Omelia nella Messa esequiale di mons. Giuseppe Martella
Basilica di Leuca, 9 marzo 2025.
Caro don Giuseppe,
ho ancora negli occhi e nella mente il breve e intenso colloquio intercorso fra di noi nella sacrestia del Santuario di Leuca, mentre eravamo in attesa di celebrare il giubileo della vita consacrata. Ho conservato le foto che ci ritraggono in amabile conversazione. In questi giorni, le ho riguardate più volte. Sembriamo due fratelli che si confidano i loro rispettivi segreti e si incoraggiano vicendevolmente a continuare il loro cammino con rinnovata fiducia e speranza. A me sembra che le confidenze che mi consegnavi fossero un riverbero delle parole del salmista: «Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. E ora, nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie» (Sal 70, 17). Credo che anche la mia risposta, per nulla consolatoria, si possa esprimere con il versetto di un altro salmo: «Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano. […] Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore» (Sal 92, 12-15).
Ogni stagione della vita è un dono di Dio
Eri il più anziano sacerdote del nostro presbiterio, essendo nato nel 1934. Lo scorso 17 luglio 2024, abbiamo festeggiato con gioia in questa Basilica il tuo 90° compleanno ed il 67° anniversario di ordinazione sacerdotale. Il libro della Sapienza ci ammonisce che «vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni […]; vera longevità è una vita senza macchia” (Sap 4, 8-9).
Talvolta, seguendo l’analogia suggerita dalle stagioni e dal susseguirsi delle fasi della natura, si parla come dell’autunno della vita[1]. Ogni età ha la sua bellezza e i suoi compiti. L’anzianità, tappa definitiva della maturità umana ed espressione della benedizione divina (cfr. Gn 11, 10-32), non manca dei suoi aspetti positivi. San Girolamo osserva che, attenuando l’impeto delle passioni, la vecchiaia «accresce la sapienza, dà più maturi consigli»[2]. Il tempo, infatti, è «un grande maestro»[3].
Particolarmente significativo è il paragone proposto da sant’Efrem il Siro. Egli, infatti amava paragonare la vita alle dita di una mano, sia per mettere in evidenza che la sua lunghezza non va oltre quella del palmo della mano, sia per indicare che, al pari di ciascun dito, ogni fase della vita ha la sua caratteristica. «Le tue dita – egli diceva – rappresentano quasi i cinque gradini della tua misura. La spanna comincia con il mignolo e termina con il pollice; identico è l’inizio della tua vita e la fine della tua vecchiaia. La vita comincia col mignolo, cioè con i primi tempi dell’infanzia. Si giunge poi al secondo dito, cioè alla fanciullezza inesperta. Col medio, si è nella giovinezza, gonfia e superba. Col cosiddetto quarto dito, si diventa uomini maturi, ma la misura comincia a diminuire e resta solamente un dito. Giunge infine la vecchiaia, il pollice, il termine della vita. […] Sulla mano si rivela dunque la misura della vita stabilita per l’uomo e le dita rappresentano i cinque gradini su cui l’uomo avanza. Osserva dunque a quale dito ora ti tocca stare, a quale gradino sei posto; ma tu non sai a quale dito giunga improvvisa la fine. Il giorno del Signore è un ladro che ti ruba senza che tu neppure te ne accorga. Conduci la tua vita nella pace ed equipaggiala di un buon viatico, perché si raccolga in Dio! Là ti troverai dopo la sua fine, quando dovrai rendere conto. […] Persegui l’impegno migliore, perché ti serva come canale in cui la tua vita, pur trascorrendo, possa giungere alla fine a quietarsi in Dio. Orienta il fiumicello del vivere tuo verso il Signore, affinché, dopo aver vinto quaggiù, tu ti possa trovare lassù nel mare della vita! Vi è un torrentello di vita, in questo mondo transitorio, che tu chiami tuo: conducilo lassù a Dio, perché diventi un oceano di vita. Giorno per giorno la tua vita scorre e se ne va: riversala in Dio, perché tu la possa ritrovare per l’eternità!»[4]
A queste riflessioni sul valore e il significato del tempo, avevo orientato la mia omelia nella Messa per il tuo novantesimo compleanno. Avevamo ringraziato insieme il Signore per il dono di una vita lunga, nonostante qualche impedimento fisico. E ti avevo esorato con queste parole: «Nel tuo volto ci sia sempre la gioia di sentirti amato da Dio […]. Da anziani si diventa depositari della sapienza del cuore che è anche sapienza del tempo. Si diventa cioè persona che custodisce, come in uno scrigno, la capacità di vedere le cose con gli occhi di Dio e di valutare il significato e la bellezza della vita. […] Misurata con la sapienza del cuore, la vita manifesta il progressivo camminare verso l’incontro con il Signore. Il tempo diventa così il tempio, il luogo della presenza di Dio, la casa dove Dio abita. È proprio nel tempo che Dio ha piantato la sua tenda per abitare in mezzo a noi».
