro di questa liturgia c’è lo stesso Signore Gesù che, attraverso la persona del Vescovo, affida a don Andrea la guida di questa comunità parrocchiale. Il breve, ma inteso tempo trascorso dalla nomina ad amministratore parrocchiale ha già creato un clima di sentita relazione interpersonale e un fecondo cammino pastorale. Con la nomina a parroco, la comunità è chiamata a intensificare la collaborazione e la corresponsabilità di tutti.
Gesù è la porta e il pastore
Bisogna però che tutti ricordiate quanto afferma sant’Agostino: «Il Signore Gesù Cristo è la porta e il pastore. Le prerogative di pastore le ha comunicate anche alle sue membra e così sono pastori Pietro, Paolo, tutti gli altri apostoli e tutti i buoni vescovi. Nessuno di noi, però, osa dire di essere la porta. Solo Cristo si è riservato di essere la porta per la quale devono entrare le pecore»[1].
Questa precisazione ha un profondo significato per la vostra vita personale e comunitaria. Spesso avete lamentato che si sono succeduti diversi parroci anche a distanza di poco tempo. Certo, questo è accaduto non per ostacolare il cammino della comunità, ma per circostanze particolari spesso indipendenti dalla volontà dei Vescovi, ma necessitati da una serie di fattori relativi alla organizzazione pastorale dell’intera diocesi. Con la nomina di don Andrea, è assicurata quella continuità che è mancata in passato.
Bisogna però ricordare che è Gesù risorto il vero compagno di viaggio dei singoli e dell’intera comunità. Più avvertiamo la sua presenza, più arde in noi la fiamma del suo amore. Anche nelle nostre relazioni umane, quando sentiamo di voler bene a qualcuno, cerchiamo di entrare nella sua vita, per sapere tutto di lui; desideriamo varcare la soglia del suo cuore per scrutare i suoi sentimenti e le sue intenzioni. Si ama veramente solo quando si attraversa la porta del cuore della persona amata e lì, in quella nuova condizione, ci si impegna a rimanere fedeli per sempre.
Il Signore è la porta e il pastore delle pecore della nostra vita personale e comunitaria. In quanto pastore, egli è presente in tutti i pastori e, attraverso di essi, guida il suo gregge. Anche se i pastori si avvicendano, è sempre lui a camminare davanti e a indicare il cammino da seguire. Nella voce di tutti i pastori risuona sempre la sua voce. Egli chiama per nome, conosce luci e ombre di ogni vicenda umana, saggia gli ideali che entusiasmano e le disillusioni che gettano nello sconforto. Penetra nell’intimo di ognuno. Scruta ogni pensiero. Apre una breccia per confondersi con i battiti del cuore dell’uomo.
A noi tocca ascoltarlo e seguirlo docilmente. Ogni cristiano, nella peculiarità del suo stato di vita, è chiamato a compiere lo stesso percorso: essere in ascolto della voce inconfondibile del Maestro; seguire e incarnare la sua parola, conoscere più profondamente la sua persona, sperimentando il suo amore e la sua fedeltà. Pertanto non siamo mai lasciati soli o abbandonati a noi stessi. Né il cambiamento delle figure storiche dei pastori dovrebbe turbare la relazione fondamentale con l’unico pastore.
D’altra parte, come diceva sant’Agostino nella frase sopra riportata, solo lui è la porta. L’immagine della porta ha una forte valenza simbolica e antropologica: è immagine di chiusura e apertura, di intimità e di relazione, di protezione e di esposizione. Attraverso di essa si entra e si esce. Entrare e uscire è una tipica formula semitica che indica la totalità della vita umana: dall’uscita dal seno materno, all’uscire ed entrare in casa, fino all’uscita definitiva con la morte. Il simbolo della porta applicato a Cristo indica dunque il compito del cristiano che deve necessariamente passare attraverso di lui. La mobilità della porta rappresenta un limite che non imprigiona, ma è a servizio della libertà sia quando protegge l’intimità della persona sia quando la apre alle relazioni con l’esterno.
Piccolo gregge
La vostra è una piccola comunità, un “piccolo gregge”. Questo aspetto, che potrebbe essere considerato un aspetto sfavorevole, nasconde una condizione positiva. In fondo, anche Gesù ha cominciato con un piccolo numero di discepoli: una dozzina di uomini e alcune donne che lo hanno seguito. A loro, come a voi, egli rivolge l’invito a non temere[2].
Questa espressione ricorre frequentemente nella Scrittura ed è diretta a coloro che sono chiamati a un compito particolare: Abramo (cf. Gen 15,1), Giosuè (cf. Gs 8,1), Gedeone (cf. Gdc 6,23), Davide (cf. 1Sam23,17). Anche nel Nuovo Testamento l’esortazione ricorre con una certa frequenza, rivolta a Maria, a Pietro, a Giairo e a Paolo.
Anche a voi Gesù sembra quasi dire: «Non abbiate paura, piccola realtà, minoranza debole e visibilmente fragile, senza appoggi nel mondo, realtà poco appariscente perché siete circondati dalla tenerezza di Dio» (cf. Lc 12,32). Il gregge di Gesù, pur nella sua piccolezza, deve ricordare che si può andare dietro di lui solo portando la croce. È il criterio che lui stesso ha fissato ed è il motivo per cui egli nutre verso i suoi seguaci una grande tenerezza. Il Padre ha molta stima del gregge di Cristo e assicura il dono del Regno.
Lo stile di vita del “piccolo gregge” è caratterizzato dalla vigilanza e dalla responsabilità. Quanto più lunga si fa l’attesa e incerta l’ora dell’arrivo, tanto più è necessaria la vigilanza perseverante. Alla fine i servi sono dichiarati “beati” perché il Signore li trova pronti ad attenderlo. Per questo egli stesso si mette a servirli (cf. Lc 22,27). I cristiani sono servi in attesa del Signore che viene. Per servire occorre cingersi la veste ai fianchi, tenere le lampade accese, ascoltare quando bussa alla porta e aprirgli al suo arrivo.
Tutti i discepoli devono vigilare. C’è però chi è più responsabile degli altri perché nella comunità ha il compito preciso dell’oikonómos, cioè di colui che è chiamato a svolgere il suo servizio nello spezzare il pane della parola e il pane eucaristico. Lui è il primo responsabile di questo cibo spirituale. Spetta a lui la cura spirituale e materiale dei fratelli, compito che deve svolgere in quanto servo affidabile (pistós), intelligente, sapiente (phrónimos). Per questo non deve porsi al centro della vita comunitaria, affermare se stesso e non far crescere gli altri, ma condividere ogni cosa con i fratelli e organizzare il consenso intorno a Cristo. Allora la comunità sarà vigile e responsabile e andrà con gioia incontro al Signore e ai fratelli più poveri e bisognosi.
Don Andrea si è già è posto in mezzo a voi con questo stile di ascolto e di servizio. Subito c’è stato un risveglio del senso di comunità. Soprattutto si è radunato intorno a lui un gruppo di giovani che hanno ripreso la partecipazione alla vita della comunità. Ho saluto con gioia quanto è accaduto in questi mesi. Incoraggio a continuare sulla strada intrapresa. Esorto però tutti a non chiudersi nell’ambito parrocchiale, ma ad aprirsi a tutte le espressioni della vita diocesana. Non basta stare bene insieme nella piccola realtà della vostra parrocchia, occorre respirare a pieni polmoni e partecipare attivamente alle iniziative pastorali messe in atto dagli Uffici diocesani. Esorto soprattutto i ragazzi e i giovani a vivere il loro cammino di amicizia e di fraternità allargando gli orizzonti. Sarà per loro un ulteriore motivo per accresce e rinsaldare la loro esperienza di fede. Questa si caratterizza per alcune dimensioni fondamentali.
Comunità eucaristica
Occorre innanzitutto che ridiate centralità alla domenica, giorno del Signore, della Chiesa e dell’uomo. La celebrazione eucaristica domenicale deve essere la sorgente, il cuore e il vertice della vita parrocchiale. Essa fonda e genera la vita cristiana, ha un forte valore antropologico e stimola lo slancio missionario. Per questo deve essere curata e vissuta secondo verità e bellezza.
Cristo si rende presente in modo speciale nella liturgia, associando a sé la Chiesa. Pertanto, ogni celebrazione liturgica è opera di Cristo e del suo Corpo mistico, nel quale si pregusta la liturgia della Gerusalemme celeste. La liturgia «è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù»[3].
D’atra parte, essa non si limita all’ambito intra- ecclesiale, ma si apre all’orizzonte dell’intera umanità. Cristo unisce a sé tutta la comunità degli uomini. La Messa è sempre celebrata sull’altare del mondo. Il rito liturgicoassume un respiro cosmico e universale, segnando in modo profondo il tempo e lo spazio. In questa prospettiva, si comprende la particolare attenzione che si deve prestare all’anno liturgico, cammino attraverso il quale la Chiesa fa memoria del mistero pasquale di Cristo e lo rivive.
La liturgia eucaristia è soprattutto una preghiera di lode e di rendimento di grazie per la magnificenza delle opere di Dio e per la grandezza del suo amore. Per questo il salmista esclama: «È bello dar lode al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo» (Sal 91,2). Non si tratta di un atteggiamento emotivo e sentimentale, ma di una fonte di grazia e di luce che ci rinnova e ci fa veri adoratori in Spirito e Verità, figli adottivi che gridano: «Abba, Padre!» (Rm 8,15). Intonate allora il vostro inno di lode con Maria, la creatura che ha saputo cantare in modo sublime la grandezza delle opere del Signore.
Comunità fraterna
L’essere un piccolo gregge è un aiuto a vivere la vita fraterna in comunità. Essa è annuncio e provocazione. Interpella profondamente ogni fedele in quanto segno liberante della presenza del Risorto. La vita in comunità diventa così la prima scuola dove imparare a mettere in pratica il comandamento dell’amore, con un esercizio costante della carità, della pazienza, della mitezza. La parrocchia non esclude nessuno, ma rimane aperta tutti: impegnati o dubbiosi, buoni o cattivi, obbedienti o critici, assidui o lontani. Essa cerca di raccogliere tutti per vivere insieme l’esperienza di fede.
Sono, infatti, le relazioni a sostenere la vita parrocchiale. La vita di comunità è il luogo più propizio per intessere relazioni fraterne e affidabili e sviluppare sentimenti di prossimità, accoglienza, solidarietà, condivisione, stando sempre dalla parte dei poveri e delle persone più fragili e più bisognose. Per questo occorre coinvolgere tutta la comunità, ciascuno secondo le proprie e differenti responsabilità. Costruire fraternità è un processo in costante divenire e comporta la quotidiana fatica di coltivare la comunione a tutti i livelli. L’attuazione piena della fraternità cristiana ha una dimensione escatologica, in quanto è un’anticipazione della vita eterna.
Comunità missionaria
Bisogna infine ricordare che, nel nostro tempo, la fede non è più un dato scontato. Per questo la parrocchia deve essere una casa accogliente delle domande e delle attese degli uomini per offrire a tutti una coraggiosa testimonianza e un annuncio credibile della verità che è Cristo. Occorre ritrovare unità attorno all’Eucaristia e rinnovare l’iniziazione dei fanciulli coinvolgendo maggiormente le famiglie; per i giovani, bisogna proporre nuovi e praticabili itinerari per la ripresa della vita cristiana; per gli adulti, è necessario far interagire la vita di fede con le dimensioni degli affetti, del lavoro e del riposo. Occorre in particolare riconoscere il ruolo germinale che hanno le famiglie, sostenendole nell’attesa dei figli, nella responsabilità educativa, nella preparazione al matrimonio, nei momenti di sofferenza.
Bisogna inoltre continuare ad assicurare la dimensione popolare della Chiesa, rinnovando il legame con il territorio nelle sue concrete e molteplici dimensioni sociali e culturali, prendendosi cura dei poveri, collaborando con altri soggetti sociali e con le istituzioni. La missione non è opera di navigatori solitari. Per questo occorre una “pastorale integrata” in cui, nell’unità della diocesi, la comunità si colleghi e collabori con le altre le parrocchie della forania.
Vi esorto, pertanto, sull’esempio di sant’Andrea apostolo, vostro patrono, a mettervi in cammino per incontrare Cristo ogni giorno della vostra vita e annunciarlo con gioia al mondo.
[1] Agostino, Commento sul Vangelo di Giovanni, 47,3.
[2] Cf. M. T. Crovetto, Non temere, piccolo gregge, Editrice Ancilla, 2002; E. Castellucci, «Non temere, piccolo gregge». Le «piccole comunità» per la nuova evangelizzazione, Cittadella, Assisi 2013.
[3] Sacrosanctum concilium, 10.
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca