Omelia nella solennità di san Vincenzo, diacono e martire – Patrono della Diocesi
Chiesa Cattedrale, 22 gennaio 2022
Saluto, Sua Eccellenza Rev.ma, Mons. Paolo Gualtieri, Nunzio apostolico in Madagascar e lo ringrazio per aver voluto prendere parte a questa celebrazione eucaristica. Saluto il Sindaco, Salvatore Chiga e l’amministrazione comunale di Ugento in rappresentanza anche degli altri sindaci dei comuni della Diocesi. Rivolgo il mio ringraziamento alle altre autorità civili e militari.
Esprimo in particolare pensiero augurale a voi, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici presenti a questo sacro rito e a tutti coloro che sono sintonizzati attraverso il canale televisivo. È bello ritrovarsi come comunità ecclesiale e civile nella ricorrenza del santo patrono della nostra Chiesa particolare. È segno di unità e di fraterna collaborazione tanto più necessaria nella situazione pandemica che caratterizza il nostro tempo con le limitazioni determinate dalla diffusione del virus.
Epidemia, pandemia, endemia
Secondo gli esperti, le malattie infettive non contagiose abitualmente sono sporadiche. Tuttavia, la globalizzazione, la forte mobilità sociale e gli spostamenti più frequenti e rapidi hanno reso il terreno più fertile alla loro diffusione da un continente all’altro.
All’inizio 2020, per i casi di Covid, si parlava di epidemia, un contagio che aumenta rapidamente e in breve tempo e diffonde l’infezione in una articolare area e in uno specifico intervallo temporale.
Nel giro di qualche settimana, e precisamente l’11 marzo 2020, dopo aver valutato i livelli di gravità e la diffusione globale dell’infezione, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato che l’epidemia di COVID-19 doveva essere considerata una pandemia, una fase caratterizzata da una trasmissione e una diffusione del virus alla maggior parte della popolazione e in più continenti e, comunque, in vaste aree del mondo.
Oggi, a due anni di distanza, si usa sempre più frequentemente il termine endemia perché il virus è stabilmente presente nella popolazione e si manifesta con un numero di casi più o meno elevato. In altri termini, si pensa che il virus farà parte della vita, come lo sono il raffreddore o la polmonite, anche se grazie ai vaccini si abbasserà la pericolosità e la diffusione.
Dal virus sanitario al virus della disuguaglianza
La situazione sanitaria ha avuto i suoi risvolti sul piano economico e sociale. Secondo il rapporto di Oxfam, significativamente intitolato La pandemia della disuguaglianza, «dall’inizio dell’emergenza Covid-19, ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito a un’élite composta da oltre 2.600 super-ricchi le cui fortune sono aumentate di ben 5.000 miliardi di dollari, in termini reali, tra marzo 2020 e novembre 2021». C’è stato un forte incremento degli utili nel settore farmaceutico. I monopoli detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna hanno permesso di realizzare utili “per 1.000 dollari al secondo e creare cinque nuovi miliardari”. In questi due anni di pandemia, i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15.000 dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa del Covid.
Gli effetti sulla popolazione sono stati devastanti. Si calcola che ogni quattro secondi una persona muore per mancanza di accesso alle cure, per le conseguenze della crisi climatica, per la fame, per la violenza di genere. La percentuale di persone che muoiono a causa del virus nei Paesi in via di sviluppo è circa il doppio di quella dei Paesi ricchi. La crisi colpisce più duramente le donne, occupate in meno rispetto al 2019 e con un notevole aumento del carico del lavoro di cura non retribuito. In questi anni, le banche centrali sono intervenute pompando migliaia di miliardi per sostenere l’economia, ma gran parte di queste risorse sono finite nelle tasche dei miliardari che cavalcano il boom del mercato azionario.
Conseguenze sul piano educativo e relazionale
All’aumento della povertà economica e sociale per la mancanza di lavoro si è aggiunto l’aumento della povertà culturale ed educativa che ha riguardato soprattutto i ragazzi e i giovani e quella umana e relazionale a causa del cosiddetto “distanziamento sociale”. Gravi sono state le conseguenze nel mondo giovanile. L’aumento generale di ansia, depressione, episodi di autolesionismo e tentativi di suicidio è attestato dalle indagini nazionali internazionale ed è confermato dalle testimonianze di psichiatri, psicologi, medici ed operatori sociali. I ragazzi e le ragazze che hanno bisogno di un’assistenza urgente, con quadri clinici gravi, sono aumentati in modo significativo durante la pandemia.
Questa, infatti, ha ridotto gli spazi di aggregazione e di socializzazione. I social e la bassa scolarizzazione hanno amplificato il disagio. I ragazzi hanno una rabbia che non riescono a gestire. La dinamica di gruppo allenta i freni inibitori e abbassa il senso di responsabilità. Si assiste al fenomeno delle baby gang e delle organizzazioni di maxirisse nelle piazze e nelle strade delle città.
D’altra parte, la pandemia non sembra aver posto un ostacolo ai “rave party” e alla voglia di radunarsi e fare festa, senza tener conto delle norme emanate dalle autorità competenti. In questi raduni, infatti, vige la regola del divertimento sfrenato per ore, se non giorni, magari consumando stupefacenti.
Conseguenze e attenzioni da tenere in campo pastorale
Anche la pastorale ordinaria è diventata straordinaria. Da una parte abbiamo compreso la necessità e l’importanza di un’azione pastorale ordinaria, dall’altra constatiamo la difficoltà di agire pastoralmente in una situazione così complessa. Domina un sentimento prevalente di confusione, smarrimento e incertezza.
A questa situazione dobbiamo far fronte con un più capillare e personale esercizio di tre virtù: la prudenza, la pazienza, la perseveranza. La prudenza è una delle quattro virtù cardinali dell’etica filosofia e della morale cristiana. Nella filosofia platonica è detta “saggezza”, ed è la virtù propria dell’anima razionale. La prudenza è la virtù che dispone l’intelletto all’analisi accorta e circostanziata del mondo reale ed esorta la ragione a discernere in ogni circostanza il vero bene, scegliendo i mezzi adeguati per compierlo. La prudenza è la «retta norma dell’azione» (recta ratio agibilium), scrive San Tommaso D’Aquino sulla scia di Aristotele. Non va confusa con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta «auriga virtutum» perché dirige le altre virtù (cioè la giustizia, la temperanza e la fortezza) indicando loro regola e misura. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo il giusto criterio per applicare i principi e le indicazioni generali ai casi particolari orientando la volontà verso il bene da compiere e al male da evitare.
La pazienza appartiene alla virtù della fortezza, di cui è parte integrante. Se l’origine latina del termine ne sottolinea soprattutto il patire e dunque il sopportare, in realtà essa ha anche una certa parentela con “passione”, parola che contiene in sé un doppio significato: di sofferenza, ma anche di emozione e desiderio. Il vocabolo greco del Nuovo Testamento è upomonè tradotto con pazienza o perseveranza, costanza o fermezza. A parte un paio di ricorrenze nel Vangelo di Luca, upomonè compare solo nelle lettere di Paolo e nell’Apocalisse, per un totale di 32 volte. Si tratta quindi di uno stile di vita che sa tenere ferma la scelta fatta anche a costo di difficoltà e contrarietà, sapendo che questa costanza, fermezza e pazienza producono in ultima analisi la speranza che non delude (cfr. Rm 5,3-5).
Per l’apostolo il fondamento della perseveranza è l’amore di Dio riversato nei nostri cuori attraverso il dono dello Spirito, un amore che ci precede e ci rende capaci di vivere con perseveranza il tempo dell’attesa del suo ritorno. È stato proprio questo l’atteggiamento avuto da san Vincenzo durante la prova del martirio. Sant’Agostino in un suo discorso afferma: «L’uomo è paziente, della vera pazienza, della santa pazienza, della religiosa pazienza, della retta pazienza; la pazienza cristiana è dono di Dio»[1]. Ed ancora in riferimento a san Vincenzo sottolineava: «Nelle parole aveva la fiducia, nel martirio aveva la pazienza»[2].
Prendiamo a modello san Vincenzo nel particolare contesto del nostro tempo. Lo stile sinodale, che deve modellare il nostro impegno pastorale, esige l’ascolto e la reciproca accoglienza insieme alla capacità di saper vivere con prudenza, pazienza e perseveranza in modo da fortificare la virtù della speranza per testimoniarla con le parole e l’esempio della nostra vita.
[1] Agostino, Discorso, 274,1.
[2] Id. Discorso, 276,1.
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