A servizio della nostra Chiesa diocesana
Come il servo buono e fedele di cui parla il vangelo hai vissuto intensamente il tuo ministero. A nome di tutti i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate e di molti fedeli laici sento il dovere di ringraziarti per il tuo molteplice e appassionato servizio. Con fermezza, intelligenza e abnegazione, in obbedienza ai nove vescovi (compresi gli amministratori apostolici) che si sono susseguiti nella guida pastorale di questa diocesi, hai svolto numerosi compiti con un grande senso ecclesiale, una lucida visione della missione sacerdotale, la chiarezza degli obiettivi pastorali fondamentali da conseguire.
Ripercorrendo le tue principali occupazioni si rimane sbalorditi per la mole di lavoro che hai portato avanti. La prima esperienza pastorale è stata a Tricase come viceparroco della parrocchia della Natività. Il mese di ottobre del 1962 a soli 28 anni, mons. Ruotolo ti nominò vicarius adiutor nella parrocchia di Gemini di don Carlo Mastria, molto anziano e malato, che conservò il titolo di parroco fino al 1964. Svolgesti il tuo servizio in quella parrocchia come parroco fino al 1982. Durante questo periodo, non essendoci la casa canonica a Gemini, hai alloggiato in seminario dove hai anche insegnato matematica nelle classi di scuola media. Nel 1964, dopo la morte di don Ruggero Monsellato, il vescovo ti affidò l’incarico di economo del seminario che conservasti fino al 1973. Nel 1971, dopo la morte di don Alfredo Scarascia, fosti nominato direttore dell’Ufficio amministrativo diocesano, incarico che hai mantenuto fino al 2014. Dall’ottobre 1982 fino al 1999, per diciassette anni svolgesti il tuo ministero a Ugento come parroco della Cattedrale. Successivamente diventasti parroco della parrocchia di Cristo Re a Leuca marina e, dopo la prematura e improvvisa scomparsa di don Salvatore Abaterusso, anche della parrocchia sant’Andrea apostolo in Salignano, fino al 2011. Dal 4 settembre dello stesso anno e per quattro mesi ricopristi la carica di amministratore parrocchiale della parrocchia san Lorenzo martire in Barbarano. Nel 2021, ti sei trasferito presso la Basilica di Leuca dove hai prestato il tuo servizio ministeriale come confessore fino al giorno della tua morte. Zelante è stato il tuo impegno nella promozione e nella guida della caritas diocesana. Con grande convinzione e per molti anni hai promosso e accompagnato, il movimento dei Cursillos di cristianità. La presenza, oggi, di tanti laici, che hanno beneficiato della tua paternità spirituale, attesta la stima e la gratitudine che conservano nei riguardi della tua persona.
In comunione con il presbiterio diocesano
Hai vissuto intensamente il tuo ministero sacerdotale anche attingendo alla spiritualità dell’Istituto secolare dei sacerdoti del Sacro Cuore di cui facevi parte. I sacerdoti di Bari che ti hanno conosciuto in questo sodalizio attestano tutti la tua viva e sentita partecipazione agli incontri spirituali e alle altre iniziative formative programmate dall’Istituto. Si comprendono così le parole che, il 7 luglio 2017, hai pronunziato nel tuo saluto al termine della concelebrazione eucaristica in questa Basilica per l’anniversario del tuo sacerdozio: «O Signore mio Dio, giunto a questa meta, vorrei chiederti perdono per non aver dedicato tutto il mio tempo all’apostolato attivo, assorbito da tanti impegni che poco o nulla avevano a che fare con il mio sacerdozio. Lo dico con sincerità: se dovessi nascere una seconda volta accoglierei la chiamata del Signore, ma per fare soltanto il prete. E devo essere grato all’Istituto secolare dei sacerdoti del Sacro Cuore, di cui sono membro da diversi anni, se non ho trascurato il ministero pastorale e la mia vita spirituale»[5].
Hai cercato di coltivare un fraterno rapporto con gli altri confratelli presbiteri. Intensa è stata la tua amicizia don Tonino Bello. Nella relazione che mi hai inviato, hai tracciato con una dovizia di particolari il rapporto che avete intessuto fin dagli anni dell’adolescenza nella stessa scuola di Alessano. Commovente è il ricordo del legame che ti ha unito a lui a partire dal tempo della recezione del sacramento dell’Ordine. Queste le tue annotazioni: «Il 7 luglio 1957 durante la mia ordinazione sacerdotale a Montesardo nella cappella della Madonna Immacolata, don Tonino fu ordinato diacono dal vescovo mons. Ruotolo e, nella solennità della Madonna Immacolata l’8 dicembre dello stesso anno, fu ordinato sacerdote nella chiesa parrocchiale di Alessano […]. Tra me e don Tonino c’è stata sempre una sincera e continua amicizia confidandoci le nostre gioie ed anche le nostre difficoltà. Questo soprattutto quando da sacerdoti ci siamo rincontrati nel seminario vescovile di Ugento, lui come vice rettore prima e poi come rettore ed io come insegnante prima e poi come economo. […] Io lo stimavo molto, anche con un pizzico di invidia, perché davanti a lui mi riconoscevo piccolo di statura e di capacità. Guardavo a lui come a un modello da imitare, ma non riuscendo perché le distanze erano lunghe. […] Ho ammirato in lui l’amore alla Chiesa universale e alla Chiesa locale e la completa dedizione all’annuncio del Vangelo, cioè di Cristo, con la parola e con la vita. I suoi scritti manifestano chiaramente questo suo modo di vivere il sacerdozio. Di lui conservo un profondo ricordo e tante volte penso che sia ancora vivo e che vuole incontrarmi per incoraggiarmi poggiando la sua mano sulla mia spalla»[6].
Sotto lo sguardo materno della Vergine di Leuca
Ora egli ti mette la mano sulla spalla e ti accompagna a incontrare la Madonna. L’amore alla Vergine de finibus terrae che vi ha unito sulla terra diventa ora gioia e letizia per poterla finalmente contemplare nella sua luminosa bellezza. Tu stesso hai riconosciuto che è stata lei a sostenerti in questi sei decenni di vita sacerdotale duranti i quali hai servito la Chiesa diocesana con amore e grande dedizione.
Soprattutto in questi ultimi anni trascorsi nel santuario di Leuca hai sperimentato con maggiore intensità la sua materna vicinanza. Ora sei passato da questa basilica, parola che etimologicamente significa “casa del re”, alla “casa del Re dei re”, per occupare il posto che lui, da sempre, ti aveva preparato. Hai lasciato questo santuario terreno e hai preso dimora nel santuario celeste dove puoi contemplare l’amore della Trinità, cantare le sue lodi e lasciarti dolcemente abbracciare dalla vergine Maria.
In questa circostanza, facendomi eco della tua voce, mi sembra giusto ripetere la preghiera alla Madonna che hai pronunziato al termine della Messa del tuo giubileo sacerdotale: «O Vergine di Leuca, che da secoli sei venerata e invocata in questo luogo, posta come faro che illumina le menti e come ponte che unisce i cuori, ti ho amata fin da fanciullo, quando piccolo pellegrino mia madre mi conduceva qui, partendo da casa prima dello spuntare del sole, per partecipare alla S. Messa insieme ai pochi tuoi devoti giunti dai paesi vicini. E ancor più ti ho amata: quando adolescente e confuso tra la folla ho vissuto i gloriosi giorni del Congresso mariano che il vescovo mons. Ruotolo volle che si celebrasse in questo santuario, per ringraziarti dello scampato pericolo dell’immane flagello della guerra e implorare la definizione dogmatica della tua Assunzione al cielo; quando da seminarista trascorrevo le vacanze estive all’ombra del santuario; ma soprattutto quando, con lo sguardo rivolto verso la tua gloriosa immagine che troneggia sull’altare, ho celebrato per la prima volta il divin sacrificio del tuo Figlio Gesù. Ora che, al termine del mio servizio in diversi luoghi e in tante comunità, sono approdato con grande gioia in questo sacro tempio a te dedicato, o madre mia carissima, ti incontro tutti i giorni e davanti alla tua dolcissima immagine mi prostro per pregarti, lodarti e ringraziati per le tante grazie materiali e spirituali che mi hai ottenute dal tuo amatissimo Figlio Gesù, e sento che la tua protezione mi ha seguito in tutto il viaggio della mia vita di uomo e di presbitero»[7].
Siamo certi: la Vergine che ti ha protetto e accompagnato durante la tua vita terrena, ora ti accoglie tra le sue braccia materne e ti inserisce tra il coro degli angli e dei santi, consegnandoti il premio e la corona di gloria: contemplare per sempre il mistero ineffabile della Trinità. Sappiamo, infatti, «che quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli» (2Cor 5, 1- 2). Riposa in pace, caro don Giuseppe, e prega con i vescovi, i sacerdoti e i fedeli defunti di questa diocesi perché la nostra comunità ecclesiale si mantenga fedele alla chiamata ricevuta di annunciare a tutti l’amore del Signore. Amen. Alleluia.
[1] Cfr. M. T. Cicerone, Cato maior, seu De senectute, 19, 70.
[2] «Auget sapientiam, dat maturiora consilia», Girolamo, Commentaria in Amos, 2, prol.
[3] Corneille, Sertorius, a. II, sc. 4, b. 717.
[4] Efrem il Siro, Tutto è vanità e afflizione di spirito, 5-6.
[5] G. Martella, «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore», in “Verso l’Avvenire”, periodico formativo religioso della Basilica “Santa Maria de finibus terrae”- Santa Maria di Leuca, 28, 2017, n.2, giugno settembre, p. 19.
[6] V. Angiuli, Grazie don Tonino, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2025, pp. 41- 46.
[7] G. Martella, «L’anima mia magnifica il Signore, cit., p. 20.
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca